Tra firme, registri, attestati, punti e conteggi, il primo triennio di crediti formativi obbligatori volge al termine, con un’offerta che lascia insoluti alcuni temi di fondo tranne uno: non ci sarà più l’architetto-tuttologo
Con l’imminente termine del primo triennio di formazione continua per gli architetti, basato sull’acquisizione dei già famigerati crediti formativi, è possibile stilare un provvisorio bilancio di come la novità sia entrata nella pratica quotidiana della professione: una delle più antiche del mondo, a giudicare dai compromessi a cui si è talvolta costretti, per soddisfare i clienti, all’insegna del “basta che finalmente paghi”, in analogia a pratiche meno edificanti e costruttive.
Alle ragioni di svilimento, tra crisi del mercato e concorrenza al ribasso, si aggiunge la paranoia del buttare ore su ore per acquisire i suddetti crediti, sulla base di un Regolamento che, pur essendo un progetto dell’organismo di autogoverno della categoria, il romanocentrico Cnappc, mostra evidenti crepe di assestamento e non pochi vizi formali e aberrazioni compositive.
Cavilli e gingilli particolari a parte, ci siamo fatti venti ore l’anno di corsi, lezioni, visite e simili, con un gran affanno di firme, registi, attestati, punti e conteggi. Venti ore moltiplicate per il numero abnorme di architetti iscritti agli albi in Italia hanno prodotto un dispendio micidiale di forza lavoro sottratta ai campi (del disegno o del cantiere), oltre a uno sforzo organizzativo e materiale che ha ingolfato le segreterie degli Ordini, per le quali il core business è diventato dare patenti, accreditare, registrare.
L’offerta formativa proposta nel triennio non sembra però aver chiarito alcuni temi di fondo: l’aggiornamento deve riguardare gli aspetti tecnico-pratici della professione o quelli culturali? E come si relaziona l’aggiornamento obbligatorio rispetto ai molti ambiti tematici che sempre più richiedono ore di aggiornamento specifico (sicurezza, antincendio, caseclima, ecc.), in sovrapposizione e/o sostituzione?
Si dirà che ognuno può seguire il percorso che più gli aggrada: i “geometroni” fanno la fila agli incontri-marketta proposti dalle aziende, mentre i “sapientoni” inseguono l’archistar di turno – magari in torpedone organizzato – tra conferenze e workshop, che vanno tanto di moda. Con la consapevolezza che una specializzazione sempre più spinta e la proliferazione delle tecniche e delle norme rende impossibile un aggiornamento su tutti i fronti: architetto-tuttologo, goodbye!
E poi c’è l’e-learning: come se non passassimo abbastanza ore incollati ai computer, in sovrappiù è possibile seguire conferenze o incontri formativi in absentia, ricordandosi di dare ogni tanto segno di vita digitale cliccando nell’apposita finestrella. Un sistema che sembra un invito all’elusione: i professionisti strutturati mettono davanti ai pc segretarie e stagisti, mentre per i poveretti senza orari e senza regole come i giovani con partita-iva-ma-di-fatto-subordinati, oltre a non avere il tempo materiale per seguire corsi e conferenze, non resta che la notte, e il portatile sul divano di casa.
La chicca del sistema è rappresentata però dalle ore obbligatorie relative a deontologia e compensi professionali, che il cilicio al confronto è solletico: durante le quali ci sentiamo ripetere ossessivamente “guai a farsi pagare, guai a farsi pagare, guai a farsi pagare”, perché siamo una lobby e l’Europa e Bersani e quant’altro, e la dignità del lavoro progettuale ce la possiamo scordare, punto.
Il morale della truppa dopo le esercitazioni creditizie finisce sotto i tacchi, contribuendo a obnubilare le menti di chi ancora esce dalle università con la giusta ambizione di progettare gli spazi di vita, le città e i paesaggi e invece deve vedersela con queste miserie. Senza scordare il fatto che, sia in termini di tempo lavorativo che come costo vivo dei corsi, la formazione continua risulta essere l’ennesimo balzello che va a aggravare – come se ce ne fosse bisogno – gli oneri di mantenimento dell’attività. E l’archiTotò paga…
Ora si tratta di tirare le somme e verificare chi è in regola con i crediti e chi no. Chi l’ha presa sotto gamba, se la dovrà vedere con il “sorvegliare e punire” attribuito ai Consigli di Disciplina, che potranno così rappresentare appieno la camera di compensazione dei rancori tra colleghi, divisi tra archiuntori e archicensori. Arriverà alla fine una proroguccia, una sanatorietta, un condonino? Siamo in Italia, non possiamo farne senza: d’altro canto, “è la somma che fa il totale”.
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Last modified: 27 Dicembre 2016