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Carlo OlmoWritten by: Progetti

Ri_visitati. Grattacielo Pirelli 60 anni dopo

Ri_visitati. Grattacielo Pirelli 60 anni dopo

Una mostra, evento collaterale della XXI Triennale, festeggia la ricorrenza della realizzazione dell’edificio simbolo della modernità a Milano. Progettato da Pier Luigi Nervi e Gio Ponti, rappresenta una storia davvero esemplare

 

Il passato

Il progetto del grattacielo Pirelli è un singolare esempio di negoziazione e di volontà di forma. L’attuale forma e morfologia dell’edificio si definisce solo quando Pier Luigi Nervi affianca Giò Ponti. Collaborazione non episodica – basti ricordare quel piccolo gioiello che è l’Istituto italiano di cultura a Stoccolma – ma unica negli esiti. Un’unicità che trova nella committenza un fondamentale attore. Alberto e Piero Pirelli scelgono quel lotto perché è, come scriverebbe Arjun Appadurai, una produzione di località. Lì è nata e si è sviluppata la fabbrica e quella fabbrica è stata bombardata durante la seconda guerra mondiale. Voler costruire in quel luogo un simbolo coniuga memoria e ricostruzione, continuità e un nuovo inizio: una doppia valenza, dai toni vagamente religiosi, che trova una risposta assolutamente laica. Il grattacielo nasce da un dialogo tra due progettualità: quella tecnica e costruttiva di Nervi e quella distributiva e artistica di Ponti. Il grattacielo conosciuto per la sua forma a sogliola, in realtà è un’invenzione strutturale che libera spazi che poi sono accompagnati da un disegno preciso e raffinato sino nei sotterranei e nelle centrali dei servizi. Ma quello che davvero colpisce è come le due progettualità si fondano, al punto che solo lo straniamento del 31° piano fa emergere – falsando forse il progetto – le strutture in cemento armato, rendendole quasi scultoree; mentre una prospettiva spaziale non “inquadrata”, come invece avviene in tutti gli altri piani, segmenta i quadri di un paesaggio urbano. Il tutto per di più quasi ridicolizzato da un’escrescenza [il “blob” dedicato agli impianti a servizio della trasformazione del piano in “belvedere pubblico”, su progetto di De8 architetti nel 2007-2009; n.d.r.] che evoca una metastasi e che bisognerebbe davvero eliminare.

Agli altri piani l’assenza del corpo centrale degli ascensori che ritorna in quasi tutti gli edifici alti, resa possibile dalla struttura che Nervi ha scelto, consente una distribuzione su un asse parallelo all’asse di rotazione del grattacielo che genera due effetti distributivi ancora oggi estremamente vivibili: il corridoio come luogo non solo di svincolo ma di socialità e la luminosità davvero particolare degli spazi. Due elementi che rendono l’edificio moderno nel senso più profondo, capace cioè di rispondere alle esigenze di chi lo abita. La modernità era ed è soprattutto una risposta all’abitare, una risposta capace d’interpretare bisogni, desideri, forme organizzative della società.

 

Il presente

Ciò che colpisce nel Pirelli è la lunga durata di risposte che non appaiono condizionate dal momento storico in cui sono state formulate. Per questo oggi è ancora ”moderno”; e proprio oggi la sua unicità forse si può apprezzare ancor meglio. Come sempre è la comparazione a far risaltare i risultati più convincenti, soprattutto quando di mezzo c’è la bellezza. E basta salire al 31° piano del grattacielo per misurare la distanza che separa il Pirelli dagli altri grattacieli di Milano (e non solo). Tutti gli altri non solo potrebbero essere collocati altrove ma denunziano, in maniera quasi didascalica, la rottura tra struttura e ornamento che segna il panorama internazionale degli edifici alti. L’investimento simbolico (e di riconoscibilità) è tutto sulle facciate, con ricerche d’identità lasciate alle bizzarrie. E la prima cosa che colpisce tornando a visitare il grattacielo Pirelli è proprio l’unità formale e distributiva che lo contraddistingue e lo rende così particolare.

Il restauro, avviato dopo l’impatto del piccolo aereo del 18 aprile 2002, ha offerto alla Regione Lombardia l’occasione non solo d’intervenire sui danni che l’edificio aveva subito (localizzati al 26° piano e nei piani sovra e sottostanti), ma di mettere a punto un autentico laboratorio che, dalle tessere ceramiche della facciata al ripristino dell’auditorium nel piano interrato, ha restituito piena funzionalità all’edificio. Il restauro è stato anche l’occasione di riprendere la filologia, quasi maniacale, con cui Ponti e Nervi hanno seguito i lavori: basti ricordare le riquadrature delle finestre delle sale che ospitano gli impianti o le martellature del cemento, persino dei piedi su cui poggiano le vele che reggono le strutture e che sono del tutto invisibili allo spettatore. Il restauro ha portato a riscoprire la cura con cui ogni particolare di una struttura tanto imponente venne trattato; quasi un paradigma e un elogio del saper fare: “bene” era quasi un avverbio superfluo.

La mostra – ospitata al 26° piano, destinato a “Luogo della memoria” dopo l’incidente – consentirà di riscoprire non solo un edificio che la banalità del presente rivaluta quasi solo perché esiste, ma di riproporre il nodo di un saper far bene, come la banalità della vita quotidiana e non come esercizio artistico o ancor meno tanto eccezionale da dover essere enfatizzato in ogni forma. Quel che lo spettatore potrà ripercorrere è una normalità perduta della cura degli oggetti del proprio lavoro, che segna forse davvero il tempo che separa quel 1956 da oggi.

 

Per_approfondire

«Le età del Grattacielo. Il “Pirelli” a sessant’anni dalla posa della prima pietra»

A cura di: Alessandro Colombo con Paola Garbuglio e Francesca Rapisarda

Allestimento e grafica: Studio Cerri & Associati

Catalogo: Sagep Editori

Sede: Grattacielo Pirelli (26° piano), via Fabio Filzi 22, Milano

Dal 26 maggio all’11 settembre

Evento collaterale della XXI Triennale

 

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 18 Maggio 2016