Report dal convegno «Il patrimonio culturale e la guerra in Siria»
LISBONA. Una parte della storia e del patrimonio mondiale (classificato dall’Unesco) si sta perdendo a causa del conflitto nei territori della Siria. Il 20 ottobre si è tenuto il seminario «Il patrimonio culturale e la guerra in Siria» dove hanno partecipato – nel tentativo di dare un panorama su più livelli, politico, mediatico, storico, architettonico – vari studiosi. Michel Al-Maqdissi, docente e archeologo nonché ultimo responsabile del Museo archeologico di Damasco, dal 2011 rifugiato a Parigi, ha introdotto alla situazione attuale in cui versa il patrimonio siriano, in una guerra terribile che – oltre alle inconcepibili perdite umane – sta devastando senza tregua quelli che erano i centri della cultura mondiale. La Siria è davvero una delle culle della civiltà e vanta una storia millenaria. Fino al 2011 – data di inizio del conflitto – contava circa 150 spedizioni archeologiche l’anno. Al-Maqdissi ha parlato di «caos devastante, che tocca aspetti profondi e rompe l’identità», non solo del popolo siriano ma dell’umanità intera. Un «genocidio culturale» che sta avvenendo sotto «un silenzio inquietante» della comunità internazionale, paragonabile – ha affermato l’archeologo – alle distruzioni avvenute nelle due guerre mondiali in Europa. Al tempo stesso Al-Maqdissi ha voluto guardare con fiducia al post-conflitto, insistendo però sulla necessità di disporre nel frattempo di gruppi di studiosi, formati nel campo del restauro, preparati ad intervenire sul territorio siriano in collaborazione con le organizzazioni internazionali. Altro tema delicato riguarda la ricostruzione «com’era e dov’era», che dovrebbe in realtà forse aprire a una «nuova archeologia». E ancora, altri relatori hanno evidenziato come gli stessi media diventino strumento di propaganda per i terroristi veicolando le immagini delle distruzioni.
Danni (e profitti) incalcolabili
Oltre alla perdita di città come Aleppo, Damasco, Palmyra, Raqqa e molte altre, sono quasi incalcolabili i siti archeologici devastati: circa 300, con 450 monumenti storici distrutti o gravemente danneggiati. Danni irrecuperabili secondo gli studiosi del Geospatial Technologies and Human Rights Project dell’Associazione americana per l’avanzamento della scienza (AAAS). In base alle ultime stime delle organizzazioni internazionali, sono stati finora evacuati 34 musei che conservavano 300.000 reperti; solo nel 2015 è stato possibile salvare circa 13.000 reperti tramite operazioni aeree. Infine, il totale abbandono in cui versano molti siti archeologici (incluse le necropoli) ha causato un’ascesa senza precedenti di scavi illegali e depredazioni: una vera e propria organizzazione mafiosa sta scavando senza sosta e il traffico illecito è la seconda fonte di arricchimento. I compratori sono i paesi ricchi del Golfo (come Arabia Saudita e Qatar) e l’Occidente (Europa e Stati Uniti) che apparentemente condannano la guerra in atto ma ne divengono, in realtà, illeciti finanziatori.
Due casi studio
Per spiegare la portata di tale devastazione, sono stati utilizzati gli studi satellitari compiuti dal Geospatial Technologies and Human Rights Projec su varie città (Ugarit, Ebla, Hama, Raqqa), prendendo ad esempio i casi di Dura-Europos e Mari.
Dura Europos, chiamata anche «la Pompei del deserto», sorge sulla riva occidentale del fiume Eufrate nella provincia Deir ez-Zor. Fondata dai Seleucidi nel III secolo a.C., annoverava resti spettacolari risalenti al periodo ellenistico e romano. Costruita probabilmente in origine per servire come fortezza sul confine con l’Iraq, divenne avamposto tra gli antichi imperi dell’est e ovest, rappresentando una rara miscela di tradizioni culturali, comprese le influenze romane, greca, mesopotamica, aramaica e persiana. Tra le sue opere di rilievo il tempio greco Zeus Kyrios, il santuario della dea sumera Nanaia, il santuario della dea siriana Atargatis e il tempio del dio Bel Palmyran. Contiene anche un’antica sinagoga – tra le meglio conservate al mondo – con la più antica raffigurazione di Gesù Cristo (235 d.C.). Le immagini mostrano come, dal 2011 al 2014, Dura Europos sia stata sottoposta a un pesante saccheggio. Si calcola che il 76% della città fortificata sia stato danneggiato, mentre era impossibile conteggiare i singoli scavi illegali (quantificati in 3.750 oltre le mura, nella zona in giallo). E pensare che nel 2010 Dura Europos aveva vinto il Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino…
Mari, città mesopotamica sul fiume Eufrate, vicino al confine iracheno, è stata fondata all’inizio del terzo millennio a.C.: nota anche per un archivio contenente 50.000 tavolette d’argilla, il suo sito archeologico di Mari forniva agli studiosi una finestra sulla prima grande civiltà urbana. Mentre i saccheggi e gli scavi abusivi registrati tra agosto 2011 e marzo 2014 sono stati 165 (in 965 giorni), tra il 25 marzo e l’11 novembre 2014 sono saliti a circa 1.286 (in 232 giorni, ovvero una media giornaliera di 5,5 buche).
«Le case muoiono se parte chi le abita»
Sebbene negli articoli della Convenzione Unesco sia inclusa la «salvaguardia, le misure volte ad assicurare la vitalità del patrimonio, compresa l’individuazione, la documentazione, la ricerca, la conservazione, la tutela», ad oggi niente è stato fatto per impedire una tale perdita del patrimonio mondiale. Da marzo 2014 l’Unesco ha stabilito un piano chiamato Emergency Safeguarding of the Syrian Heritage Project. Tuttavia, come sottolineato a conclusione del seminario, se gli stati europei non riusciranno a rispondere agli squilibri sociali in atto, difficile sarà guardare al post-conflitto siriano come a un male comune: resterà un problema della Siria.
L’architettura e il patrimonio storico paiono essere l’esatto riflesso del mondo pieno di conflitti e contraddizioni in cui viviamo: se da un lato stiamo assistendo a una costruzione massiccia e spesso sovradimensionata (come in Cina o in Qatar), dall’altro invece si sta distruggendo una parte antichissima della nostra civiltà. Nel nostro salotto all’italiana, tra interrogativi sul post-Expo o irritazioni di fronte all’incuria di Pompei, non ci preoccupiamo di quello che accade oltre confine. Parlando del problema dell’identità collettiva, uno tra i più importanti poeti arabi, Mahmud Darwish (1942-2008), scriveva che «Le case muoiono se parte chi le abita».
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Medio Oriente , restauro
Last modified: 26 Luglio 2017