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Alessandro ColomboWritten by: Interviste Patrimonio

Natascha Drabbe: il network delle Iconic Houses del XX secolo

Natascha Drabbe: il network delle Iconic Houses del XX secolo

In occasione della quarta conferenza internazionale, intervista alla fondatrice del network che riunisce 150 tra capolavori e tesori da scoprire dell’architettura residenziale dell’intero XX secolo

 

LOS ANGELES. Iconic Houses è un network internazionale che mette in rete le case più rappresentative del XX secolo, aperte al pubblico come museo. Col titolo A California State of Mind – The Modern House Museum in Southern California, i delegati si sono riuniti dal 17 al 19 febbraio al Getty Museum Center per la quarta Conferenza internazionale con l’intento di riflettere su quello che è definito “un settore museale emergente” nella terra che è la “mecca del Modernismo” e che ospita il tesoro dell’architettura residenziale moderna. Oltre agli incontri, il programma ha contemplato la visita di quattro case-museo di Los Angeles, normalmente non accessibili: la Gamble House dei fratelli Greene, la Schindler House di Rudolf Schindler, la VDL House di Richard Neutra e la Hollyhock House di Frank Lloyd Wright. Ne abbiamo discusso con Natascha Drabbe, fondatrice di Iconic Houses.

 

Com’è stata preparata la quarta conferenza internazionale di Iconic Houses?

Dovendo organizzare l’incontro a Los Angeles ho avuto modo di compiere ricerche approfondite alle quali le persone del posto hanno guardato con attenzione perché ho portato alla luce interessanti architetture e architetti che loro non conoscevano. È bello sorprendere le persone. Come nel caso del nostro ospite d’onore Harry Gesner.

 

Di chi si tratta?

Non avevo mai sentito parlare di lui. Me ne è giunta notizia la prima volta al Getty Center. Su quella collina c’è una villa del 1965. Quando Richard Meier si presentò alla commissione per la costruzione del Getty, la gente del museo gli disse: “C’è una villa sulla collina, ma si può abbattere e così puoi costruire quello che vuoi”. Meier osservò: “Sì, ma quella villa è stata disegnata da Harry Gesner ed è uno dei suoi migliori progetti, quindi non la abbatteremo ma la restaureremo”. La villa, restaurata con un milione di dollari, è chiamata Getty House. Durante la costruzione del Getty, Meier non soggiornò mai in hotel ma sempre in questa villa che ora accoglie gli ospiti speciali del Getty. La residenza è piuttosto piccola, ma è molto interessante il disegno della piscina che entra all’interno dal soggiorno e raggiunge la sala da bagno. Durante il soggiorno di Meier un ladro s’introdusse da questo passaggio e rubò ogni cosa. Così dovettero chiuderlo. Nella villa abbiamo tenuto il ricevimento, ma solo per 40 persone; da lì si vedeva tutta Los Angeles. Gesner, che ora ha 90 anni, ha disegnato molte ville in stile organico: ve n’è una a Malibu e noi l’abbiamo visitata insieme a lui. Non ho mai conosciuto un 90enne così vibrante. Egli rappresenta il modo di vivere californiano…

 

In Italia abbiamo Luigi Caccia Dominioni che poche settimane fa si è presentato alla Triennale di Milano per ritirare la Medaglia d’oro alla carriera all’età di 102 anni…

Gli architetti sono gente tosta.

 

Speriamo… Ci parli delle precedenti edizioni della conferenza.

La prima non fu organizzata da noi ma si tenne a Palm Springs e fu la prima volta che si parlò per un’ intera giornata di Iconic Houses. Quindi ci fu Londra organizzata con l’Istituto finlandese, poi Barcellona.

 

Ormai avete una storia alle spalle.

Certo alcuni dei nostri membri hanno un’anzianità di cinque anni!

 

Può fare un bilancio?

Sono un’organizzatrice fragile perché ho sempre pochi soldi, ma questo è l’anno di Iconic Houses 2.0. Vogliamo realmente realizzare un progetto che procuri degli Iconic Brands che ci supportino. Non abbiamo risorse ma possiamo dire che tutte le più importanti case del XX secolo aperte al pubblico sono nel network. Questo significa che abbiamo le sei case incluse nella lista Unisco: di Wright, Le Corbusier, Mies van der Rohe, Aalto. Contiamo 150 membri ma a volte mi capita di compiere delle ricerche e scoprire che alcune case sono andate distrutte o trovarne altre che è come se comparissero dal nulla. Ad esempio in Polonia abbiamo trovato la casa Oskar Hansen (teorizzatore dell’Open Form, per la quale sono gli abitanti a decidere il layout della residenza e l’architetto li mette in grado di realizzarlo) e durante le vacanze di Natale è saltata fuori la casa di Herman Hertzberger a Delft, una dimora sperimentale degli anni 70. Il proprietario ci ha aperto la casa per le visite, chiedendoci di aderire al network. Ovviamente l’abbiamo accettato; tuttavia, sono sempre sorpresa dallo scoprire che cosa ci sia là fuori e che io non conosco. In questo modo noi stiamo crescendo, parallelamente all’interesse del pubblico a visitare queste abitazioni.

