02/da Guangzhou e Hong Kong – aprile 2016
Siamo nella città più estesa del pianeta: ci troviamo nella Cina del Sud, Provincia del Guangdong (da sola, quasi il doppio degli abitanti dell’Italia). Intorno al delta del fiume delle Perle, un’area urbana ininterrotta congiunge in senso orario Macao, Zhongshan, Foshan, Guangzhou (Canton), Dongguan, Shenzhen e Hong Kong: il ponte di 50 km in costruzione tra Macao e Hong Kong chiuderà il cerchio. Ogni giorno la città guadagna terreno su quel che resta di una società agricola che tuttavia resiste, favorita storicamente dall’abbondanza d’acqua.
Visitando il distretto di Huangdu alla periferia di Guangzhou (siamo qui per le attività del Lab aperto nel 2015 dal Politecnico di Torino per insediarsi nell’area), si riconosce il tipico meccanismo dei piani di nuova urbanizzazione, basati sul sistema del land-use. Per distribuire efficacemente i lotti ai developer e soddisfare i programmi di sviluppo a tappeto, lo strumento urbanistico procede per assegnazioni di lotti residenziali dalle grandi dimensioni, senza alcuna stratificazione. La grana con cui “si fa città” non è più l’unità domestica, come nella Cina tradizionale, ma un’area monofunzionale di varie centinaia di metri di lato: si annulla ogni possibilità di mantenere al centro dello sviluppo urbano la dimensione umana.
Lo testimoniano con efficacia gli exhibition center dedicati alla vendita, dove gli appartamenti sono esposti in scala reale e accessoriati di tutto punto ma avulsi dai loro contesti: le finestre inquadrano immagini fisse, esotiche e spaesanti, che esprimono la distanza dell’uomo dall’ambiente urbano, l’isolamento della casa dalla città, l’indifferenza al trascorrere del tempo e ai ritmi della giornata.
Tra i suoi contrasti, quest’area della Cina mostra anche una faccia opposta dell’urbanizzazione: non è raro imbattersi in sorprendenti forme di resistenza, che riescono a trattenere la dimensione umana al centro di una crescita urbana dalle proporzioni incontrollate.
Questi fenomeni sono oggetto d’interesse degli studiosi e dei progettisti più sperimentali: un ricco filone di ricerca si dedica alla scala domestica con l’obiettivo di riportarla al centro delle dinamiche urbane, cercando nuovi rapporti tra diverse scale dell’abitare. Il Domestic Transformer di Gary Chang è un noto manifesto di questo approccio: una piccola casa nel cuore di Hong Kong, in cui rispecchiare la complessità urbana organizzando 24 funzioni diverse in una stanza. Chang non punta sull’articolazione dello spazio (metà dei pochi mq, infatti, restano vuoti) ma su quella del tempo, rendendo la stanza trasformabile in base alle azioni da svolgersi nel corso della giornata. Un approccio che spiega molto del rapporto tra casa e città alla base della civiltà cinese tradizionale.
Spazio
La più antica testimonianza finora rinvenuta relativamente alla casa cinese è un’incisione presente su una tomba del periodo Han, risalente a oltre 2000 anni fa. Questa primordiale rappresentazione attribuisce molta enfasi alle aree aperte della grande casa, piene di vitalità. Invece non si riesce a individuare alcun ambiente domestico propriamente detto, se si fa riferimento a una concezione occidentale della casa fondata anzitutto sulla definizione di uno spazio racchiuso e protettivo. Nell’incisione compare solo la stanza dove siedono i due padroni di casa: si tratta però di un locale del tutto aperto, dove è ambigua la sensazione di trovarsi all’interno oppure fuori. Nella casa cinese tradizionale l’idea di spazio si diluisce e si confonde, essendo la corte il cuore della vita familiare.
Nel confronto con modelli occidentali, la casa cinese tradizionale appare molto meno esigente in termini di spazio: eppure, basandosi sulla ripetizione di un modulo elementare (Jian, contenuto tra quattro pilastri), la semplicità dell’unità domestica e il suo riprodursi l’hanno resa un prototipo universale, valido per ogni tipo di architettura. Il medesimo pattern è la base per le residenze ma anche per templi, giardini, tombe e palazzi, attraverso regole semplici che si articolano a diverse scale. Semplice, eppure capace di soddisfare i requisiti di ogni tipo di edificio, di generare architetture e di essere addirittura la base per la costruzione di città. Se non lo spazio, che cosa rende così decisivo il prototipo della casa cinese tradizionale?
Tempo
Una stampa del XII secolo, proveniente dalla provincia dello Shandong, s’intitola Festeggiare il nuovo anno insieme e raffigura una sequenza temporale riguardante la celebrazione in famiglia del capodanno cinese (immagine di copertina). La scena è domestica. Dal susseguirsi di azioni rituali, a partire dal sacrificio al Cielo e alla Terra fino all’omaggio agli antenati, si deducono informazioni sulla casa: l’atmosfera è intima e familiare; non si vede mai un soffitto che chiuda lo spazio, da cui non si capisce se le scene si svolgano in stanze, oppure nella corte; non appare nessuna apertura verso la natura (solo una pianta rigogliosa, ma dipinta su un muro); gli aspetti cerimoniali si fondono senza soluzione di continuità con quelli della vita quotidiana, come la preparazione dei cibi.
Ciò che identifica maggiormente la casa cinese non è un aspetto spaziale, quanto piuttosto temporale. L’orientamento, la distribuzione, le proporzioni della costruzione erano sottomessi a prescrizioni rigorose corrispondenti al ripetersi di azioni cerimoniali e rituali quotidiani: la concezione naturalistica della morale confuciana privilegia una nozione di tempo non lineare ma ciclico, che incide profondamente sul comportamento umano, definisce l’organizzazione dell’abitazione, conseguentemente l’architettura della casa.
L’unità domestica è la base di un sistema architettonico universale, che non deriva da una matrice spaziale. Questa impostazione temporale ha avuto storicamente un ruolo nella “costruzione” della città cinese e colloca la dimensione umana, attraverso comportamenti e rituali quotidiani, al centro del discorso architettonico e urbano.
Alcuni passaggi dei paragrafi “Spazio” e “Tempo” riprendono spunti dell’intervento dell’autore The Chinese House: the space of housing, the time of dwelling al colloquio internazionale di architettura Les Territoires du temps, Societé française des architectes (Parigi, 24-25 maggio 2013)
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cina , cronache cinesi
Last modified: 18 Maggio 2016