Il direttore Marcos L. Rosa presenta in anteprima i contenuti della 11° edizione della Biennale organizzata dall’Istituto degli Architetti del Brasile, in programma da settembre 2016 a dicembre 2017
Al di là dei feedback controversi, la Biennale di Venezia di quest’anno ha mostrato di voler rivolgere il suo focus sul rapporto tra architettura ed un tendenzialmente reale impegno sociale. Ma lasciando da parte i link lampeggianti che ci invitano ad aderire ai vari crowdfounding, promuovendoci a potenziale parte attiva delle diverse iniziative (e ci permettiamo ulteriormente di invitare tutti quanti a farlo), occorre tenere presente che a Venezia, tra i sofisticati padiglioni nazionali ai Giardini, la denuncia di questa necessità risulterà sempre e comunque una storia raccontata su pannelli, attraverso grafiche accattivanti, all’interno di un’esposizione rivolta principalmente a studenti di architettura, istituzioni e professionisti del campo. Che effetto farebbe se le numerose fotografie che aprono la riflessione su questioni di sovraffollamento urbano, mancanza di condizioni minime di abitabilità per grandi comunità, situazioni di forte frammentazione sociale ed emergenza ambientale, fossero state scattate proprio lì, fuori dai cancelli dell’Arsenale, sostituendo (da suggestivamente incantevole ad allarmante) la nostra vista sull’isola di San Giorgio Maggiore?
«Benvenuti a San Paolo, signori», dove queste immagini fanno parte dello scenario quotidiano a nemmeno un chilometro dal padiglione Matarazzo di Oscar Niemeyer, icona modernista e storica sede della Fondazione Biennale paulistana; motivo per cui l’evento brasiliano, come ci racconta il direttore dei contenuti Marcos L. Rosa, non potrà permettersi di essere strutturato come una tradizionale biennale espositiva, e nemmeno come uno spazio di pura discussione e divulgazione, ma dovrà farsi carico di rappresentare un’occasione di concreto mutamento per la città. «Il fuoco di osservazione», esordisce Rosa, «punterà inizialmente al proprio centro urbano, per poi ampliarsi sul Brasile e sui fenomeni comuni che caratterizzano le grandi metropoli dell’America Latina e che, più discretamente, si manifestano anche nei lati oscuri di molte città europee. A partire dagli anni ’90, specialmente a San Paolo, collettivi indipendenti cominciarono ad articolarsi in veri e propri movimenti di rivendicazione sociale e ad operare all’interno della stratificata struttura delle città. Prendendo coscienza della presenza di un potenziale effervescente già esistente e di una volontà di partecipazione diretta sul territorio, l’operazione iniziale del nucleo di organizzazione è stata montare un osservatorio che, prima di proporre delle tematiche, ha analizzato quali fossero le questioni rilevanti per la città e quali le forme di azione attuate dalla popolazione, identificando pratiche innovative che potessero essere funzionali al suo miglioramento».
È difficile pensare ad un evento che renda partecipi attori così differenti all’interno della città, dai gruppi di attivismo, agli investitori privati, ai tecnici, agli studenti, fino alle comunità: a chi vi rivolgete?
Questa è la maggiore sfida che stiamo affrontando, inducendoci a riflettere sulle dinamiche metropolitane al di fuori del nostro ruolo di architetti. Dopo aver identificato i gruppi interessati a partecipare, la Biennale opererà per chiamate, organizzando attività quali workshop, concorsi, laboratori e tavole rotonde che inducano le diverse categorie a cooperare attraverso l’uso di strumenti non tradizionali, derivanti da discipline distinte (disegno, pianificazione urbana partecipata, cartografia ma anche sociologia, antropologia, pratiche di assistenza sociale), al fine di trasformare le azioni individuali e spontanee in un patrimonio di consapevolezza comune.
