Una mostra alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine di Parigi sul progetto della capitale del Punjab ad opera di Le Corbusier, Pierre Jeanneret, Jane Drew e Maxwell Fry ma anche sui modi in cui è vissuta oggi e si è trasformata
PARIGI. A seguito della partizione dell’India nel 1947 secondo la linea Radcliffe, il Punjab fu diviso tra India e Pakistan. La capitale, Lahore, rimase in Pakistan. Alla parte indiana serviva una nuova capitale. Il capo del governo Nehru, volendo fare di questa nuova città, Chandigarh, una vetrina della modernità e dei valori del nuovo stato ne affidò la pianificazione e la costruzione agli architetti Albert Mayer – di New York, conosciuto per il suo concetto di villaggi modello – e Maciej Nowicki – un polacco che aveva lavorato alle prime fasi della ricostruzione di Varsavia e si era trasferito a New York. Dopo la morte accidentale di Nowicki, il governo indiano affidò nel 1950 il progetto a Le Corbusier il quale, con la collaborazione di suo cugino Pierre Jeanneret, della coppia di architetti inglesi Jane Drew e Maxwell Fry e di un team di giovani architetti indiani, confermò gran parte della strutturazione del piano di Mayer e Nowicki, adattandola alle proprie visioni.
«Chandigarh: 50 ans après Le Corbusier» rivisita questa storia alla luce non solo di documenti originali relativi alle fasi di concezione del progetto, ma anche di uno sguardo sull’evoluzione della città fino ai giorni nostri.
La mostra si organizza attorno a due dimensioni: quella legata alla presentazione di un’ampia selezione di opere originali di Le Corbusier e delle équipe locali, prestate dalla Fondation Le Corbusier, e quella relativa alla proiezione di opere video dell’artista Christian Barani. Sul lato destro, i documenti d’archivio presentano la città così come Le Corbusier, Pierre Jeanneret, Jane Drew, Maxwell Fry e i loro colleghi e dipendenti indiani l’hanno disegnata e costruita. Sul lato sinistro i video illustrano la situazione della città oggi, tra patrimonializzazione, appropriazione ed estensione. Al centro si trovano modelli che presentano tutta la tipologia dell’abitato ideata dai progettisti, così come l’organizzazione spaziale dei vari settori della città. Alcuni dispositivi interattivi permettono al visitatore di esplorare più a fondo i vari temi della mostra, fornendo elementi d’interpretazione e di analisi. Tra l’altro, una riflessione sulla gerarchia delle circolazioni, attorno alla teorizzazione di 7 tipi di strade.
La parte storica presenta pure i quaderni di Le Corbusier che rivelano le tappe della maturazione della sua idea di città in questo contesto sub-tropicale. Di particolare interesse sono anche i documenti relativi alla collaborazione tra Le Corbusier e Balkrishna Vithaldas Doshi sullo studio delle condizioni climatiche e delle loro conseguenze sul progetto urbano e architettonico. L’insieme di documenti, tra piani, lettere e disegni, testimonia anche del costante dialogo tra Parigi e Chandigarh, dove Jeanneret si era installato e conduceva non solo i lavori sui numerosi cantieri della città ma anche gran parte della concezione architettonica e urbana. Una collezione di fotografie prestate dalla Fondazione Charlotte Perriand illustra queste fasi finora poco conosciute. La parte storica termina con la presentazione del progetto di Le Corbusier per il centro governativo della città, il famoso Campidoglio.
I video di Barani (con le musiche di Bertrand Gauguet), invece, con una precisa e molto tenera insistenza, invitano ad andare oltre i cliché di una città moderna installata artificialmente in un ambiente esotico. Vi si mostrano le condizioni di vita degli abitanti nei vari tipi di case della città lecorbusieriana ma anche tutte le modalità di appropriazione dello spazio in una città che conta oggi più di 1,2 milioni di abitanti: sistemazione degli interni, commercio informale negli interstizi della trama urbana, inventività dei vari piccoli mestieri della strada, contrasto con la città contemporanea in espansione, fatta di case popolari poco lecorbusieriane (ma anche quelle del cuore urbano, come illustra la mostra, sono più ascrivibili più a Jeanneret, Fry e Drew che a Le Corbusier, il cui progetto di casa non è stato costruito), di condomini, slum e shopping mall. Per guaradare questi film il visitatore si può installare su copie delle sedie disegnate da Jeanneret per gli edifici della città.
Questa mostra, insomma, è pertinente a più di un titolo. C’è soprattutto la rivalutazione del lavoro di Pierre Jeanneret, che ha vissuto 15 anni a Chandigarh e ha non solo diretto i cantieri ma anche concepito molti edifici e conferito gran parte della sua anima alla città. C’è anche l’idea forte, in rottura con il cliché di una città moderna inserita fuori contesto, di una pianificazione urbana in sintonia con il terreno locale: il fiume è al centro della città e ne costituisce un asse strutturante; i rilievi sono usati nella scenografia urbana per dare la sua forma alla città e la natura viene usata come struttura, come dimostrano le bellissime tabelle di programmazione della vegetazione a seconda della tipologia degli spazi e delle strade. In rottura con i cliché c’è anche l’illustrazione dell’idea di Le Corbusier di un’autosufficienza agricola per la città moderna. Infine, la mostra consente anche di rivalutare l’apporto degli architetti indiani al progetto, così come il suo impatto su tutta una generazione, dalla quale spunta un personaggio come Bijoy Jain, come si può capire dalla serie d’interviste proiettate in una saletta in fondo allo spazio espositivo. L’unico punto non affrontato dai curatori riguarda il dialogo con le autorità indiane e con l’apparato locale e federale di pianificazione.
«Chandigarh: 50 ans après Le Corbusier»
Cité de l’Architecture et du Patrimoine, Parigi fino al 29 febbraio 2016
A cura di Enrico Chapel, Thierry Mandoul e Rémi Papillault con Martin Gillot
About Author
Tag
india , mostre
Last modified: 27 Gennaio 2016