A Roma una mostra fa il punto su quanto è stato realizzato in Italia dal 1962 a oggi nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica. Dal 14 aprile al 15 giugno presso l’Archivio centrale dello Stato all’EUR
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ROMA. È stata inaugurata il 14 aprile alla presenza del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini la mostra “Alla ricerca di una città normale. Il ruolo dei quartieri di iniziativa pubblica nell’espansione urbana degli ultimi 50 anni in Italia”, allestita presso l’Archivio centrale dello Stato all’EUR.
La mostra propone una selezione di 60 quartieri di edilizia residenziale pubblica realizzati nelle città italiane dal 1962 a oggi, suddivisi in tre aree geografiche affidate ad altrettanti gruppi di ricerca: Associazione Culturale “Landscapefor” – Politecnico di Torino per il Nord (responsabile scientifico Paolo Castelnovi), Dipartimento di Architettura e progetto dell’Università La Sapienza di Roma per il Centro (responsabile scientifico Piero Ostilio Rossi) e Dipartimento di Ingegneria civile della Seconda Università di Napoli per il Sud (responsabile scientifico Pasquale Belfiore).
Il quadro che emerge è decisamente eterogeneo, anche per i criteri di selezione non del tutto coerenti. Al Centro, la scelta di interventi di medie e piccole dimensioni ha consentito di escludere i progetti romani più controversi e problematici come Corviale, Tor Bella Monaca e Laurentino 38 e di far scoprire quartieri meno noti, concepiti secondo criteri più attenti a soddisfare le esigenze di una cultura abitativa che nella capitale aveva trovato risposte efficaci nella città abusiva. Al Sud invece compaiono anche i grandi interventi che sono diventati il simbolo del degrado e dell’emarginazione sociale, nonché del fallimento della cultura architettonica e del pensiero modernista sulla città: le Vele di Scampia a Napoli, il quartiere Sant’Elia a Cagliari, lo Zen a Palermo, progetti molto diversi che hanno portato a risultati simili. Al Nord la selezione è ancora più ampia e include anche interventi degli anni ’50 come la Falchera a Torino e progetti più recenti come quello di Cino Zucchi nell’area ex Junghans di Venezia.
Alla fine di questo viaggio si deve concludere che hanno funzionato meglio gli interventi di dimensione contenuta, dotati di una qualità che deriva soprattutto dalla capacità di stabilire relazioni più equilibrate con i luoghi e il paesaggio. Soprattutto nei progetti degli anni ’80 si abbandonano i grandi segni per proporre nuovamente un tessuto in grado di realizzare spazi più controllati e riconoscibili, recuperando temi tradizionali e forse non del tutto superati come la strada, la corte e la piazza: nel costruire l’ambiente urbano si ricerca una “normalità” che sembrava perduta nel decennio precedente. Dalle immagini tuttavia si percepisce che in molti casi la qualità data dal disegno urbano è inficiata dal degrado fisico, che deriva dalla deperibilità dei materiali (soprattutto del calcestruzzo lasciato a vista) e dalla mancanza di manutenzione.
Si auspica quindi che l’immagine del cantiere evocata dal titolo e dall’allestimento della mostra con il percorso-ponteggio abbia nei prossimi anni un’applicazione concreta, a partire da un nuovo, serio e sistematico progetto pubblico sull’edilizia sociale e sul recupero delle periferie, in cui l’architettura contemporanea sia protagonista. Questo d’altronde lascerebbe intendere il nome che dal 2014 il MIBACT ha assegnato alla ex DARC (poi PARC, poi PaBAAC), ora Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane (DGAAP), che ha promosso la mostra (aperta fino al 15 giugno).
Immagine in evidenza: Sant’Ambrogio a Milano (foto Berti)
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mostre , periferie
Last modified: 18 Aprile 2016
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