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Alessandro ColomboWritten by: Interviste

Per Yves Saint Laurent un museo a Marrakech

Per Yves Saint Laurent un museo a Marrakech

Karl Fournier e Olivier Marty (studio KO) illustrano in anteprima il progetto che dovrebbe vedere la luce nel 2017: un omaggio allo stilista che dal 1966 trascorreva sei mesi all’anno in Marocco

 

Sorgerà in rue Yves Saint Laurent, in prossimità dei giardini Majorelle a Marrakech. Conterà una superficie di 4.000 mq, comprendenti uno spazio per le collezioni permanenti di 400 mq (che presentano l’opera di Yves Saint Laurent con un allestimento di Christophe Martin), una galleria per le esposizioni temporanee di 150 mq, un auditorium di 130 posti, un bookshop, un caffè ristorante con terrazza e una biblioteca di 5 000 opere. Il museo dovrebbe aprire nell’autunno 2017, in contemporanea con quello parigino sito al 5 di Avenue Marceau ove, per quarant’anni, ha operato la casa di moda. Dal 1966, Yves Saint Laurent (1936-2008) era solito passare a Marrakech sei mesi all’anno per disegnare qui le sue collezioni di alta moda. Scopriamo in anteprima i dettagli del progetto parlandone con gli artefici Karl Fournier e Olivier Marty.

 

Non si può non rimanere stupiti nell’apprendere di una realizzazione legata all’alta moda in un luogo tanto affascinante quanto esotico come Marrakech. Immagino che il contesto giochi un ruolo importante nel progetto.

Naturalmente. Il luogo è stato l’inizio della riflessione che ha portato poi al progetto architettonico. Ad esempio, al fine di capire quanto dovesse essere grande l’edificio rispetto alla città; piuttosto che al fine d’individuare la sua caratteristica monocroma legata al tono di colore della terra. Volevamo che l’edificio si distinguesse rispetto all’intorno ma al contempo dialogasse con le cromie rossastre della città e con i toni forti del cielo.

 

Avete usato il rosso terracotta per gli esterni: un materiale naturale ma un colore molto forte…

Sì, un colore forte ma naturale. In realtà per i fronti abbiamo usato due materiali: per il basamento, un mosaico chiaro dello stesso colore del suolo, un mosaico “lavato” che risvolta sulla facciata sino all’altezza di 2 metri e 40 circa. Al di sopra di questo si erge una fascia in cemento a vista che, come una cintura, gira attorno a tutto l’edificio. Al di sopra si trovano poi tutte le varie funzioni che sono definite da volumi molto diversi: questi sono rivestiti da strati di materiale in cotto che risultano quasi essere un tessuto con differenti texture. È come tessere un tappeto con differenti matrici, alcune semplici, altre elaborate: sono come dei tagli, delle pezze di tessuto.

 

Il genius loci è dunque per voi molto importante. Tuttavia, il tema è quello della biografia professionale di Saint Laurent: un’opera universale non legata precisamente ad un luogo. Come vedete questo rapporto?

Per noi non vi è un legame così diretto. Noi pensavamo a questo edificio come ad una scatola di gioielli posta a proteggere ed enfatizzare la creatività di Saint Laurent che si è espressa in un lungo arco di tempo. Volevamo ingenerare una sorta di mistero e non svelare troppo dall’esterno: una sorpresa, forse anche un contrasto fra l’immaginario di Saint Laurent e l’edificio. Ma se si va più a fondo si trova una relazione molto stretta, in quanto l’edificio è ricco di particolari. C’è un mix di linee curve e rette che richiama le creazioni dello stilista. C’è un elemento femminile nelle curve dell’edificio, per come le abbiamo sviluppate in tre dimensioni, sia in pianta che in alzato. Anche il layout potrebbe ricordare un braccialetto, ma c’è anche qualcosa di forte e senza tempo, che può essere riferito all’universo maschile.

 

L’intervento rappresenterà un’opportunità per la città: possiamo anche considerarlo un testamento di Saint Laurent?

