Pieve di Soligo (Treviso). Il profilo di un palmizio costretto entro una piccola e oblunga aiuola si staglia al centro di un parcheggio deserto nella provincia di Padova. L’obiettivo di Stefano Graziani coglie ed enfatizza attraverso il bianco e nero il contesto desolante che lo circonda, il vuoto dell’asfalto, l’atmosfera sospesa e silente. È la «Palma veneta» che tutt’ora popola piazze, giardini, spazi pubblici e privati diffusa nel territorio certo anche agli albori del secolo scorso ma assurta negli anni a simbolo identitario «fallace», come osserva Carlo Sala, miraggio esotico trapiantato e proliferato indiscriminatamente persino all’ingresso di centri commerciali, discoteche, night club. Lo scatto di Graziani è uno fra i molti che sino al 16 agosto, nell’ambito della quinta edizione del Festival di Fotografia F4, raccontano a Villa Brandolini d’Adda storie di paesaggi contemporanei offrendo, nello specifico, un’immagine trasversale di quello a Nord-Est. Non è però da qui, dall’isolato palmizio, che si deve partire.
Il percorso, articolato in tre specifiche sezioni («Omaggio a Gabriele Basilico. Ricognizioni sulla Terraferma»; «Progetto a Nord-Est»; «Sono stato lì»), prende avvio dalle ricognizioni del grande fotografo milanese scomparso nel 2013: un corpus ritraente il contesto urbano e infrastrutturale dell’entroterra. In esso confluiscono i lavori realizzati nel 1996 per la mostra «Sezioni del paesaggio italiano» a cura di Stefano Boeri nell’ambito della VI Biennale d’Architettura di Venezia; il contributo alla collettiva del 1997 «Venezia-Marghera. Fotografia e trasformazioni della città contemporanea» e a quella del 2001 «Terraferma», in occasione dell’inaugurazione del centro culturale Candiani di Mestre. Palazzine sorte negli anni del boom economico, edifici a destinazione residenziale, direzionale, singole case; l’area in dismissione al posto della quale oggi c’è Vega (il parco scientifico e tecnologico di Venezia) a Porto Marghera, l’asse viario Venezia-Treviso…
Proseguendo, nell’ampia sala che precede quelle dedicate al focus tutto nordestino, il visitatore incontra l’esito della call ad invito e riservata a progetti fotografici sull’esplorazione del paesaggio contemporaneo nazionale. Con «Sono stato lì» 50 dummy disposti su ampi tavolati lignei raccontano storie diverse frutto di altrettante ricerche come «Various nuclear sites» di Andrea Neri, avviata nel 2010 e dedicata agli ex siti di produzione di energia nucleare nel nord della penisola; «L’Aquila post-quake landscapes (la ricognizione di Andrea Sarti confluita in «Monditalia» durante la XIV Biennale d’Architettura) o «Back to Scrivia», il viaggio di Emanuele Piccardo lungo l’affluente destro del Po. Microcosmi e storie minori spesso trascurate in cui fra tutte spicca l’enciclopedico Atlante dei classici Padani (Krisis Publishing, Brescia, 2015). Oltre mille immagini raccolte da Filippo Minelli illustrano i nefasti risultati di un’involuzione del gusto architettonico nella cosiddetta Macroregione, stilemi deliranti reiterati, il «capannonismo» selvaggio con tutto il suo corredo di simboliche estremizzazioni (dalla cartellonistica all’iperbole dell’elemento stravagante), il delirio infrastrutturale delle rotonde. Specchio di una totale assenza di educazione estetica al bello. Tutto ciò insomma che al nostro occhio assuefatto sembra non più generare nemmeno stupore.
Infine con «Progetto a Nord-Est. Un paesaggio di contraddizioni e conflitti» (a cura di Carlo Sala) emerge una lettura critica e complessa affidata a giovani artisti (non necessariamente nordestini per natali) che fugge lo stereotipo caratterizzante anche quando vi fa esplicito riferimento: la villetta a schiera, il capannone oramai fantasma di se stesso, la cementificazione. Ne risulta un Nord-Est che reca le tracce di ciò che è stato e che è già quello che non è più. A prevalere sembra essere un incerto futuro. Così perlomeno ci sembra accada osservando le prostitute, i trofei di caccia, le villette di Indians a cura di Alberto Sinigaglia e the Cool Couple, la piccola palma di Graziani o l’installazione «Black Flag Revival» di Ryts Monet. In essa la performance video della tribute band Black Flag Review fa da sottofondo allo scioccante scorrimento di diapositive ritraenti le abitazioni degli imprenditori suicidi.
Storie di paesaggi contemporanei, con sguardi trasversali a Nord-Est
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