Il 28 maggio la Biennale conferisce il premio alla carriera dell’architetto brasiliano il cui operato è sempre stato inteso come azione politica in grado d’incidere sul sociale
«Calcolare una struttura, o un ponte, è bello ed interessante, ma è anche banale. Ciò che non è banale è la forza del popolo che lo costruisce. Così gli eroi di un’opera importante sono i lavoratori. Ma se questi non hanno un posto dove vivere, non c’è progresso»
(Paulo Mendes da Rocha)
Non è irrilevante, in questo tempo che ad alcuni sembra quello della fine delle ideologie, sottolineare questa frase del nostro che fa data 2006 e non, ad esempio, 1968. Che poi essa venga da un architetto che ha fatto della continuità tra forma e struttura un punto di espressione architettonica, può essere interessante.
Così, dieci anni dopo il Pritzker, a Paulo Mendes da Rocha (nato nel 1928) la Biennale di Venezia attribuisce il Leone d’oro, riconoscendo in questo modo la sua carriera peculiare. La motivazione che sustanzia la proposta del direttore Alejandro Aravena è nella «straordinaria qualità della sua architettura che risiede nella durevolezza. A molti decenni dalla loro costruzione tutti i suoi progetti resistono alla prova del tempo, sia dal punto di vista stilistico che fisico. Questa coerenza, che può derivare dalla sua integrità ideologica e dalle sue capacità in campo strutturale, fa di Mendes da Rocha un provocatore anticonformista e allo stesso tempo un appassionato realista».
Apertamente dichiarandosi architetto che intende l’architettura come mezzo per risolvere problemi, «i suoi campi d’interesse vanno al di là dell’architettura in ambiti politici, sociali, geografici, storici e tecnici», continua il medaglione della Biennale, fino a specificare che «il ruolo che egli ha giocato per molte generazioni di architetti in Brasile, in America Latina e in ogni altro luogo è quello di una persona capace di unirsi a imprese condivise e collettive, e anche di attrarre gli altri a combattere per la causa del miglioramento dell’ambiente edificato».
Dunque, invece di una archistar occidentale, un architetto del Sud del mondo – un uomo di notevole spessore culturale, perfettamente dentro il tema di questa Biennale Reporting from the Front, avendo pure avuti revocati i diritti civili quando il regime militare era al potere in Brasile.
Già sodale di due comunisti quali João Vilanova Artigas (del quale è stato assistente e collaboratore e dal quale avrebbe mutuato l’attenzione al sociale) ed Oscar Niemeyer (dal quale avrebbe assorbito l’attenzione per la natura in dialogo con l’architettura), Mendes da Rocha vive e lavora a San Paolo, luogo privilegiato anche della sua costante riflessione sulla metropoli come condizione di relazionalità.
Figlio di un bravo ingegnere di ponti, tra i suoi maestri alla Universidade Mackenzie – Christiano Stockler das Neves tra gli altri – un ruolo speciale Mendes da Rocha riconosce a Roberto Rossi Zurcolo, «l’uomo che introdusse il precompresso in Brasile – un illustre ingegnere del XX secolo, fondamentale per lo sviluppo della tecnica delle costruzioni nel Paese. Era una sorta di Eugéne Freyssinet, avevamo un rispetto enorme per lui». Tanto che l’espressività strutturale della sua opera di esordio, il Centro sportivo a San Paolo (1957-61, con João de Gennaro) diventerà un tema importante per tutta la produzione a seguire. Intanto, è proprio con sostanza strutturale che questo lavoro s’insinua – per mossa di puro talento dei progettisti ed attenzione dei membri della giuria di concorso, tra i quali Rino Levi – tra le opere pubbliche del Brasile che in quegli anni si affacciano sulla scena internazionale.
Ovvero: curiosamente, sia il geniale edificio della Facoltà di Architettura e Urbanistica FAU-USP (1961-69) di Vilanova Artigas e Carlos Cascaldi, sia l’ormai iconico MASP-Museu de Arte di San Paolo (1957-68) di Lina Bo Bardi contengono attenzioni ed innovazione strutturale sviluppate – con assoluto pionierismo nel caso del MASP, prima applicazione di precompresso su edificio pubblico di tale misura in Sudamerica – dal ben noto studio di ingegneria Figueiredo Ferraz. Mentre Mendes da Rocha ricorda: «Andai allo studio Figueiredo Ferraz per ragionare della struttura, e mi fecero aspettare tre ore. Poi incontrai l’ottimo ingegnere Tulio Stucchi, e se non fosse stato per lui il Club Paulistano non si sarebbe fatto». Sembra la descrizione di un guizzo fatto di attenzione umana, prontezza di dialogo e capacità professionale.
