Riflessioni a margine della recente scomparsa del designer (tedesco o italiano?)
Il 31 dicembre scorso è scomparso Richard Sapper. Nato a Monaco di Baviera nel 1932, ha collezionato 10 Compassi d’Oro, più uno alla carriera. Suoi prodotti sono presenti nelle collezioni permanenti di molti musei, fra cui il MoMA Art di New York, il Victoria & Albert Museum di Londra e il Triennale Design Museum di Milano. Ha insegnato, fra altre, alla Yale University, al Royal College of Art a Londra, alla Kunstakademie di Stoccarda e alla Hochschule für Angewandte Kunst di Vienna.
«I’ve been working in design for over 50 years and most people still don’t know my work». Così si espresse Sapper durante un’intervista di Alyn Griffiths pubblicata il 19 giugno 2013 su Dezeen. Di ragioni ne aveva da vendere: pur trascurando sciapi e inconcludenti coccodrilli confezionati all’acqua di rose usciti negli ultimi giorni sulla stampa generalista (non solo italica) che hanno riportato notizia del suo trapasso, giusto ad esempio, non è ancora precisamente documentato quale sia stato il suo reale apporto in più di un progetto importante da lui cofirmato. A proposito, Bavarese o Italiano? Non è questione di lana caprina, essendo che in Italia ha lavorato e vissuto da fine anni 50, elaborando molti progetti, formandosi però in Germania.
Il racconto continua: «Quelli con Gio Ponti sono stati gli anni più belli della mia vita. Il suo studio era una specie di circo, con ragazzi che arrivavano da tutto il mondo. Alberto Rosselli era a capo del reparto design. A quell’epoca, il designer era uno sconosciuto, contava l’oggetto; nessuno, a parte gli addetti ai lavori, sapeva chi l’avesse disegnato […] Il contesto del design di allora è paragonabile solo con quello della Cina di oggi o di Seul di tre anni fa: economia in pieno sviluppo, situazione da miracolo economico». Ecco quel che disse Sapper durante un’intervista a Olga Piscitelli pubblicata il 30 maggio 2011 sul «Corriere». Curiosamente, nell’obituary apparso su The Telegraph, Henrietta Thompson parla del «his long time collaborator Marco Zanuso, the Italian architect and designer with whom he designed a series of radios and televisions for Brionvega». Un ribaltamento di ruoli rispetto alle attribuzioni cui siamo usi. Si tratta di persona poco informata?
«We were very sad». Della scomparsa di Sapper, ha dato notizia in un comunicato la casa editrice Phaidon che, a giugno, pubblicherà una monografia firmata dal 31enne designer californiano Jonathan Olivares.
Chi era Sapper? Pro grande pubblico è stato dato risalto al gran rifiuto opposto a Steve Jobs. E al sincero rammarico per la decisione perché «the man who then did it [Jonathan Ive] makes $30 million a year»! Semplicemente al tempo la decisione maturò considerando che «the circumstances weren’t right because I didn’t want to move to California and I had very interesting work here that I didn’t want to abandon. Also, at that time Apple was not a great company, it was just a small computer company. They were doing interesting things so I was very interested, of course, but I had an exclusivity contract with Ibm». Sembra tuttavia più interessante apprendere che Sapper nutriva fede nella moralità del design. Stimava il lavoro realizzato da Ive e Jobs ad Apple, perché credeva quanto quella società fosse un’eccezione entro un panorama di aziende generalmente degradato dall’eccessivo orientamento al profitto: «If a company asks me to design something, the first thing I hear is how much money they’re making, how much money they want to make, and I’m expected to produce the difference. It is a completely different relationship and it isn’t as much fun to work in such a relationship. From that point of view, my profession has degraded».
È vero: i tempi sono cambiati, la comune spinta ideale che associava imprenditori interessati a produrre dei validi oggetti e designer a studiare un buon prodotto probabilmente è stata immolata sull’altare del puro profitto. Ma…
Ma, anche se è vero quel che affermava ultimamente il Nostro («Today, most of my clients are so big that there is no one person who is responsible for the appearance of the product»), le recenti pratiche di autoproduzione e le nuove tecnologie come, fra altre, la stampa tridimensionale, ci permettono già ora di architettare una rinnovata etica del design, traendo ispirazione pure dagli alacri sessant’anni professati da Sapper.