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Lucia Pierro e Marco ScarpinatoWritten by: Patrimonio

Gibellina, tra Cretto finito (da tutelare) e città nuova incompiuta

Gibellina, tra Cretto finito (da tutelare) e città nuova incompiuta

Cartolina dal Belice dove, a trent’anni dall’inizio dell’opera e a cent’anni dalla nascita di Alberto Burri, è stato concluso il “Grande cretto”. Ma già se ne attende il restauro, mentre Gibellina nuova non ha saputo costruire un’idea di urbanità

 

Il passato

GIBELLINA (TRAPANI). Alberto Burri giunge in Sicilia nel 1981 per contribuire alla realizzazione di quella grande utopia che, dopo il sisma del 1968 nel Belice, puntava a ricostruire l’identità urbana con il contributo di artisti e architetti chiamati a rifondare Gibellina. Ritenendola priva di riconoscibilità, l’artista umbro decise di non intervenire nella città nuova e, dinnanzi al cumulo di macerie della vecchia, propose di ricoprire con una colata di cemento bianco i resti mantenendone intatto l’impianto urbano. L’idea fu accolta con entusiasmo dall’allora sindaco Ludovico Corrao, e Burri iniziò a preparare un modello dell’opera che s’inserisce nel solco della produzione dei “cretti” che caratterizza l’ultima fase del suo lavoro. Dal 1973 l’artista, applicando una miscela di vinavil e caolino su cellotex, aveva infatti cominciato a lavorare sulle potenzialità espressive della materia disidratata elaborando una prima lunga serie di pannelli caratterizzati da solchi irregolari e profondi come un terreno arido in bilico tra artificio e natura, fino a realizzare, nel 1977-78, due “cretti neri” di 5 x 15 m rispettivamente destinati al giardino delle sculture Franklin D. Murphy dell’Università di Los Angeles (UCLA) e al Museo di Capodimonte a Napoli.

Ma il “Grande cretto” di Gibellina è un’opera di dimensioni ben più straordinarie che, nelle intenzioni di Burri, avrebbe dovuto coprire 86.000 mq. Attraverso il potente gesto artistico, le macerie dell’antico insediamento assumono nuova vita e significati e prende forma un’opera che, a scala territoriale, appare come un immenso sudario che si distende sulla collina mentre, al visitatore che lo percorra, si rivela come un bianco labirinto i cui meandri trasudano ancora della vita interrotta dal tragico evento del terremoto.

Dovendo fare i conti con un budget limitato, il “Grande cretto” è realizzato anche grazie a qualche sotterfugio: spacciare la costruzione come “opere di sistemazione idrogeologica del vecchio sito urbano” per attingere a fondi pubblici e imporre alle ditte vincitrici di appalti nella nuova Gibellina di fornire gratuitamente lavoro e materiali per contribuire all’opera. Corrao, inoltre, ottiene l’intervento del Genio militare che compatta le rovine ingabbiandole in reti metalliche e riceve la sponsorizzazione da Italcementi che, in occasione del lancio del prodotto “Aquila bianca”, fa dono del cemento occorrente. Ciò malgrado, i lavori avviati nel 1985 sono interrotti nel 1989 per mancanza di fondi, lasciando l’opera compiuta per un’estensione di circa 65.000 mq. Burri visiterà Gibellina una sola volta e, come raccontato dal fotografo Vittorugo Contino che documenta l’incontro dell’artista con la sua più grande opera, ne rimarrà quasi deluso poiché l’aveva immaginata molto più vasta.

Dopo la morte di Burri (1997) e la fine della lunga stagione di Corrao, il “Grande cretto” cade nel disinteresse e versa nel degrado. Le nuove amministrazioni non riuscono a finanziarne il completamento e nessuno protesta quando il Comune prima autorizza la realizzazione di un impianto eolico sullo sfondo e poi sceglie di pavimentare con lo stesso cemento bianco un parcheggio e il tratto di strada adiacenti annullando, nei fatti, la percezione dell’opera.

 

Il presente

Il primo accenno d’interesse per il “Grande cretto” si ha nel 2007, quando l’antenna per il contemporaneo della Regione, attraverso il “Cantiere della conoscenza”, compie una serie di rilievi volti alla salvaguardia dell’opera. Nel 2011, poi, Regione e Ministero dei Beni culturali, rispondendo a un appello firmato da un nutrito gruppo d’intellettuali (tra cui Claudio Abbado, Marina Abramovic, Franco Battiato, Vincenzo Consolo, Jan Fabre, Arata Isozaki, Mario Martone, Renzo Piano, Arnaldo Pomodoro e Bob Wilson), stanziano le somme per la tutela e il completamento di una delle più vaste opere di land art in Europa.

