Il museo di Oscar Niemeyer a Curitiba dedica una mostra a João Vilanova Artigas nel centenario della nascita
CURITIBA (BRASILE). Per quanto la sua attività venga istintivamente associata a San Paolo, dove si trova gran parte delle sue opere costruite, João Batista Vilanova Artigas nasce il 23 giugno 1915 a Curitiba, capitale metropolitana dello stato del Paraná, regione meridionale del Brasile. La città, nota oggi come modello mondiale di smart city (grazie alle innovative riforme introdotte a partire dagli anni 70 dal sindaco urbanista Jaime Lerner), porta come logo il disegno di un occhio che stilizza il prospetto del Museo di Arte progettato da Oscar Niemeyer, ampliamento del 2002 al preesistente edificio modernista, sempre opera di Niemeyer e originariamente destinato a sede amministrativa della città. [In realtà, si tratta di un’erronea interpretazione, dal momento che il riferimento formale dell’architetto non fu un occhio bensì un’araucaria, varietà di pino marittimo la cui presenza, individuabile percorrendo le lunghe rampe d’ingresso che liberano la vista al panorama retrostante il museo, caratterizza la vegetazione dell’area; n.d.a.].
All’interno è ospitata la mostra retrospettiva dedicata a Vilanova Artigas in occasione del centenario della nascita, la maggiore mai allestita in suo omaggio. Come segnalato dalle curatrici Giceli Portela e Maria José Justino, nonché da Rosa Artigas, direttrice della Fondazione Vilanova Artigas, l’iniziativa intende valorizzare la figura dell’architetto brasiliano, sottolineandone il legame da sempre manifestato con la città natale nel corso della sua attività, nonostante la lontananza: «Abbiamo pensato che la gente dovesse riportare Vilanova Artigas nel mondo degli “uomini comuni”; perché trent’anni dopo la sua morte successe che queste figure diventarono miti, e ciò avvenne non solo con Artigas. Occorre affrancarsi da questa posizione mitica, perché i miti sono linguaggi e i linguaggi formano ideologie e altri linguaggi ma non conferiscono il carattere di cui la storia ha bisogno per costruire il futuro. Le persone vogliono conoscere l’Artigas di Curitiba, non quello di fuori, con tutte le esperienze che egli ebbe qui».
Una successione di pannelli con disegni originali, tavole esecutive, fotografie e annotazioni personali scandisce cronologicamente il percorso professionale a partire dal primo progetto, la casa Amrouche Toledo (San Paolo, 1930), fino alla più celebre realizzazione, la nuova FAU/USP (San Paolo, 1961), Facoltà di Architettura da lui stesso fondata nel 1948. Numerosi modellini, videoinstallazioni e riflessioni di ex colleghi e contemporanei aiutano a completare la ricostruzione dell’immagine eccentrica e anticonvenzionale dell’architetto curitibano, lasciando talvolta trasparire alcune più velate riflessioni sulla sua vita privata. Una vita esposta per scelta, in nome d’una fervente attività politica anti dittatoriale, guidata da una ricerca bidirezionale volta alla rivendicazione delle libertà di professione e insegnamento e, contemporaneamente costretta al compromesso con i vincoli imposti dall’esercitare architettura all’interno di un partito radicale come quello comunista brasiliano negli anni 60.
I suoi progetti, nella razionalizzazione delle forme, nella scelta dei materiali e nella semplicità dei volumi, partono da una puntuale acquisizione dei canoni modernisti grazie all’influenza esercitata dalle opere di Le Corbusier e Wright durante la formazione: ne è esempio la residenza Bettega di Curitiba, in cui le forme semplici e l’uso di pilotis s’ispirano al primo, mentre del secondo è l’uso di materiali locali. A ciò va aggiunto il fervore intellettuale di San Paolo, con cui entra a contatto diretto a partire dal 1934, quando vi si trasferisce definitivamente. Nulla però della sua produzione è riconducibile a un sobrio postumo elogio di ciò che Tom Wolfe definirebbe sarcasticamente “prodotti del convento del Principe di Argento” (in riferimento alla successione di edifici-scatola figli delle teorie di Mies e Corbu che influenzarono tutte le generazioni di architetti dal primo dopoguerra in poi, in particolare nel nuovo continente). Il modernismo brasiliano ebbe la capacità di trascendere l’apparente puro funzionalismo “non borghese” in nome di un’indagine che porta a soluzioni di particolare sensibilità circa la qualità dell’abitare, nonché a esiti estetici capaci d’integrarsi con il contesto. Lo dimostrano le “caixe sublimi” e gli interventi di Lina Bo Bardi quando s’interfacciano con il preesistente, oppure le caratteristiche ambientali dei progetti di João Figueras Lima e Rino Levi, così come le complesse strategie urbanistiche di Lucio Costa, o anche solo la monumentalità solenne e silenziosa delle opere di Affonso Eduardo Reidy o Niemeyer. I progetti di Marcio Kogan, così come quelli del premio Pritzker Paulo Mendes da Rocha, dichiarano apertamente l’influenza che l’architettura brasiliana odierna ancora subisce, orgogliosa e consapevole erede di una scuola che seppe fare proprio lo stile internazionale degli anni 30 con dignità e critica, fino al reinventarsi in una maniera “sui generis” nei confronti del mondo intero. Per quanto riguarda Artigas, la sua capacità di far dialogare la vegetazione con il costruito, percepibile nell’edilizia sociale (edificio Louveira a San Paolo) come nelle ville signorili, l’uso del colore vivo (imprescindibile per l’identità culturale brasiliana), la minuziosa cura per i dettagli (“pormenores que indicam um fazer especial/che indicano un fare speciale”) talvolta addirittura impercettibili e, infine, la sua attenzione alla luce naturale come elemento da privilegiare (ossessione che comporterà l’attribuzione dell’appellativo “Arquiteto da Luz”, titolo del film-documentario uscito quest’anno sempre in occasione del centenario) sono tutti esempi di una diversa declinazione di modernismo degna di una propria individualità.
In occasione del centenario di Vilanova Artigas, la rete culturale brasiliana, dalle Università alle più note istituzioni – da segnalare la fervente anima culturale di San Paolo che sta accompagnando il centenario con numerosi eventi – si è mobilitata per celebrare questo distintivo protagonista nazionale. In tale clima, è infine curioso vedere come, a dispetto di tutto, risuonino le parole di Rosa Artigas, pronunciate nel discorso di chiusura dell’inaugurazione quale sincero invito destinato ai futuri progettisti: «Un’ultima cosa che mi piacerebbe dire agli studenti di architettura è questa: che nessuno vuole che voi “facciate Vilanova Artigas” oggi. Artigas era Artigas trent’anni fa quando morì. Non ha nessun senso rivendicare la pratica di un’architettura oggi con la facciata dell’architettura di Artigas; quello che la gente vuole che impariate oggi è la relazione con la vita, con la società, con la collettività, con l’arte, con l’allegria di vivere, e tutte quelle cose che si possono vedere o recuperare nella memoria di un artista».
Nos pormenores um universo – centenário de Vilanova Artigas
Museu Oscar Niemeyer, Curitiba
A cura di Giceli Portela, Maria José Justino
Fino al 14 febbraio 2016
WEB:
www.museuoscarniemeyer.org.br/exposicoes/exposicoes/artigas_vilanova
www.vitruvius.com.br/revistas/read/resenhasonline/14.165/5675