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Ugo CarughiWritten by: Patrimonio

Le Corbusier e il valore seriale delle sue opere patrimonio Unesco

Le Corbusier e il valore seriale delle sue opere patrimonio Unesco

Le 17 architetture del maestro franco-svizzero incluse nella lista non vanno considerate come un semplice “insieme” ma come una “serie”, esemplificativa nel suo carattere selettivo: qualcosa che è “oltre” ciò che si può vedere e toccare

 

Istanbul, 17 giugno 2016: la Commissione UNESCO inscrive undici edifici residenziali e sei di carattere collettivo di Le Corbusier nella lista del Patrimonio Mondiale. Il fermo imposto nel 2009 a Siviglia e nel 2011 a Parigi ad analoghe proposte sulle opere di uno dei più grandi architetti della storia sarà, col tempo, dimenticato. Ma la circostanza è degna di nota anche per motivi meno evidenti. Queste opere non vanno considerate come un semplice “insieme” ma come una “serie”, esemplificativa nel suo carattere selettivo: legate l’una all’altra da qualcosa che ne trascende la consistenza materiale, la scala dimensionale, l’uso, il rapporto con il contesto e con le circostanze storiche che le hanno originate. Qualcosa che è “oltre” ciò che si può vedere e toccare.

Come ricorda Èmilie d’Orgeix, un importante contributo all’inclusione della produzione del Novecento nelle liste del patrimonio si deve alla nascita di Do.Co.Mo.Mo. nel 1988 e del suo inventario, nel 1992. La novità non sta solo nella costituzione di una «memoria storica documentata» di valori più recenti quanto, piuttosto, nelle modalità in cui essa si concretizza. Il concetto di «eccezionalità» viene, infatti, trasferito dal singolo bene a una serie di beni accomunati da criteri tematici.

Si consideri, ad esempio, il Cabanon di Roquebrune-Cap-Martin (1951) e l’Unité d’habitation a Marsiglia (1945). Hanno entrambi una destinazione residenziale, ma non potrebbero essere più diversi. In proposito, Maristella Casciato ha posto la questione del rapporto tra autore, opera e patrimonio: «La paternità è importante quando l’opera architettonica deve essere compresa, valutata e classificata come patrimonio culturale. Nell’etimologia della parola “patrimonio”, il pater è essenziale, perché è lui che trasmette un bene ai suoi discendenti». Tra le 17 opere selezionate c’è la Corte di Giustizia di Chandigarh: una città che, come ancora osserva Casciato, «deve la sua fisionomia […] e, perché no, i suoi errori ad altri autori e non solamente al maestro franco-svizzero». Ma se quel maestro non fosse esistito, in che termini parleremmo, oggi, di questa città e delle sue architetture? Ciò che accomuna il Cabanon, l’Unité d’habitation e tante altre opere di Le Corbusier è «un’emozione così forte e intensa […] da poterla chiamare indicibile», come egli stesso scrisse nel 1956. Un’emozione in lui prodotta dai risultati ottenuti attraverso una recherche patiente sulle esigenze primarie dell’uomo. Risultati che sono da tempo – pur se “riconosciuti” solo oggi – patrimonio dell’Umanità.

Le opere sono solo veicoli. «L’unica cosa trasmissibile è il pensiero. […] Questo pensiero può diventare, o no, una vittoria del destino al di là della morte» (Le Corbusier, estate 1965)

 

La lista delle 17 opere Patrimonio Unesco

Villa Le Lac a Corseaux, Svizzera (1923)
Maisons La Roche e Jeanneret a Parigi (1923-1925)
Cité Frugès a Pessac, Francia (1924)
Maison Guiette a Anversa, Belgio (1926)
Case sperimentali alla Weissenhof-Siedlung di Stoccarda, Germania (1927)
Villa Savoye a Poissy, Francia (1928)
Immeuble Clarté a Ginevra, Svizzera (1930)
Immeuble Molitor in rue Nungesser et Coli 24 a Parigi (1931-1934)
Unité d’habitation a Marsiglia, Francia (1945)
Manifattura Duval a Saint-Dié, Francia (1946)
Casa Curutchet a La Plata, Argentina (1949)
Cappella Notre Dame du Haut a Ronchamp, Francia (1950-1955)
Cabanon a Cap Martin, Francia (1951)
Complesso del Campidoglio di Chandigarh, India (1952)
Convento di Sainte-Marie de la Tourette a Eveux-sur-l’Arbresle, Francia (1953)
Maison de la Culture a Firminy, Francia (1953)
Museo nazionale delle Belle Arti dell’Occidente a Tokyo (1955)

Autore

  • Ugo Carughi

    Nato a Napoli (1948), vi si laurea in Architettura nel 1973. Direttore presso la Soprintendenza BAP di Napoli e provincia dal 1979 al 2013 e Soprintendente reggente nel 2000. Componente del comitato tecnico per il Piano nazionale per gli archivi e l’architettura del Novecento del MiBACT (2001-2013). Membro del comitato scientifico dell’Associazione Dimore Storiche - Campania. Past-President e responsabile del settore editoriale di Do.Co.Mo.Mo. Italia ONLUS. Membro dell’ICOMOS Italian National Council. Autore di numerosi restauri e di allestimenti di mostre di architettura e arte. Premio ex-aequo al concorso per progetti pilota per la conservazione dei monumenti tra Paesi membri CEE con il progetto per la chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli (1988). Dal 1996, docenze a contratto presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, l’Università degli studi della Basilicata e l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa. Componente gruppo di redazione del Piano di Conservazione dello stadio Flaminio in Roma, per conto della Getty Foundation (Keeping it modern architectural conservation grants 2017). Componente gruppo di redazione dell’Atlante architettura contemporanea (Do.Co.Mo.Mo. Italia e Sapienza Università di Roma per MiC). Tra le principali pubblicazioni recenti: “L’area metropolitana di Napoli. 50 anni di sogni utopie realtà” (curatela con M. Visone; Napoli 2010); “Maledetti vincoli. La tutela dell’architettura contemporanea”, Torino 2012; “Time Frames: Conservation Policies for Twentieth-Century Architectural Heritage (curatela con M. Visone; Londra-New York 2017)

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Last modified: 26 Luglio 2016