Visita agli spazi che ospitano la Fondazione Marino Golinelli, su progetto di diverserighestudio
BOLOGNA. Vi sono talvolta notizie che sembrano sogni e che pare attengano alle favole. Per di più siamo a tal punto ingobbiti nell’atmosfera di questa recessione che ogni notizia contraria pare venire contrastata per giustificare la condizione di tanti o l’indolenza di molti.
In questo grigiore, quanto accade nella periferia di Bologna inevitabilmente rifulge, come i capelli bianchi di Marino Golinelli, o la montatura smagliante dei suoi occhiali. Innanzitutto perché questo progetto dimostra una volta di più come siano proprio le periferie i luoghi centrali del nuovo gorgogliare dell’architettura; e poi per la gratuità di un gesto che non ha eguali tra quelli che conquistano i titoli dei giornali.
Ebbene sì: a Bologna c’è un uomo di 95 anni che sogna l’Italia del 2065 e dona 81 milioni per formare i cittadini del futuro. Nessun privato interesse se non quello, san(t)o, di dare concretezza ai propri sogni e una casa alla divulgazione e all’insegnamento dei propri nobili principi: la fiducia nell’uomo e la responsabilità sociale del fare impresa.
Golinelli appartiene a quella generazione robusta che si forma negli anni della guerra. Terminato il conflitto, in antitesi e antidoto alla distruzione in serie prodotta dall’industria degli armamenti, fonda l’Alfa Farmaceutici, per contribuire a guarire in serie, applicando i principi dell’industria alla chimica farmaceutica. L’azienda negli anni ottanta accorpa Wassermann e, in un cammino di progressivo successo, recentemente, nel maggio 2015, aggrega Sigma-Tau a formare l’odierna Alfasigma, “tra i primi cinque operatori in Italia nel settore farmaceutico, (…) con un fatturato di oltre 900 milioni di euro”, come si legge nel comunicato stampa congiunto.
La Fondazione Marino Golinelli è un’avventura parallela all’azienda che nasce nel 1988 solo corrispondendo all’intenzione categorica di “ridare alla società parte della fortuna che ho ricevuto”. Gli intenti sono chiari sin dall’origine e hanno nei giovani i propri destinatari, per costruire percorsi aperti a forme innovative del conoscere, all’intersezione tra capacità tecniche e creative. Si tratta di un’iniziativa di cui la città a poco a poco si è accorta, perché in questi anni nell’ampio ventaglio delle attività promosse dalla Fondazione hanno ruotato più di 800.000 persone, provenienti da tutt’Italia.
Ebbene, dal 3 ottobre scorso la Fondazione Marino Golinelli si è dotata di una casa-città, un edificio dedicato che ne ospita le attività in modo permanente e la rappresenta. L’intervento, per un investimento complessivo di 12 milioni, in soli due anni ha strappato al degrado 9.000 mq delle ex fonderie Sabiem e predisposto uno spazio aperto ad accogliere iniziative per 150.000 persone l’anno. Si tratta dell’Opificio Golinelli: “Opificio”, appunto, “casa del Fare”, perché se vi è una cosa chiara sin dall’ingresso, questa è il primato operativo della conoscenza, ossia il fatto che si può imparare solo facendo, ovvero toccando, ascoltando, vedendo, analizzando e correggendo l’errore. Ne segue un progetto magistrale, curato dal giovane diverserighestudio (Simone Gheduzzi, Nicola Rimondi, Gabriele Sorichetti) come passeggiata sinestetica atta a favorire l’appercezione del sé nella diversa stimolazione dei sensi: per la gioia di Juhani Pallasmaa, si vede con gli occhi ma anche con le mani all’Opificio Golinelli, e la presenza di una camera anecoica annienta il riverbero dei suoni per restituire all’udito l’acutezza e la meraviglia del sentire dopo la percezione di un inusuale silenzio.