Tra le opere pubbliche più conosciute di Mendes da Rocha, il MuBE-Museu da Escultura Brasileira (1986-95) incrocia suolo e paesaggio tematizzando il lotto d’angolo, con spazio esterno e vasche d’acqua disegnati con Roberto Burle-Marx. La parte fotograficamente più nota è la copertura, risolta con una serie di travi in precompresso ordite in parallelo a coprire 60 metri di luce complessiva. La tattica di definizione per sospensione e compressione dello spazio urbano del MASP-Museu de Arte di San Paolo di Bo Bardi riemerge come possibile riferimento, con una provocazione estrema quanto raffinata: al MuBE non c’è corpo di fabbrica ma solo la pura struttura, senza nessun’altra funzione diretta se non quella di coprire lo spazio aperto sottostante.
Un tema che Mendes da Rocha ripercorre a diverse scale – quindi con distinte implicazioni strutturali ed espressive – dalla piccola Capela de São Pedro Apóstolo (1987-89), vera e propria “rocha” [roccia, in effetti] sospesa ed aperta sul paesaggio, alla grande lastra che nel paesaggio affiora con l’edificio del Museo-scuola del parco scientifico Santo André a San Paolo (2003-07, con lo studio MMBB). Caratterizzato da un interno la cui struttura di copertura in acciaio è dichiarata senza esitazioni, esso, anche grazie al programma museale ibrido ed innovativo forse memore della sperimentazione di Pietro Maria Bardi e di Lina Bo, appare assai più vicino alla contemporaneità rispetto all’appena inaugurato Museo della Scienza di Santiago Calatrava a Rio de Janeiro.
Ancora in tema di spazi pubblici coperti e gravità strutturalmente interpretata, oltre alla nota pensilina di Praça do Patriarca a San Paolo (2002; video di Pedro Kok), vale fare almeno cenno al complesso Cais das Artes che Mendes da Rocha sta realizzando nella sua città natale di Vitória (dal 2007, con Metro Arquitetos), fino alla recente “opera prima all’estero”, il Museu dos Coches a Lisbona (2008-2015, con MMBB e Bak Gordon).
Almeno tre sono i possibili riferimenti – anche stavolta interpretati in chiave estrema – che stanno dentro l’intervento di ristrutturazione della Pinacoteca di Stato di San Paolo (1990-98). C’è la copertura del formidabile quanto radicale Padiglione brasiliano per l’Expo di Osaka (1970) – realizzato da Mendes da Rocha praticamente in esilio, in collaborazione con colleghi quali Flávio Motta, Júlio Katinski, Rui Ohtake e Jorge Caron – a sua volta legata alla soluzione a lacunari aperti in calcestruzzo armato che pervade di luce tropicale l’interno della FAU-USP, al tempo appena costruita; c’è infine una sorta di dialogo in remoto con le coperture isotrope di Mies van der Rohe, qui reloaded come sistema di travi in acciaio, “piastra aperta” a coprire le corti del museo. Attraverso la luce, nella Pinacoteca di Stato l’architetto stabilisce un dialogo peculiare con la tessitura di mattoni della struttura muraria preesistente, che diventa parte di una sorta di “paesaggio con rovine” arricchito da figure ben individuate ed autonome quali passerelle, ascensore e scale.
Mendes da Rocha è noto in Italia anche grazie alla mostra alla Triennale milanese curata da Daniele Pisani (2014), al quale si deve anche un rilevante lavoro editoriale sul nostro.
L’auspicio è che questo Leone d’oro possa favorire anche una riflessione sul momento politico che il Brasile sta attraversando – giusto nella notte tra l’11 ed il 12 maggio il controverso impeachment della presidente eletta Dilma Rousseff ha trovato ulteriore avanzamento – in un constesto sudamericano già provato dalla profonda crisi del Venezuela. Come tale questione sarà eventualmente presentata e raccolta, dirà anche del posizionamento internazionale della Biennale veneziana stessa, già proficuo laboratorio tra politica e società: del resto, due temi fondamentali nell’opera di Mendes da Rocha.
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biennale venezia 2016 , brasile , premi
Last modified: 19 Maggio 2016
[…] anche fortemente orientato verso il mondo latino. A partire dal Leone d’Oro alla carriera, di cui già abbiamo parlato, primo premio consegnato nella cerimonia a un Paulo Mendes da Rocha incredibile classe […]