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Christine DesmoulinsWritten by: Progetti

La Francia non ha la memoria corta

La Francia non ha la memoria corta

Visita ai memoriali di Rivesaltes e Verdun: due architetture differenti ma accomunate dall’affrontare da una prospettiva globale il sito, musealizzato interpretandone la storia

 

Rivesaltes: il monolito in cemento di Ricciotti

Il 12 novembre 1938 è istituita la legge sull’internamento amministrativo degli “stranieri indesiderabili”, rivolta a coloro che erano ritenuti un pericolo potenziale per lo Stato. Che si trattasse di spagnoli volontari delle brigate internazionali espulsi dal Franchismo, di zingari o ebrei vittime della politica collaborazionista del regime di Vichy, benchè il campo di Rivesaltes fosse in zona non occupata dai tedeschi, molti tra loro vi saranno internati tra 1941 e 1942. Nell’autunno di quello stesso anno 2.313 uomini, donne e bambini lasceranno il campo su 9 convogli per la deportazione Germania.

Immenso parallelepipedo color ocra lungo 240 metri, il monolito eretto su progetto firmato da Rudy Ricciotti in un intorno conteso tra terreni agricoli, vitigni e parchi eolici, è testimone del rapporto tra un’architettura la cui unica apertura è rivolta al cielo, il simbolismo di cui si fa portatore, il paesaggio e la siccità della Francia del sud. Un simbolismo rafforzato dal contrasto tra la forza di tale architettura e la precarietà delle rovine dei baraccamenti dell’isolato F che la inquadrano, oggi iscritti nella lista dei Monumenti storici. Sotto la cappa di cemento si trovano sale didattiche, uno spazio espositivo e un auditorium.

Non possiamo essere indifferenti al dramma umano che si è consumato in questi luoghi”, afferma Ricciotti. “Il memoriale è silenzioso e pesante. È là per assorbire i colpi al posto degli altri. Per gli assenti. Bisognerà pure che qualcosa incarni la responsabilità della memoria”. Sull’asse dell’isolato F, esso affiora dal suolo poco dopo l’entrata del campo, per estendersi verso l’estremità est laddove si radunavano i detenuti, fino a un’altezza uguale a quella delle baracche, al fine di preservare la lettura delle caratteristiche dell’isolato. Il degrado di certi edifici provocato dal tempo è percepibile, interrogando così il visitatore sul ricordo o l’oblio. La riconquista implacabile del sito da parte della vegetazione spontanea non è impedita bensì valorizzata al fine di garantire uno spazio di deambulazione libero, propizio al raccoglimento. A ovest, alcune baracche ristrutturate ricreano la spazialità seriale e alienante del campo.

Dal parcheggio, al margine sud-orientale, il percorso è limpido e offre al visitatore una vista d’insieme sul campo, conducendo all’entrata e ai percorsi esterni con vista fino ai Pirenei. Varcato l’ingresso, si scopre l’interno dell’isolato F, mentre l’accesso al memoriale avviene in maniera indiretta, attraverso una rampa parzialmente interrata. Lo spazio d’entrata, dall’atmosfera calma e serena, è avvolto da una luce rarefatta che predispone alla visita. Una galleria segna l’inizio del percorso verso i solenni ambienti che riuniscono le esposizioni temporanee e la permanente in una grande sala ipostila. Illuminato artificialmente dall’alto, tale spazio ospita sulle pareti in cemento proiezioni d’immagini a grande formato. Infine, tre patii strutturano l’organizzazione degli spazi didattici, dello spazio relax e degli uffici. Lasciando il memoriale dopo averne ripercorsa la galleria, si torna alla luce accecante, dove un percorso ad anello attorno all’edificio conclude la visita.

 

In battaglia, nell’inferno di Verdun

Realizzato nel 1967 dagli ex combattenti in omaggio a una delle battaglie più lunghe e devastanti della prima guerra mondiale

(300 giorni, 300.000 morti e 400.000 feriti), il memoriale era chiuso dal 2013. Al termine di un cantiere di rinnovamento e ampliamento da 11 milioni firmato dagli architetti dello studio Brochet Lajus Pueyo, dal febbraio 2016 è riaperto al pubblico, con un nuovo allestimento dello studio Le Conte & Noirot. L’edificio ospita anche una biblioteca e un museo delle memorie francesi e tedesche condivise: una collezione di 25.000 oggetti, di cui 2.000 esposti lungo un percorso che descrive “l’inferno di Verdun”.