Lo scopo è chiaro: educare alla componente scientifica dell’arte e all’intuizione artistica della scienza, abrogandone i confini, demilitarizzandone i reciproci sospetti e le difese. “Un’architettura come sistema di soglie aperte”, ci dice Simone Gheduzzi, “dove mentre si osserva l’infinitamente piccolo nell’occhio dei microscopi della Scienza in pratica [un laboratorio dotato di tanti strumenti da fare invidia a un’università; n.d.a.], si può alzare lo sguardo e guardare il cielo, tra gli shed trasparenti dell’edificio, in uno sbalzo di scala immediato tra il micro e il macro”.
Il grande volume cavo di queste ex fonderie è stato trasformato in uno spazio duttile, in classe A, capace di produrre 50 kilowatt di energia pulita con pannelli fotovoltaici e restituirla cautamente in illuminazione controllata, sensibile al numero e al passaggio degli utenti e alle condizioni dell’illuminazione naturale. Nei volumi vuoti di questo nuovo opificio della conoscenza si sviluppa una sequenza di edifici leggeri tra piazze e strade, a suggerire un’articolazione tipicamente urbana. Si educa così alla cittadinanza responsabile in uno spazio costruito a immagine della città, in un’architettura nell’architettura dove gli uffici paiono il palazzo del Comune (vibranti di un rosso policarbonato), la Scienza in Piazza un grande spazio aperto sotto una nuvola di palloni ad assorbire diverse colorazioni, il giardino delle imprese una struttura a sbalzo come una gru da cantiere, quasi a rappresentare le ali dell’impresa e il necessario slancio dell’osare.
Il progetto strutturale, curato con la direzione lavori dall’ingegnere Lanfranco Laghi, esalta i nodi strutturali, dando sempre la possibilità di distinguere tra ciò che è portante e ciò che è portato: diaframmi realizzati in policarbonato colorato, tamponamenti in Osb o in volumi contenitivi in Mdf trattato a vista, quando non in acciaio con calamina. Un progetto di ricchi dettagli dunque, che per un ex stabilimento industriale mette in scena un uso innovativo dei materiali dell’edilizia industriale.
All’esterno l’Opificio risplende, bianco, in una periferia di molti colori e qualche grigiume, in un’area in grande dinamismo lungo il braccio occidentale della via Emilia, che certo di trasformazioni ne ha viste parecchie, non ultima e non lontano il giovane MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, un’altra iniziativa con la quale un altro colosso privato (il COESIA della signora Isabella Seragnoli) ha dotato di un condensatore socio-culturale di rilevanza globale un’anonima periferia che prima quasi non conosceva nessuno.
Ora nel paesaggio di questa Bologna qua e là decadente, la Fondazione Golinelli introduce una nuova perla d’inestimabile valore e non già e non solo per l’edificio, ma perché questa volta l’edificio è casa di un progetto che ha già un ventennio di tradizione e di cui rappresenta solamente la lucente porzione visibile. Oltre alla porta vi sono programmi e progetti differenziati, secondo le età e le scuole, dai 18 mesi ai 25 anni, promossi nei nomi fantasiosi con cui Golinelli li ha denominati, per convincere ogni soggetto delle sue capacità, e trasformarlo in protagonista e imprenditore di se stesso. E a una signora che sabato 3 ottobre non ha potuto fare a meno di fermarlo negli spazi della sua Fondazione per ringraziarlo, commossa, di tanta generosità gratuita, Golinelli, dai suoi straordinari 95 anni, ha risposto “Quanti anni ha suo figlio?”, “Otto…”; e lui: “Allora è proprio il tempo di cominciare!”.
Per approfondire
Fondazione Golinellidiverserighestudio
Foto © Giovanni Bortolani
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Last modified: 27 Febbraio 2019
[…] Architects per il quadrante nord ovest dell’Opificio Golinelli, nell’area libera dagli edifici industriali già recuperati da Diverserighestudio nel 2015. Sarà però una nuova tappa intermedia nello sviluppo della Fondazione Golinelli. Il prossimo […]
[…] Marino Golinelli dedita alla diffusione della scienza fra i giovani, era già costituito da un edificio industriale riqualificato nel 2015 per ospitare una scuola per laboratori e attività forma…, cui si è aggiunto lo scorso anno l’adiacente Padiglione Arti e Scienze per mostre ed eventi, a […]