Difficile a dirsi perché noi abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto dopo la sua morte, e lui non sapeva di questo progetto. È dunque difficile stabilire questa relazione: forse piuttosto si tratta di un nostro contributo, un omaggio alla sua figura e alla sua opera. Se Saint Laurent fosse stato vivo avrebbe potuto dare delle indicazioni precise. Noi sappiamo da Pierre Bergé che era molto interessato all’architettura delle colonie francesi del Nord della Nigeria. Ma oltre a ciò ci sono molti dettagli del progetto che riportano a lui: ad esempio il vetro piombato all’interno, i colori giallo blu e verde ripresi da Matisse, oltre al rosa e al rosso; colori forti che provengono dalla sua infanzia e dal modo in cui scoprì il Marocco. Invece, il pavimento a mosaico presenta una forte relazione con i pavimenti della tradizione dell’architettura coloniale francese del Nordafrica.

 

Quindi possiamo dire che avete lavorato con il lascito culturale di Saint Laurent?

Abbiamo lavorato con tutto quello che lui ci ha lasciato e che si può dire senza tempo; la sua qualità e il suo talento. Più che estrarre forme dal suo lavoro e renderle architettura, abbiamo cercato un modo più concettuale che formale nel rendergli omaggio.

 

Leggiamo di grandi numeri all’interno del museo: una collezione di 5.000 vestiti, 15.000 accessori, 50.000 schizzi…

Ci sono due differenti progetti, a Parigi e a Marrakech. Il primo, nel quale non siamo coinvolti, prevede anche l’apertura di spazi espositivi al pubblico e, in effetti, l’archivio ha questi numeri. I numeri a Marrakech sono più ragionevoli e ridotti rispetto a quello che verrà esposto.

 

Nel museo vi saranno anche esposizioni temporanee?

Sì, in una sala appositamente dedicata, con mostre direttamente connesse all’opera di Saint Laurent, in base alla programmazione stabilita da Pierre Bergé e dalla Fondazione. La collezione verrà invece esposta a rotazione e sarà ospitata nella sala più grande. Vi saranno svariati spazi espositivi, in modo che i visitatori percepiscano ovunque la presenza di Saint Laurent. Ci sarà anche un auditorium da 100 posti, fortemente voluto da Bergé, che avrà diversi usi. Durante il giorno e le ore di apertura del museo saranno proiettate interviste a Saint Laurent e materiali direttamente a lui legati. Alla sera si terranno performance che costituiranno un programma a parte. L’idea è di avere un luogo dedicato a Saint Laurent, ma allo stesso tempo aperto al mondo e a temi differenti.

 

Mi sembra che questo museo possa aprire una nuova fase. Siamo abituati a parlare di moda a Parigi, New York o Milano, ma Marrakech ed il Marocco sono come un nuovo mondo per la moda. Pensate che il museo possa essere il pioniere di un nuovo epicentro del tema?

È difficile dirlo oggi. Il committente vuole donare questo museo al paese e alla nazione. Il Marocco ha dato molto a Saint Laurent in termini d’ispirazione e felicità, colori e texture. È in sostanza un regalo al paese. È troppo presto per stabilire se una nuova era abbia inizio.

 

Vi augurate che ciò possa accadere nel futuro?

Non sappiamo se saremo coinvolti in qualcosa del genere. Probabilmente più di metà dei visitatori proverranno dal Marocco e dai paesi vicini. Essi potranno accostarsi a nuove idee sulla moda, la donna, la libertà e questo sarà molto interessante per il mercato e per il pubblico. In Marocco ci sono pochi musei; crediamo che sia un bene che la gente possa avere l’opportunità di scoprire nuove cose.

 

 

Per_approfondire

Chi sono i progettisti

Karl Fournier & Olivier MartyLaureati entrambi in architettura nel 2000 a Parigi, Karl Fournier e Olivier Marty fin da subito hanno fondato nella capitale Studio Ko, con successive sedi a Marrakech e a Londra. Si occupano di diversi progetti, dagli spazi pubblici alle residenze private, in Europa e Marocco, come in altre parti dell’Africa e in America.

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 13 Settembre 2016