Cercando di scardinare il luogo comune del Brasile come “paese di contraddizioni”, occorre considerare che il paese sta attraversando uno dei momenti più delicati degli ultimi vent’ anni: al dichiarato stato di recessione economica, si aggiungono i conti non risolti con gli esiti dei disastri ambientali dell’anno passato e i preparativi tutt’altro che soddisfacenti dei Giochi olimpici. Nel frattempo lo scenario di fondo è di una profonda crisi politica, culminata con la destituzione della presidente Dilma Rousseff, o meglio, con quello che Glenn Greenwald ha definito “impeachment antidemocratico”, articolato per occultare le investigazioni sugli scandali di corruzione che coinvolgono la stessa elite politica ora ufficialmente al potere. Anche senza diretta manifestazione politica, la Biennale dovrà assumere una posizione critica e prendere atto di tali questioni nella scelta delle tematiche che verranno affrontate…
Una Biennale in Brasile oggi non può non essere politica, a maggior ragione a San Paolo, dove all’evento si sovrapporranno anche le elezioni amministrative, che potrebbero creale ulteriori complicazioni. Con i nostri strumenti stiamo insistendo su azioni collaborative che attuino un meccanismo di trasformazione della città non come sistema, che è un’idea più gerarchica e segregativa, ma come rete.
Il primo asse che ci preme affrontare lo abbiamo chiamato Entre Projeto, e intende ritrarre l’immaginario non tecnico della città. Le persone saranno chiamate a partecipare ad operazioni di mapping in diverse aree di San Paolo, al fine d’individuare punti “ancora” che saranno poi spazi di riferimento durante lo svolgimento del “processo biennale” (e in cui avranno luogo le attività, come forme dirette di intervento nello spazio).
Sem Projeto (senza progetto) è il nome del secondo asse tematico, che in varie sfaccettature affronterà il tema dell’edilizia sociale e quello dello streetscape: il paesaggio di strada che viene esposto per riflettere sulle possibilità di miglioramento della qualità di vita delle persone che ne fanno parte, in tutta la loro drammatica vulnerabilità, dalle categorie più emarginate a quelle meno tollerate (che nella maggior parte dei casi coincidono), cercando un approccio alla questione della coesistenza di generi negli scenari urbani. Infine concluderemo con una parte di Post Projeto, che vuole aprire il dibattito sulle architetture presenti, capire qual è la loro rilevanza e quale l’impatto che stanno producendo, e allo stesso tempo analizzare le cause che a livello normativo hanno dato vita al profilo attuale della città.
San Paolo ha un piano urbanistico ispirato al modello newyorkese degli anni ’80: noi inviteremo i gruppi che stanno facendo ricerca in questo campo a presentare casi studio di regolamentazione delle periferie e a fare proposte che mettano in discussione la legislazione attuale. Vogliamo lasciare da parte una lettura generica e semplificata per indagare su fenomeni specifici sul piano legislativo, sociale, storico e del territorio.
In merito all’aspetto espressivo, quali sono i vincoli allestitivi di questa Biennale?
L’Istituto degli Architetti e urbanisti ha reso disponibile come casa-base, in forma di laboratorio coworking, uno spazio al quinto piano dell’edificio IAB, porta a porta con lo studio di Paulo Mendes da Rocha e nell’antica sede di lavoro di João Vilanova Artigas: un luogo leggendario per la storia dell’architettura brasiliana situato nel cuore della capitale. Tuttavia, risulterebbe contestualmente errato limitarsi a discutere una metropoli dal punto di vista del suo centro. I punti “ancora” che vogliamo istallare potrebbero essere localizzati fino a due ore di distanza per le attuali condizioni di mobilità, e saremo necessariamente spinti a ragionare su queste connessioni, cercare di ridurre i tempi di dislocamento e aprire delle collaborazioni che ottimizzino la qualità della rete di trasporti interurbana. Per l’esposizione conclusiva stiamo pensando ad una mostra itinerante che illustri i processi avvenuti in parallelo nei vari luoghi, ribaltando il tradizionale rapporto di dipendenza delle periferie dal centro per celebrare uno scambio di conoscenza bidirezionale.
Quale sarà l’eredità della Biennale verso la città e il territorio circostante?
