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Luca GibelloWritten by: Progetti

A Treviso, la pacata monumentalità del museo Bailo

A Treviso, la pacata monumentalità del museo Bailo

Riaperto dopo 12 anni a Treviso il Civico museo Luigi Bailo, su progetto di Studiomas con Heinz Tesar

TREVISO. Autunno caldo di appuntamenti culturali nel capoluogo della Marca trevigiana, con tre inaugurazioni. Da un lato le mostre su El Greco a Ca’ dei Carraresi e su Escher al Museo di Santa Caterina (“vivisezionato” per adattarlo a contenitore espositivo temporaneo, soprattutto in vista del ritorno in città – nel 2016 – delle nazionalpopolari mostre blockbuster curate da Marco Goldin). Dall’altro, l’attesa riapertura, 

dopo 12 anni, del Museo Luigi Bailo che porta il nome dell’abate a cui si deve il primo nucleo delle raccolte cittadine, poi ampliatesi e dislocate in altre sedi come Ca’ da Noal e Santa Caterina.  Fondato nel 1879, aperto nel 1888 e in parte ricostruito in seguito al secondo conflitto mondiale, il complesso d’origine monastica era stato chiuso nel 2003 a causa di criticità strutturali e inadeguatezza impiantistica.

Museo L.Bailo. Foto di Marco Zanta

Museo L.Bailo. Foto di Marco Zanta

Oggi, dopo due anni e mezzo di cantiere e un finanziamento europeo di circa 3,3 milioni (più 1,7 del Comune), una prima porzione (il chiostro sud e il primo piano) accoglie le collezioni di Otto e Novecento trevigiano. Oltre 300 opere su una superficie complessiva di 1.800 mq, tra spazi dedicati a collezione permanente, mostre temporanee, sala polivalente, uffici e depositi. Per la seconda tranche di lavori bisognerà attendere ulteriori finanziamenti (spesa prevista, 3,5 milioni).

Il progetto, sviluppato in stretto dialogo con il piano museologico (Maria Elisabetta Gerhardinger, Emilio Lippi, Eugenio Manzato, Marta Mazza e Nico Stringa), è l’esito di un concorso internazionale bandito nel 2010 e aggiudicato al gruppo guidato da Marco Rapposelli (Studiomas, Padova) che annoverava la prestigiosa firma dell’austriaco Heinz Tesar, con cui Studiomas intrattiene una collaborazione ormai decennale.

Il progetto interviene con discrezione nel corpo vivo dell’edificio, ormai privo di caratterizzazione per i successivi rimaneggiamenti, unificando gli ambienti grazie alle tinte tenui dei muri lasciati a calce e dei pavimenti in terrazzo alla veneziana (graniglia di marmo di Carrara e cemento bianco), e sovrapponendovi pochi ma chiari segni, nei quali si può riconoscere la cifra di Tesar.

Su tutti, il sistema di facciata-aperture-ingresso che, grazie a un telaio di massicci pannelli cementizi gettati in opera, configura la nuova galleria di distribuzione a tutt’altezza coperta da un lucernario laddove sussisteva una piccola calle a cielo aperto tra il corpo di fabbrica principale e una manica laterale, con funzione anche d’irrigidimento sismico.

 

Chiostro interno. Foto di Marco Zanta

Chiostro interno. Foto di Marco Zanta

Lo schermo massiccio della facciata è feso da poche aperture che, a livello terra, consentono di traguardare gli interni e il chiostro, dove si scorge il gruppo scultoreo «Adamo ed Eva» di Arturo Martini (1931).

 Ed è proprio intorno all’opera del cittadino illustre Martini (Treviso 1889 – Milano 1947) che ruota, in un gioco d’intersezioni, l’intero concept allestitivo. Una volta entrati nella galleria a tutt’altezza, il percorso si dipana attraverso 6 sezioni e 21 ambienti senza costringere il visitatore a tornare sui propri passi. Il raffinato allestimento, che presenta un ampio abaco di soluzioni tanto eleganti quanto poco reversibili (basamenti in pietra artificiale e tavoli in mdf con piastra sommitale in Corian), rafforza la pacata monumentalità degli spazi. Ciò, insieme alla scelta di non ammassare le opere e di esporne un numero contenuto, permette un’esperienza percettiva decantata, senza ingenerare sensi d’oppressione o ansie da prestazione turistica. Unica tara: l’allestimento, nella sua algida “astanza”, non lascia molti margini alla possibilità di nuove configurazioni.  

 

Crediti di progetto

Architettonico, restauro e allestimento:

Studio Mas (Marco Rapposelli, Piero Puggina) con Heinz Tesar, Giancarlo Rosa, Enrico Polato Strutture: Ingegneria R.S. Sicurezza: Luca Giuseppe Luchetta Rilievi: Fabio Martignago Impianti: P.R.CAD

 

 

 

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 17 Novembre 2015