La nuova sezione del Museo degli affreschi Cavalcaselle alla Tomba di Giulietta completa l’offerta scaligera con un allestimento di grande appeal scenografico
VERONA. Con l’inaugurazione – il 14 novembre – del rinnovato Museo degli affreschi Giovanni Battista Cavalcaselle alla Tomba di Giulietta, il panorama museale scaligero annovera una nuova importante presenza, destinata ad affiancarsi, con ruolo vicario ma finalmente dotato di una precisa identità, al caposaldo del Museo di Castelvecchio, opera tra le più studiate e apprezzate di Carlo Scarpa.
Sorto nel 1973 con la mission di conservare ed esporre importanti opere medievali e rinascimentali relative alla storia urbana locale, il museo era stato voluto dall’allora direttore dei musei civici Licisco Magagnato che aveva di fatto guidato il recupero degli spazi dell’ex convento di San Francesco al Corso avvalendosi dei tecnici comunali, entro quel milieu che permeava la città con Scarpa ancora operante a Castelvecchio: ne sono traccia evidente alcune soluzioni spaziali, materiali ed elementi di finitura.
Nonostante alcuni lavori eseguiti a più riprese nel corso degli anni, il museo soffriva una certa ristrettezza e frammentarietà degli spazi, e i circa 85.000 visitatori annui – un numero rilevante – si dovevano in buona sostanza alla presenza nel percorso di visita della Tomba di Giulietta, immancabile tappa internazional-popolare accanto all’omologo balcone: due geniali creazioni a-storiche risalenti al primo Novecento, realizzate con materiali di recupero e un pionieristico spirito del marketing culturale urbano.
Solo nel 2008 veniva avviato il restauro e consolidamento statico dell’ala meridionale dell’ex convento che ancora versava in condizioni assai precarie; da allora si è dovuto attendere fino a oggi per la riapertura, premiando la tenacia della direzione dei Musei civici guidata da Paola Marini, della struttura tecnica comunale e dell’architetto Valter Rossetto, chiamato a dare il proprio contributo in tutte le fasi del progetto.
Gli spazi recuperati hanno consentito di esporre una rilevante quantità di opere prima collocate nei depositi, e di dare linearità cronologica all’ordinamento. La disposizione dei reperti è l’esito felice di quel dialogo fruttuoso tra museologi e museografi in cui consiste, al di là di ogni riferimento formale, l’autentica eredità della grande stagione dei musei italiani del dopoguerra.
È un piccola e suggestiva sala ad accogliere i visitatori al primo livello della nuova ala: qui sono esposti reperti alto medievali di grande valore decorativo, custoditi da teche espositive in tubolari metallici e lamiere ripiegate. È l’ambiente più disegnato, quasi un passaggio di testimone con l’eredità museale cittadina nell’evidente omaggio al “sacello” di Castelvecchio. Da qui, nella vastità delle grandi sale, gli affreschi staccati sono sistemati prevalentemente a parete, in alcuni casi raggruppati su pannellature di fondo per rendere unitaria la lettura di alcuni frammenti.
Un unicum di grande efficacia scenografica è rappresentato dai sottarchi trecenteschi con ritratti di imperatori romani provenienti dalla Loggia di Cansignorio e affrescati da Altichiero: per consentire un’adeguata lettura dal basso, sono sospesi al soffitto scuro e illuminati da apparecchi integrati nella struttura di supporto. Assieme ai riflessi della pavimentazione lapidea, di tonalità neutra, e al controllo dell’illuminazione naturale cangiante nel corso della giornata, la suggestione di questi imperatori volanti invita i visitatori a un inatteso balletto con lo sguardo all’insù, persi nella bellezza sorprendente di un’opera ritrovata.
Il percorso museale si connette con quello esistente in una sala di raccordo, dove fa da perno un San Rocco in rame sbalzato posto su uno svettante pennone metallico, memoria di una soluzione pensata da Scarpa per un primitivo allestimento a Castelvecchio. Analogamente a Scarpa si devono le vetrine espositive realizzate nel 1971 per una mostra veronese sui vetri di Murano, conservate e già utilizzate più volte per altre mostre e oggi collocate in questa sala con alcuni bronzetti, espressione di un fortunato “trovarobato museale”.
I continui riferimenti scarpiani non sono casuali; l’eredità che egli ha lasciato a Verona è ancora viva, costantemente alimentata dalle iniziative che hanno coinvolto allievi e collaboratori. Lo stesso Rossetto, dopo la laurea col maestro, affiancò Scarpa e Arrigo Rudi in tutto il cantiere della sede centrale della Banca Popolare di Verona. Dopo aver realizzato nel corso della carriera alcuni allestimenti di piccoli musei e mostre, solo nella stagione della maturità Rossetto arriva a compiere quest’opera di ampio respiro che gli ha consentito di tenere a mente la miglior lezione del maestro ma di non renderne visibili i segni. Anzi, certi divisori e supporti espositivi coi profilati metallici esposti nella loro crudezza o l’esprit géométrique che permea l’orditura degli spazi, sembrano rimandare più all’astrazione albiniana che al neoplasticismo scarpiano. Ma è inevitabile: ogni visitatore di musei, studente e poi architetto e progettista, non può che portarsi appresso l’intero bagaglio della “meglio museografia”.
Tanto di cappello, dunque, al nutrito staff che ha consentito la realizzazione di quest’opera. Chissà se ora, oltre alle coppiette in gita turistico-cimiteriale alla Tomba di Giulietta, anche le schiere di architetti in visita devozionale a Castelvecchio sulle tracce di Scarpa archiatra ex post, sapranno allungare di poco la strada per apprezzare quest’altro raffinato museo. Nell’attesa che possano trovare compiutezza le parti ancora da realizzare, e senza scordarsi di gustare, oltre al contenitore, la bellezza squisita della magnificente urbs picta quale un tempo Verona fu.
About Author
Tag
allestimenti , musei , verona
Last modified: 17 Novembre 2015