 

Come definirebbe la sua mission? Sta combattendo con lo spazio e con il tempo: lo spazio enorme del mondo dove le case sono “nascoste” e il tempo che pian piano le distrugge…

In totale oggi il network conta 150 case ma, nella mia lista dei desideri, di case architettonicamente significative del XX secolo credo ce ne siano da aggiungere ancora un centinaio. Per esempio, in Italia ci sono dieci case che vorrei includere ma alcune non sono ancora state restaurate e pronte per essere aperte al pubblico: ad esempio villa Girasole a Marcellise (Verona), di Angelo Invernizzi (1929-35), la villa dei direttori dello zuccherificio Schiaffino a Sermide (Mantova), di Renzo Zavanella (1931-39), o la casa-albero a Fregene (Roma), di Giuseppe Perugini, Raynaldo Perugini e Uga De Plaisant (1968-71). Tuttavia, la lista è lunga: basti pensare a casa Malaparte, a Capri (Napoli), di Adalberto Libera (1938-42), che non è visitabile. In Italia, solo casa Cattaneo a Cernobbio (Como), di Cesare Cattaneo (1938-39), fa parte del nostro network, mentre in Spagna ne contiamo tredici.

 

Se dei proprietari italiani volessero diventare membri, che cosa devono fare?

Ci contattano e noi diamo loro un link per registrarsi; poi esamineremo con il board e i nostri esperti locali se la candidatura è all’altezza. Abbiamo fatto così ad esempio con villa Tugendhat di Mies van der Rohe a Brno (Repubblica Ceca), per capire le condizioni e l’integrità rispetto al progetto originario: così possiamo dare l’ok. Ci sono cinque differenti livelli di membership a partire da una quota d’iscrizione molto bassa. Noi pensiamo che la qualità sia la cosa più importante e la maggior parte di queste case dispongono di piccoli budget, per questo vogliamo tenere basso il livello d’ingresso nel network.

 

Qual è il suo criterio per giudicare le case che possono essere ammesse?

È difficile dirlo… Il primo criterio è se le case possiedono una reputazione, se le si può trovare nei libri di storia, se si può provare che si sia scritto di esse…

 

Cioè un criterio di riconoscimento e citazione?

Sì, ma è difficile perché se si pone questo come criterio principe, allora si rischia di non riconoscere le “gemme” nascoste disegnate da qualcuno che magari non era connesso con il mondo accademico e della pubblicistica. È il caso di Gesner, come detto, che ha vissuto la sua vita a Malibu ed è stato un architetto indipendente. Durante la sua carriera non si è scritto molto di lui ma noi ora possiamo chiaramente vedere come il corpus delle sue realizzazioni sia considerevole, così possiamo giudicarlo positivamente e includerlo.

 

Un lavoro difficile…

Un lavoro faticoso perché siamo in pochi…

 

Progetti per il futuro?

Vorremmo curare delle pubblicazioni; non libri da salotto pieni di belle immagini ma libri che parlino delle case che effettivamente si possono visitare, affinché il pubblico possa programmare i propri viaggi, delle vere e proprie guide.

 

Per_approfondire

Chi è Natascha Drabbe

Nata a Harderwijk (Olanda) nel 1966, si laurea in Storia dell’architettura all’Università di Utrecht nel 1992. Nel 2009 avvia il progetto Iconic Houses (dal 2011 con Susanna Pettersson, all’epoca direttrice della Fondazione Alvar Aalto). Nel novembre l’iniziativa diventa ufficiale con il lancio del sito web e la costituzione del direttivo di cui fanno parte anche Iveta Černá, Kimberli Meyer e Lynda Waggoner (rispettivamente alla guida di villa Tugendhat, della Schinder House e della Casa sulla cascata), oltre a Willie van Burgsteden, dell’agenzia creativa Mixed Flavours. Inoltre, Drabbe è titolare di Cultural Connections, agenzia di pubbliche relazioni per l’architettura e il design basata ad Amsterdam. Dal 2002 al 2006 ha gestito progetti per la Fondazione Premsela (che, da allora, insieme ad altre organizzazioni ha fondato il Nieuwe Instituut). È membro di giurie internazionali e autrice di varie pubblicazioni, tra cui nel 2014 un libro sulla Van Schijndel House ad Amsterdam, dove attualmente risiede.

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 21 Febbraio 2016