Giovanni Caudo, docente di Urbanistica, traccia un bilancio del suo impegno di assessore alla Trasformazione urbana nella giunta Marino dal luglio 2013 all’ottobre 2015
Amministrare Roma da assessore alla Trasformazione urbana è stato un privilegio per l’esperienza densa e significativa che ha concesso, nonostante la prematura interruzione determinata dalle note vicende politiche.
Roma è urbanisticamente ferita da anni di mal governo. Ferite aperte, ad esempio, dalle forzature e dalle mezze verità con cui furono argomentate le scelte che portarono al Piano regolatore del 2008 o anche dalla gestione consociativa delle scelte urbanistiche nei cinque anni successivi. E da qui bisognava ripartire ricostruendo innanzitutto la consapevolezza di un percorso di cambiamento che si è tradotto nell’esperienza delle Conferenze urbanistiche attivate nei 15 Municipi coinvolgendo oltre duemila cittadini. Un viaggio intorno alla città per raccogliere la progettualità diffusa dei suoi cittadini, convinti che una città ideale esista dentro la città costruita.
Declinare la Roma del futuro è anche cercare ciò che parla della contemporaneità della città. La nuova piazza Augusto Imperatore è un progetto emblematico del rapporto tra antico e moderno che Roma può sperimentare. Non mondi separati ma compresenza di tempi, storie, materiali da vivere anche nel quotidiano e non solo dai turisti. La contemporaneità di Roma è la compresenza oggi della città degli anni ’30, insieme a quella del II secolo d.c. e a quella del ventunesimo secolo con la teca dell’Ara Pacis firmata da Richard Meier. Un’esperienza che solo Roma può offrire, non il recinto dell’area archeologica ma l’immersione contemporanea nei tempi della città.
In questa idea di città c’è uno spazio per la politica che non vuole essere succube né del populismo né del mercatismo. Da qui la voglia e la determinazione per affermare uno sguardo unico su una città molteplice in cerca di una visione d’insieme: non più una città continua e omogenea ma una città che si ridefinisce dentro al suo costruito. Per questo abbiamo cancellato le 160 proposte di nuova urbanizzazione di aree agricole decise dalla precedente giunta del sindaco Gianni Alemanno nel 2010. Quasi 2.300 ettari di Agro romano che erano potenzialmente edificabili con circa 25 milioni di metri cubi.
Roma è una città globale con una base economica locale che si è progressivamente ridotta fino a diventare asfittica, nella quale si esercitano i poteri di veto piuttosto che la competizione e la concorrenza. La contrazione della “Rendita Capitale”, oltre ad aver determinato la crescita esponenziale del debito comunale, ha lasciato al consumo di suolo agricolo e all’urbanistica (ancora alla rendita fondiaria) il compito non più di capitalizzare nella città ma di estrarre da questa i plusvalori immobiliari per alimentare il ciclo economico locale.
Il progetto di recupero dell’ex caserma di via Guido Reni o la proposta di realizzazione dello stadio dell’AS Roma a di Tor di Valle sono esempi diversi ma entrambi significativi di regìa pubblica, ovvero di come può essere conseguito l’interesse generale e quindi la patrimonializzazione pubblica in beni, infrastrutture e servizi. Regia pubblica vuol dire che l’Amministrazione in tutta autonomia crea le condizioni migliori per un mercato aperto e competitivo mentre le imprese fanno il loro lavoro. Un ruolo che deve esercitare anche nei confronti di chi continua a pensare che “basta” la lettera di un assessore per vedersi assegnato un immobile pubblico, secondo la prassi degli anni passati.
Governare in “tempi interessanti” vuol dire non subire i poteri di veto esercitati per tutelare interessi individuali e singolari. È da questa prospettiva che si dovrebbe valutare il modo in cui si è svolto il dibattito pubblico sullo stadio dell’AS Roma. È passata l’idea di un intervento di cementificazione e di un regalo al privato. Si tratta invece di un intervento urbanistico interamente finanziato dal privato che, se lo fa, si assume il rischio d’impresa, mentre al Comune va il 100% della rendita immobiliare prodotta con la quale si realizzano opere pubbliche necessarie non solo per ususfruire dello stadio ma per la città. Invece è stato descritto come un intervento pubblico, dove si sprecavano risorse pubbliche. Le comparazioni venivano fatte con le Vele di Calatrava o con la Nuvola di Fuksas, che però sono opere pubbliche e cantieri mal gestiti e non finiti.
Dopo sei mesi di amministrazione pentastellata posso confermare quanto dichiarato al loro inizio: “I 5 stelle hanno sempre votato contro ogni nostro provvedimento. In ogni caso il nostro metodo sarà cancellato: la regìa pubblica come confluenza dei diversi interessi e conflitti che costruiscono la città per affermare l’interesse generale”. Una politica riformista che fa i conti con la complessità, ma allo stesso tempo radicale, perché non scende a patti con nessuno. La città è polemos, non solo polis, e il conflitto è città. La politica dovrebbe puntare a sciogliere quel conflitto per conseguire l’interesse generale. Questo è l’unico modo per fare di Roma una città europea e per ripensare anche il suo ruolo di capitale. È un’opportunità persa ma è una prospettiva inevitabile con la quale bisognerà fare i conti.
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architettura e politica , roma
Last modified: 21 Novembre 2016