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Luigi BartolomeiWritten by: Professione e Formazione

Glauco Gresleri (1930-2016)

Ricordo intimo del progettista, braccio operativo del cardinale Lercaro a Bologna, animatore culturale con le riviste da lui fondate, in contatto con Aalto, Tange, Le Corbusier

 

Glauco Gresleri si è spento improvvisamente nella sua Bologna, il 15 dicembre, all’età di 86 anni. Un treno in corsa, come sempre; più giovane dei giovani, più moderno dei moderni. Ci eravamo sentiti di recente, anzi, ripetutamente in quest’ultimo periodo, complici i medesimi interessi intorno al rapporto tra città e architettura sacra, tra forma della chiesa e forma urbana, temi sui quali Glauco aveva lavorato una vita e sui quali si slanciava con la responsabilità militante del testimone ogni volta che lo si invitava a parlarne con ricercatori e studenti. La settimana scorsa ci eravamo sentiti perché, proprio con “Il Giornale dell’Architettura”, si voleva organizzare una visita nei luoghi della ricostruzione del Vajont, di cui Glauco aveva progettato una cappella e un nuovo cimitero. “Di fronte alla tragedia immane“, mi diceva al telefono, “tutti i fondi per la ricostruzione vennero impiegati per Longarone. Poi qualcosa rimase per Erto e Casso e allora il sindaco, non so come, arrivò a me e mi chiese se fossi disponibile. Era sabato e io gli dissi: certo, lunedì arrivo! Quello che cercammo di fare, in tutto il progetto, fu recuperare la scala umana. Scavare gli spazi perché gli uomini potessero ritrovarsi nelle proporzioni che conoscevano. …perché potessero tornare ad amare la terra”. Usava le parole come utensili di uno scultore brutalista, Glauco, ed anche quelle poche della nostra ultima conversazione lo dipingevano tutto: una disponibilità che non era solo cortesia ma anche dovere verso l’annuncio di un’architettura come forma responsabile e significante, come luogo di rifugio e rivelazione dell’uomo a sé stesso; tema, in fondo, che unifica l’intera sua opera e la rende tutta sacra, che si tratti di chiese, di case, o persino d’industrie (è del 1963 il progetto pluripubblicato e premiato per le Officine OM a San Lazzaro di Savena).

La sorte lo aveva innestato nella Bologna sperimentale e in espansione del cardinale Giacomo Lercaro, il quale “aveva fatto una cosa che sarebbe oggi pazzesca“, diceva Glauco, “ossia un atto di fede reale nella giovinezza”, affidando l’Ufficio nuove chiese a lui, che si era appena laureato e a Giorgio Trebbi (1926-2002). Alla squadra si sarebbe poi unito l’ancor più giovane fratello Giuliano Gresleri, per plasmare un centro di sperimentazione e progetto di architettura per la liturgia i cui risultati sono ancora tra i più rilevanti e avanzati, come dimostra la chiesa d’esordio di Glauco, la Beata Vergine Immacolata in via Piero della Francesca (1956-62). Protagonista dell’Ufficio nuove chiese, Glauco costruì rapporti con Alvar Aalto, che poi realizzò la chiesa di Riola, con Kenzo Tange (il cui progetto si realizzò solo limitatamente al distretto fieristico), e con Le Corbusier, che Glauco e Giuliano rincorsero a Firenze, nel 1963, recando la missiva dello stesso cardinale Lercaro in cui si proponeva al maestro di redigere un progetto per una chiesa per Bologna, poi mai realizzata.

Per Glauco l’architettura era una missione che lo trascendeva, un sacerdozio esigente, rispetto al quale anche la sua stessa persona veniva secondariamente. Co-fondatore della più avanzata rivista di architettura sacra in Italia (“Chiesa e Quartiere”, 1955-1968), medaglia d’oro della Biennale di Salisburgo per l’architettura sacra (1962), accademico di San Luca dal 1983, Glauco era un’anti-archistar che investiva coloro che lo cercavano di un’accoglienza sempre superiore ad ogni aspettativa: “Grazie di essere venuto”, diceva, “la sua visita mi onora…”. Un paradosso che spesso lasciava i giovani interdetti; tuttavia, lui, appresa la lezione di Lercaro, sui giovani ci scommetteva e nel 2003, quando si trattò di trovare un nuovo caporedattore per la rivista “Parametro”, che era cresciuta da quando Glauco la fondò nel 1970 con Trebbi fino a diventare uno dei principali veicoli del dibattito internazionale in architettura, ne affidò l’incarico a Matteo Agnoletto, laureatosi appena quattro anni prima a Venezia. Così Glauco cercava “complici” che restassero folgorati non da lui bensì dal suo “progettare continuo”, per un’architettura che trovasse la propria misura nell’uomo, e che dell’uomo fosse una rappresentazione senza sconti, oggettiva e totale, come riverbera nelle sue opere, equilibrio di masse, volumi e accurati dettagli.

Autore

  • Luigi Bartolomei

    Nato a Bologna (1977), vi si laurea in Ingegneria edile nel 2003. È ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, ove nel 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica. Si occupa specialmente dei rapporti tra sacro e architettura, in collaborazioni formalizzate con la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna ove è professore invitato per seminari attinenti alle relazioni tra liturgia, paesaggio e architettura. Presso la Scuola di Ingegneria e Architettura di Bologna insegna Composizione architettonica e urbana, ed è stato docente di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture. È collaboratore de "Il Giornale dell'Architettura" e direttore della rivista scientifica del Dipartimento, “in_bo. Ricerche e progetti per il Territorio, la Città, l’Architettura”

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Last modified: 21 Dicembre 2016