Terminato ad aprile 2015 in occasione del centenario della nascita di Burri e costato 2,4 milioni, il completamento è frutto del lavoro congiunto di Regione e Comune in collaborazione con la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Per l’occasione, dal 25 luglio al 15 settembre 2015, il Museo Riso di Palermo ha ospitato la mostra monografica “Burri e i cretti”. Intanto, il 17 ottobre 2015, in occasione del centenario della nascita di Burri, la multinazionale energetica E.ON – che in prossimità del Cretto ha installato le avversate pale eoliche – e il Comune hanno inaugurato il completamento dell’opera presentando, nell’ambito della prima edizione del “Cretto Earth Fest”, l’opera per luci e suoni “AudioGHost68”, appositamente concepita dall’artista Giancarlo Neri e dal musicista angloitaliano Robert Del Naja. Una manifestazione – finanziata da E.On con 40.000 euro – durante la quale sono state distribuite agli attori-spettatori centinaia di lampadine a led da indossare per percorrere nel buio della notte il labirinto componendo un mosaico luminoso accompagnato da suoni e parole del 1968 provenienti da centinaia di vecchie radio.

 

Il futuro

La Regione sembra finalmente aver accolto a pieno titolo il “Grande cretto” tra le opere oggetto di tutela. Parrebbe iniziata una nuova fase ma va detto che, come per le altre opere di Gibellina, il problema della tutela di questo immenso museo a cielo aperto è tuttora irrisolto. Infatti, mentre a giugno dal Palazzo di Lorenzo è stata trafugata la scultura del “Serpente” in bronzo di Pier Giulio Montalto, poi ritrovata in quattro pezzi pronti per essere fusi, il 25 settembre l’area del Cretto è stata saccheggiata da malviventi che hanno asportato numerosi lastroni in pietra dell’antica pavimentazione di Gibellina vecchia.

A breve si attende che la Soprintendenza bandisca la gara per il restauro dell’opera, il cui finanziamento (Mibact e Lottomatica) ammonta a 1,1 milioni. Nell’intervento è anche prevista la realizzazione di un presidio informativo sull’opera e la sua storia. Un’adeguata segnaletica e altri servizi di comunicazione dipenderanno invece da un altro progetto regionale di riqualificazione territoriale inerente il “Grande cretto”.

Mentre ci si augura che questo rinnovato interesse possa contribuire al rilancio dell’opera di Burri e dell’intero museo all’aperto di Gibellina, non vorremmo che lo spostare tutta l’attenzione sul “Grande cretto” col suo indubitabile valore artistico faccia calare un velo d’indifferenza verso l’altra immensa opera incompiuta che è Gibellina nuova. Una città che, ancora adesso, non ha un’immagine figurativa chiara e non ha saputo costruire un’idea di urbanità. Questa indeterminatezza e incompletezza che investe tutti i centri della ricostruzione del Belice dovrebbe dare spunto a un ripensamento su come intervenire dopo le catastrofi naturali.

Autore

  • Lucia Pierro e Marco Scarpinato

    Scrivono per «Il Giornale dell’Architettura» dal 2006. Lucia Pierro, dopo la laurea in Architettura all'Università di Palermo, consegue un master in Restauro architettonico e recupero edilizio, urbano e ambientale presso la Facoltà di Architettura RomaTre e un dottorato di ricerca in Conservazione dei beni architettonici al Politecnico di Milano. Marco Scarpinato è architetto laureato all'Università di Palermo, dove si è successivamente specializzato in Architettura dei giardini e progetto del paesaggio presso la Scuola triennale di architettura del paesaggio dell'UNIPA. Dal 2010 svolge attività di ricerca all’E.R. AMC dell’E.D. SIA a Tunisi. Vive e lavora tra Palermo e Amsterdam. Nel 1998 Marco Scarpinato e Lucia Pierro fondano AutonomeForme | Architettura con l'obiettivo di definire nuove strategie urbane basando l'attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio e la collaborazione interdisciplinare. Il team interviene a piccola e grande scala, curando tra gli altri progetti di waterfront, aree industriali dismesse e nuove centralità urbane e ottenendo riconoscimenti in premi e concorsi di progettazione internazionali. Hanno collaborato con Herman Hertzberger, Grafton Architects, Henning Larsen Architects e Next Architect. Nel 2013 vincono la medaglia d'oro del premio Holcim Europe con il progetto di riqualificazione di Saline Joniche che s'inserisce nel progetto "Paesaggi resilienti" che AutonomeForme sviluppa dal 2000 dedicandosi ai temi della sostenibilità e al riutilizzo delle aree industriali dismesse con ulteriori progetti a Napoli, Catania, Messina e Palermo. Parallelamente all'attività professionale il gruppo sviluppa il progetto di ricerca "Avvistamenti | Creatività contemporanea" e cura l'attività di pubblicistica attraverso Plurima

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Last modified: 7 Maggio 2017