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Luca GibelloWritten by: Progetti

Hadid vs Messner: flop on the top

Hadid vs Messner: flop on the top

Visita alla sesta sede (ma non solo) del Messner Mountain Museum a Plan de Corones, firmato da Zaha Hadid Architects

 

PLAN DE CORONES (BOLZANO). A 2275 m di quota il sito di vetta è, come dice il toponimo (piano della corona), tutt’altro che un acuminato vertice, bensì un’enorme spianata che potrebbe contenere almeno due campi da calcio. Di lì, un panorama mozzafiato a 360° su Dolomiti, Marmolada e rilievi altoatesini, traguardando le Alpi dello Zillertal verso l’Austria e l’Ortles verso Trentino e Lombardia. Paradiso dello sci, la Kronplatz d’estate è piuttosto desolante, punteggiata d’infrastrutture di servizio: tra stazioni d’arrivo delle teleferiche, punti ristoro e altre “amenità”. Ultimo arrivato, da luglio scorso, il museo di Reinhold Messner, sesta sede del circuito museale voluto dal re degli Ottomila himalayani.

Per la scelta del progettista, a differenza del passato, stavolta l’alpinista altoatesino ha abbandonato il contestualismo culturale espresso da protagonisti locali (da Werner Tscholl ad Arnold Gapp) a favore dell’esotismo legittimante – e omologante – della star. (Ma la scelta è stata, con ogni probabilità, vivamente “caldeggiata”, per ragioni di marketing, dai proprietari degli impianti di risalita, per incrementare il richiamo turistico nel periodo estivo.)

L’intervento di Zaha Hadid Architects si mostra piuttosto deficitario a livello d’impostazione generale per due ragioni, tra loro correlate. Da un lato è mistificante la retorica dell’opera ipogea così come viene presentata: nelle sezioni di progetto, l’edificio pare scavato nel ventre della montagna ma in realtà è appoggiato al suolo superficiale, come dimostrano le foto di cantiere delle grandi gettate a cielo aperto che vanno poi a formare i moduli scatolari in cemento armato. Risulta così persino ridicolo l’aver ammonticchiato ai lati e in copertura un po’ di zolle di terra e sassi, in ossequio a una falsa coscienza paesaggistica d’inserimento ambientale: dato l’evidente carattere artificiale e antimimetico dell’operazione, sarebbe risultato più onesto ed efficace mostrare la sua natura di oggetto fuori terra. Da questa condizione, ed è il secondo punto debole, perde di forza il dispositivo dell’edificio-cannocchiale, a mirino unico con tre “lenti” verso il basso; un sito del genere poteva esaltare una piattaforma per godere del panorama circolare totale, mentre il device del cannocchiale è efficace quando sottolinea e favorisce una condizione che diversamente non è esperibile. In questo caso, invece, il panorama offerto dall’interno nulla aggiunge rispetto a quello esperito dall’esterno, se non che le tre lenti inquadrano le montagne care a Messner, teatro delle sue prime imprese alpinistiche (ma all’interno, questa giusta strategia non è museograficamente sviluppata). Infine, gli affacci non sono balconi estremi proiettati nel vuoto; infatti, pur trovandosi al bordo della sommità e all’inizio dei pendii, all’esterno si scorgono verso il basso i turisti passeggiare tranquillamente.

se gli interni presentano una fluida articolazione spaziale – almeno quello, da Hadid, ce lo si attende! – il problema sorge con l’allestimento, dove le opere (numerosissimi e interessanti i quadri) risultano essere un sovrappiù, un accidente che spezza l’incanto delle sinfonie organiche in beton brut (problema museografico noto, che ricorre dai masterpieces del Guggenheim a Bilbao o dell’Ebraico a Berlino). Così, ci si trova a rimirare opere e reperti nei sottoscala, al buio davanti alle toilette, su pareti inclinate oppure dietro teche ricavate in nicchie scavate nel cemento a oltre un metro da terra, precluse allo sguardo dei più piccoli. Quanto ai contenuti, Messner qui vorrebbe narrare la storia dell’alpinismo tradizionale. In realtà, sebbene con maggiore coerenza rispetto alle altre sedi, prevale un insieme piuttosto confuso di materiali che magari risponde a un immaginario autografico ma a nessun principio d’interpretazione storico-scientifica.
Vale la pena affrontare, come abbiamo fatto, il tour de force della visita, nella stessa giornata, anche della sede principale del Messner Mountain Museum a Castel Firmian di Bolzano e a quella di Ripa, nel Castello di Brunico appena sotto la Kronplatz. Si ha così la misura di raffinatissimi e sobri interventi (rispettivamente firmati da Tscholl e da EM2 Architekten) che leggono con attenzione e valorizzano il contesto, dove la museografia è al servizio della museologia.

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 13 Maggio 2016