Ogni asse operativo che affronteremo verrà sviluppato su tre ambiti: la discussione e osservazione (observing), l’azione (making, experimenting) e la documentazione, che confluirà nella produzione di materiale utile (manuali, video, pubblicazioni ecc.). Dati i tempi di una Biennale, non è possibile la costruzione fisica di opere definitive ma l’intento è di porre solide basi che possano avere un impatto sulla città in futuro. In un paese dove l’85% delle costruzioni e ristrutturazioni private avviene senza assistenza tecnica specializzata, riteniamo fondamentale la creazione di un network tra comunità, professionisti, istituzioni e università che si spera possa perdurare a lungo oltre l’evento. Infine stiamo pensando ad un’ulteriore iniziativa, “Biblioteca Bienal”, che consiste nella raccolta di libri pubblicati negli ultimi vent’anni inerenti ricerche e studi urbanistici e architettonici sulla città di San Paolo, per costituire un nuovo archivio di consultazione disponibile per i cittadini.
In un panorama in cui attraverso la circolazione d’immagini e informazioni tutto suona come già visto e inflazionato, che cosa vi sarà d’inedito?
Non parliamo di rottura, quanto di continuazione sulla stessa linea delle due edizioni precedenti, che già avevano proposto una formula lungi dall’essere una fiera di padiglioni nazionali bensì un evento sparpagliato per la città ottenuto grazie alla conversione di spazi abbandonati/svalorizzati per la loro tipologia d’uso, come le stazioni della metro e i sottopassaggi urbani. Ciò che proponiamo d’innovativo è l’auspicio che l’evento s’identifichi in una piattaforma di scambio; prevediamo diverse collaborazioni internazionali, il che non significa semplicemente esporre un progetto concluso ma condividere il suo processo/costruzione ed essere disposti a discuterlo e trasmetterlo. Questa Biennale si focalizza sull’azione diretta e collaborativa per migliorare la città, da cui nasce il nome, Em projeto, in riferimento all’etimologia latina del termine “gettare in avanti”.
Non resta ora che guardare o, meglio, partecipare, per credere.
Nella foto di copertina (di Ricardo Matsukawa/UOL), stratificazione urbana e sociale a San Paolo del Brasile; in primo piano, la favela di Paraisópolis
Chi è Marcos L. Rosa
Architetto e urbanista, laureatosi nel 2005 presso la Faculdade de Arquitetura e Urbanismo dell’Università di San Paolo. Nel 2015 riceve, con lode, il titolo di dottore in Pianificazione territoriale e urbanistica presso l’Università tecnica di Monaco di Baviera (TUM). Oltre alla TUM, ha insegnato il Politecnico di Zurigo (ETH) e presso la Escola da Cidade di San Paolo. Tra il 2010 e il 2011 ha realizzato e diretto piattaforme di mappatura collaborativa a San Paolo e Rio de Janeiro in collaborazione con Urban Age, con la Deutsche Bank Urban Age Award (Alfred Herrhausen Gesellschaft e Londra School of Economics) e con il Politecnico di Zurigo. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Microprogettazione, pratica creativa urbana (2011), Fatto a mano urbanistica (2013) e Da grandi infrastrutture di scala ad un’urbanistica di rete (Monaco di Baviera, 2016, TUM). Il suo lavoro comprende ricerca, insegnamento e progettazione, con particolare attenzione alle pratiche di azione partecipata.
La carta d’identità della Biennale
Realizzazione: Istituto degli Architetti del Brasile
Direzione generale: Istituto degli Architetti del Brasile (Dipartimento di San Paolo), José Armênio de Brito Cruz
Direttore dei contenuti: Marcos L. Rosa
Assistente di direzione generale: André Goldman
Assistente di direzione dei contenuti: Bruna Montuori
Coordinatori degli studi partecipanti: Catherine Otondo, Marcos L. Rosa
Periodo: settembre 2016 – dicembre 2017
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brasile , mostre
Last modified: 27 Luglio 2016