Nel cuore della foresta che conserva le tracce del campo di battaglia – nelle cui viscere giacciono ancora 80.000 corpi -, l’edificio fronteggia – e richiama in forme più modeste – l’ossario di Douaumont, realizzato negli anni trenta da Léon Azéma, l’architetto dal Palais del Trocadéro a Parigi.

L’ampliamento (1.900 mq) ha permesso d’inquadrare tramite due ali (345 mq) l’edificio esistente, sopraelevato di un piano, e d’integrare un allestimento interattivo (600 mq), una sala d’esposizioni temporanee, uno spazio pedagogico, una caffetteria e due terrazze panoramiche. Dal momento dell’ingresso fino alla passeggiata meditativa, i visitatori esperiscono gli ambienti su tre livelli. Se il cemento a vista della costruzione originaria è stato conservato al fine di richiamare direttamente gli scontri, i progettisti hanno scelto di utilizzare il legno e il vetro per portare una rasserenante chiarezza al piano sopraelevato. Nascosto sotto la scarpata del terreno, il visitatore penetra nel livello base dell’edificio attraverso una trincea sotterranea contrassegnata da pietre nere. All’interno, è invitato a collocare la battaglia di Verdun nella storia e a mettersi nei panni d’un soldato in prima linea. Nel cuore del percorso, uno spettacolo audiovisivo (100 mq) evoca l’esperienza drammatica sul campo di battaglia devastato, mentre una cripta permette d’entrate nella fragile intimità d’un soldato in postazione di tiro dei cannoni. Il secondo livello mostra le armate in battaglia e la vita nelle retrovie, mentre l’esistenza quotidiana in Francia e Germania è messa in scena attraverso lo sguardo dei soldati in licenza. Al livello sommitale, la sopraelevazione si apre sul paesaggio del campo di battaglia. Ai lati d’uno spazio per esposizioni temporanee e d’un centro di documentazione, un luogo di riposo e una sala didattica facilitano la comprensione del sito e degli accadimenti.

Miscelando contenuto e contenitore per ricostruire i legami e le continuità, edificio e allastimento operano insieme, considerando un unicum il paesaggio e gli interni, al fine di meglio esprimere la coerenza tra il messaggio da consegnare alle nuove generazioni e il paesaggio ferito. “Dell’edificio originario, abbiamo conservato le commoventi pietre bugnate ma anche i cementi a vista”, precisa Olivier Brochet. “Nella sala d’onore abbiamo anche conservato la porta monumentale in legno verniciato, di cui abbiamo aumentato l’effetto come segno d’un’epoca. Le scale che conducono alla terrazza, avvolte nelle ali laterali, prolungano il legno verniciato nei muri neri e oro. In cima, il piano di lastre in vetro nero ospitano grandi sale bianche arradate con legni chiari. Dopo l’immersione nel rumore e furore della guerra, le nuove generazioni possono trovare la serenità di un centro di risorse ed esposizioni temporanee”.

 

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Autore

  • Christine Desmoulins

    Giornalista e critica di architectura francese, collabora con diverse riviste ed è autrice di numerose opere tematiche o monografiche presso diverse case editrici. E’ anche curatrice di mostre: in particolare «Scénographies d’architectes» (Pavillon de l’Arsenal, Parigi 2006), «Bernard Zehrfuss, la poétique de la structure» (Cité de l’Architecture, Parigi 2014), «Bernard Zehrfuss, la spirale du temps» (Musée gallo romano di Lione, 2014-2015) e «Versailles, Patrimoine et Création» (Biennale dell'architettura e del paesaggio, 2019). Tra le sue pubblicazioni recenti: «Un cap moderne: Eileen Gray, Le Corbusier, architectes en bord de mer» (con François Delebecque, Les Grandes Personnes et Editions du Patrimoine, 2022)

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Last modified: 14 Dicembre 2016