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Renato BocchiWritten by: Reviews

La Montagna di Yona Friedman approda a Venezia

La Montagna di Yona Friedman approda a Venezia

Sarà costruita durante un workshop da un gruppo di studenti di Architettura e arti visive con i materiali delle “Space Chains” e navigherà sulle acque della laguna per tre giorni, dal 28 al 30 settembre, per approdare infine all’Arsenale l’1 ottobre

 

Yona Friedman è, con la sua fulgida carriera centenaria alle spalle (93 anni ma non li dimostra), uno dei guru dell’architettura contemporanea. La sua architettonica “utopia realizzabile” è quasi un must nell’anno delle celebrazioni dell’«Utopia» di Thomas More e della Biennale di Architettura di Alejandro Aravena.

Venezia è già stata teatro in passato delle mirabolanti idee di Friedman per la città futura. La sua “Ville Spatiale”, presentata nel 2005 alla Bevilacqua La Masa e poi esposta nel padiglione tedesco alla Biennale d’Arte 2009, proponeva la costruzione di una nuova città flottante e flessibile per i cittadini sopravvissuti, che consentiva d’altra parte la conservazione di una deperita città storica.

Ora Friedman, con Jean-Baptiste Decavéle, importa a Venezia niente meno che una montagna, costruita con gli effimeri materiali delle sue “Space Chains”, che navigherà sulle acque della laguna per tre giorni, dal 28 al 30 settembre, per approdare infine all’Arsenale il 1° ottobre.

Si è chiesto: “perché non costruire una montagna a Venezia?”. Ne è nato un progetto, raccolto entusiasticamente dal programma “Dell’immateriale”, a cura di Chiara Bertola e Renato Bocchi promosso congiuntamente da Fondazione Querini Stampalia e Università Iuav di Venezia (curatori dell’evento “La Montagne de Venise” sono Giuliano Sergio e la stessa Chiara Bertola; promotrice l’associazione per l’arte contemporanea Zerynthia; patrocinatore il Comune di Venezia con l’appoggio di una lunga lista di altri enti e associazioni culturali).

La montagna sarà materialmente costruita durante un workshop da un folto gruppo di studenti di Architettura e di arti visive, che poi la illustreranno alla città dopo il varo previsto il 28 settembre.

La proposta unisce l’ironia alla consapevolezza che solo un’azione architettonica partecipata può attivare nuove dinamiche urbane. Costruire una montagna vuole significare cambiare il paesaggio, modificare la visione che si ha di un luogo, permette un nuovo punto di vista su quanto ci circonda. È un’opportunità offerta ai cittadini e ai turisti di vedere e vivere con altri occhi una città troppo spesso ridotta a stereotipo da cartolina (lo stesso Friedman già propose peraltro una serie di non-convenzionali “cartoline postali” di Venezia, esposte nella Galleria Minini di Brescia nel 2009).

L’opera di Yona Friedman sta conoscendo in questi ultimi anni un enorme aumento di interesse da parte degli architetti e ancor più dei critici d’arte. È un segno dei tempi: con la crisi epocale è sempre più necessario trovare sponda in una visione del futuro che è fondamentalmente socio-politica e sommamente ecologica, prima ancora di essere artistico-architettonica.

In una prospettiva globale, e in debito con i giorni gloriosi del Moderno, Friedman è salito di nuovo alla ribalta soprattutto perché insiste sulla necessità di approntare infrastrutture pubbliche democratiche che tengano conto dell’indeterminatezza dei processi e della lucida registrazione della necessità di soluzioni economiche, in quanto teorico di un progetto di autocostruzione, flessibile e prefabbricato, pensato secondo principi di indeterminazione spaziale” (William Harris).

Le idee di Friedman coniugano sorprendentemente una potente visione “futuristica” e assolutamente “democratica e partecipativa” con processi di costruzione semplici, a tecnologia povera e con tecniche di riciclo ecologico. Erede dell’etica progettuale del Team X e delle sperimentazioni tecnologiche di Fuller o di Wachsmann, la sua opera interpreta le istanze di un nuovo paradigma progettuale “sostenibile” che l’architettura contemporanea persegue spesso più a parole che nei fatti.

Non a caso l’evento “Montagne de Venise” – con la sua carica visionaria e il suo approccio alle pratiche di cittadinanza attiva – costituisce anche un’eccellente occasione per inaugurare a Venezia il 29 settembre il convegno «Re-cycle Italy», che discuterà per due giorni gli esiti di una ricerca triennale Prin ispirata a quei principi e a quei metodi di lavoro.

 

Autore

  • Renato Bocchi

    Nato a Trento nel 1949, architetto, fino al 2019 professore ordinario di composizione architettonica e urbana presso l’Università Iuav di Venezia, dove ha diretto il Dipartimento di Progettazione dal 2005 al 2008. Ha insegnato all’Università di Trento dal 2003 al 2010. È membro del dottorato in Architettura. Teorie e Progetto, della Sapienza Università di Roma e del dottorato in Architettura, città e design dell’Iuav. Il suo principale campo di ricerca riguarda le relazioni tra arte, architettura, città e paesaggio. Ha diretto la rivista “Archint” (1995-2000). È stato consulente per il Piano del centro storico (1980-84) e per il nuovo Piano di sviluppo (2000-2001) della Città di Trento. È stato coordinatore nazionale del programma di ricerca “Re-cycle Italy” fra il 2013 e il 2017. Tra le sue ultime pubblicazioni: “La materia del vuoto” (Universalia, 2015) e “Progettare lo spazio e il movimento” (Gangemi, 2009). È in uscita per le edizioni Carocci il nuovo libro “Spazio arte architettura”.

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Last modified: 21 Settembre 2016