Una riflessione sulle committenze di Renzo Piano Building Workshop negli Stati Uniti, con uno sguardo ai più recenti lavori museali (e ricordando i fasti iniziali della Collezione Menil)
NEW YORK. L’irascibile Nicolai Ouroussoff, ex critico di architettura del «New York Times», con l’apertura dell’Art Institute di Chicago nel 2009 dichiarò: «L’America sta pagando le conseguenze di un Renzo Piano affaticato». Per anni Piano è riuscito a far proprie le committenze migliori, costruendo negli Stati Uniti 13 (la maggior parte ampliamenti) dei 24 musei totali da lui disegnati in tutto il mondo. Tra gli altri, il capolavoro della Collezione Menil a Houston, che gioca magicamente sulla modulazione della luce naturale. Ma non solo. Piano è inoltre autore negli Stati Uniti di opere non museali come il quartier generale del «New York Times» e, in questi mesi, sta per concludere il cantiere legato alla prima fase del masterplan per la Columbia University (con SOM).
Sempre secondo Ouroussoff, molti dei seguaci di Piano sono convinti che il suo successo risieda nella natura “sottomessa” dei suoi progetti; sofisticati ma mai troppo imponenti o estranei al luogo. Progetti quasi «fatti su misura per rasserenare le insicurezze delle committenze». Altri invidiano quell’eleganza progettuale, facendo sembrare Piano perfettamente di casa sia in consigli di amministrazione che in circoli culturali.
Se questo può ritenersi vero per la maggior parte delle sue opere, certamente non lo è per il suo più recente museo, l’ingegnoso Whitney su Gansvoort Street, inaugurato l’1 maggio 2015 dopo aver traslocato dall’edificio di Marcel Breuer. Il nuovo Whitney (nell’immagine di copertina), che potrebbe semplicemente sembrare un altro degli ampliamenti di Piano – anche se perfettamente in linea con la stessa Mahattan -, grazie ai suoi loft e alle scale “industriali” che connettono drammaticamente piattaforme metalliche a cascata da dove ammirare alcune delle più belle viste di New York, proprio sopra l’iconica High Line, sfacciatamente fa eco allo splendido e brutale vigore della città. Prima di scegliere Piano, i garanti finanziari del Whitney hanno intervistato molteplici potenziali progettisti, chiedendo a ciascuno di menzionare un museo che ritenessero il loro favorito. Secondo Stephen Soba, direttore comunicazioni del Whitney, tutti menzionarono il Menil. «Questo rese la scelta obbligata».
Questo tipo di celebrazione di un piccolo museo “di quartiere” – il suo primo negli Stati Uniti – sembra confermare la “reputazione” acquisita da Piano oltreoceano, riportando importanti incarichi come l’espansione dell’Art Institute di Chicago (AIC). Con la sua delicata struttura come brillante controparte dell’edificio Beaux Arts del 1893, l’AIC esalta le collezioni esposte grazie alle gallerie irrorate da luce naturale – un esempio lampante di quella modulazione luminosa che Piano ha da sempre raffinato dai tempi del Menil. La Morgan Library a New York, un elegante gruppo di edifici – un “villaggio della memoria” – circondato dalla densità urbana di Manhattan, ingegnosamente si erige dal terreno in risposta all’eccessiva edificazione del contesto. La California Academy of Sciences di San Francisco insieme alle addizioni museali a Los Angeles, Boston, Chicago e – anche se di minor successo – il controverso ampliamento del Museo Kimbell a Forth Worth, spiegano dunque l’enorme richiesta per un architetto “go-to”.
Quando l’AIC ha aperto i battenti nel 2009, però, al picco della “grande recessione”, nei media si sollevò la questione se il declino della domanda di musei nella nazione potesse significare la fine della cornucopia di Piano. Il tutto non fu aiutato dalle nuvole nere che si accumulavano sopra il suo ultimo progetto per l’Academy Museum of Motion Pictures a Los Angeles, legato ad alcune contestazioni di associazioni locali nei confronti della committenza. Come il «Los Angeles Times» ha suggerito, «Quando l’intervento sarà finalmente completato, qualcuno dovrà sicuramente scrivere lo scenario della drammatica saga di un progetto che, dopo anni di supposta costrizione in Hollywood, finalmente approda a fianco al LACMA [Los Angeles County Museum of Art; n.d.r.] sul Miracle Mile». Secondo «The Hollywood Reporter», «per prima ci sarà la demolizione del retro che venne aggiunta nel 1946. Questo riporterà l’edificio al suo stato originale del 1939, facendo spazio alla gigantesca sfera – fungente da teatro e osservatorio – che verrà posta nel retro. I test strutturali sono stati eseguiti per assicurare che il peso di mille posti possa essere sostenuto».
È comunque difficile che i lavori possano essere portati a termine per il 2017, come inizialmente annunciato. La questione che si solleva più precisamente è se verrà aperta la porta ad altri professionisti, in particolare tra le nuove generazioni. Magari interrompendo così l’attrazione quasi esclusiva per le star.
Traduzione di Manuela Martorelli
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musei , new york , renzo piano
Last modified: 30 Marzo 2016
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