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Alessandro LanzettaWritten by: Inchieste

La metropoli mediterranea del Grande Raccordo Anulare

La metropoli mediterranea del Grande Raccordo Anulare

A Roma il risultato di questo disastro, tuttavia, non è affatto una città chiusa e respingente, quanto piuttosto un informe ma felice caos metropolitano dove lo spazio pubblico, abbandonato a se stesso, tende ad essere riconquistato dalle occupazioni creative degli abitanti

 

Roma non è molto cambiata rispetto alla descrizione del numero della rivista «Gomorra» sul Grande Raccordo Anulare del 2005, che iniziava ad intuire il ruolo strutturante di questa autostrada per la forma della nascente metropoli. Il recente clamore suscitato dal film Sacro GRA di Rosi e Bassetti (2013), le rinnovate «azioni urbane» di alcuni artisti (tra cui Stalker e SMU-Research) hanno solo ampliato la conoscenza del tema. Quella descrizione è ancora attuale poiché la crisi economica globale ha ingessato la forma della città alla condizione d’inizio millennio, regalandoci, semmai, qualche altra rovina contemporanea di grandi opere incompiute, come lo scheletro della Città dello sport a Tor Vergata di Santiago Calatrava, e qualche altro frammento di quartiere dormitorio privo di servizi. Il GRA, insomma, è ancora l’unica figura urbana contemporanea del territorio romano, l’unico segno moderno con il potere di strutturarne la forma poiché, più che una strada, è un tracciato regolatore che attraversa un territorio anarchico di confine tra le vecchie periferie ormai gentrificate e i nuovi caotici quartieri della corona esterna.

Quest’infrastruttura, ormai obsoleta, regola un paesaggio mediterraneo molteplice e impazzito che forse si può leggere attraverso la lente delle ecologie di Reyner Banham per Los Angeles: «un insieme di geografia, clima sociale, attitudine a specifici comportamenti e particolari generi di vitalità ad essi legati». Le «ecologie» romane, in particolare, sono abitate da nuove e variegate antropologie e sono basate sui mutevoli paesaggi urbani che vanno dai colli orientali alle forre nord occidentali, dagli orizzonti sconfinati della pianura Pontina fino alla strana Surflandia della costa.

La periferia metropolitana odierna di Roma è immersa nei frammenti dell’antica campagna romana ed è distribuita in un semi-continuum di costruito senza alcuna qualità, intervallato da terreni agricoli e parchi non attrezzati, pieni di eccezionali bellezze naturalistiche e archeologiche abbandonate. Gli agglomerati urbani che la compongono sono spesso frutto di processi illegali di costruzione e autocostruzione, attuati da imprenditori spregiudicati o da singoli individui, appartenenti a classi sociali eterogenee che, per diversi motivi, hanno colonizzato l’unica fascia infrastrutturata del territorio. Per questa nuova metropoli il millenario centro non è più un riferimento: il GRA, con la sua «linea incerta, indefinita, dove tutto fluttua e si mescola, dove l’attesa e non l’evento scandisce lo scorrere di un tempo senza memoria, dove la legalità e l’illegalità si toccano e si confondono» (Ilardi 2007), incardina gli insufficienti interventi di edilizia sociale e assistita alle pazze borgate anarchiche e informi, risultato della pratica mediterranea dell’abusivismo più spinto.

Nelle strane macchine celibi delle «167» e dei Piani di zona – Casilino, Spinaceto, Vigne Nuove, Corviale, Tor Bella Monaca, ecc. – le vite sono disperse in enormi spazi pubblici deserti e degradati, frutto dell’allucinazione igienista degli standard urbanistici. Nello sprawl delle «Zone O» o dei «Toponimi», invece, esistono solo le case, che variano dai dadi mediterranei in cemento armato, blocchetti di tufo e foratini non intonacati delle classi popolari alle eroiche villette kitsch della media borghesia, una via di mezzo trash tra le residenze pop americane e le faraoniche dimore dei camorristi Casalesi.

Il risultato di questo disastro, tuttavia, non è affatto una città chiusa e respingente, quanto piuttosto un informe ma felice caos metropolitano dove lo spazio pubblico, abbandonato a se stesso, tende ad essere riconquistato dalle occupazioni creative degli abitanti e, all’opposto, lo spazio dei centri commerciali, con i suoi servizi del consumo, tende ad assumere una funzione sostitutiva.

Le periferie della metropoli romana, insomma, sono il regno dell’immaginazione e del possibile, luoghi di frontiera del tutto indipendenti dal centro storico della città che, in fondo, ormai è considerato il più alieno e remoto centro commerciale, assai più scomodo dei suoi competitori periferici pieni di sterminati parcheggi. L’antropologia che le abita non è affatto innocente e usa sapientemente il territorio: studia all’Università di Tor Vergata; fa la spesa e va al cinema nei centri commerciali; mangia ai Colli Romani e prende l’aperitivo a Fregene; si arrampica sulle falesie delle Cave di Fioranello e sfreccia in bici sui basoli dell’Appia Antica; fa vela e surf utilizzando tutto il litorale o i vicini laghi. Non solo: frequenta spiagge diverse a seconda della sua tribù: gli hipster a Fregene, Ostia Lido e al Villaggio Tognazzi; i “coatti tatuati” ai cancelli di Ostia, a Ladispoli e a Torvaianica; i nudisti a Capocotta e a Focene. Tutti questi abitanti, nell’assenza di qualsiasi progetto reale di città, corrono pericolosamente in macchina o in motocicletta da una parte all’altra del territorio metropolitano, proprio sopra al Grande Raccordo Anulare.

 

Immagine di copertina: torri del quartiere della Serpentara dal viadotto Giuseppe Saragat, 2014

 

 

Per_approfondire

R. Banham, Los Angeles. L’architettura delle quattro ecologie, Costa e Nolan, Genova 1983.
M. Ilardi, Il tramonto dei non luoghi. Fronti e frontiere dello spazio metropolitano, Meltemi, Roma 2007.
A. Lanzetta, Pianta della Metropoli del GRA, inserto in «Gomorra. Territori e culture della metropoli contemporanea» n. IX n.s. Grande Raccordo Anulare, Meltemi, Roma 2005.
A. Lanzetta, La metropoli del Litorale, in «Gomorra» n. 10 n.s. Maggio 2006, Mediterranei, ed. Meltemi, Roma 2006, pp. 76-80.
A. Lanzetta, A, Perin, S. Perin, Appunti su valle Borghesiana, in S.M.U.R. Self Made Urbanism, Roma città autoprodotta. Ricerca urbana e linguaggi artistici, Manifestolibri, Roma 2014, pp. 103-119.
A. Lanzetta, Lo spazio mediterraneo della «città del Grande Raccordo Anulare», in C. Cellamare, Fuori Raccordo. Abitare l’altra Roma, Donzelli, Roma 2016.

Autore

  • Alessandro Lanzetta

    Architetto-fotografo, dottore di ricerca in Progettazione architettonica e urbana, è stato più volte docente incaricato e assegnista di ricerca all'Università La Sapienza di Roma. Ha pubblicato numerose campagne fotografiche, articoli e saggi – tra cui "Opaco Mediterraneo. Modernità informale" (Libria, 2016) – e presentato lavori in esposizioni, gallerie e musei tra cui la XIII Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia (2012), la galleria nGbK di Berlino (2013) e il MAXXI di Roma (2015). È membro del gruppo internazionale di ricerca «SMU_Research», fondatore del Mediterranean architecture_Atelier (Ma_A) con cui ha vinto concorsi e premi di architettura, redattore delle riviste «Archphoto 2.0», «Archphoto.it» e, in passato, della rivista «Gomorra - Territori e culture della metropoli contemporanea»

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Last modified: 28 Marzo 2017