TRENTO. Da venerdì 29 a domenica 31 maggio va in scena l’edizione 2015 di Open Design Italia. A pochi giorni dall’inizio della kermesse abbiamo chiesto a Monica Armani (architetta e designer), Matteo Ragni (architetto e designer) e Andrea Sanguineti (brand manager presso Alias) quali sono le loro aspettative circa la manifestazione e il tema dellautoproduzione.
Monica Armani
Penso che lautoproduzione sia una risposta intelligente a diversi aspetti che caratterizzano il nostro settore, tra cui la proposta formativa sempre più ricca, la facilità di comunicazione e di accesso alle nuove tecnologie digitali, declinate sia in fase di progetto che di lavorazione, il consumo più attento e consapevole e la crisi della catena commerciale. Aspetti che hanno favorito e rafforzato lautoproduzione, ponendo in diretto contatto il designer, come unico regista – in una condizione di completa autonomia creativa – e il consumatore, in grado di esprimere direttamente le proprie esigenze e rivivere lesperienza e il piacere dell«andare in bottega». In questa edizione di Open Design Italia spero d’incontrare esempi di talento e determinazione, in grado di unire la fantasia alla funzionalità, le capacità organizzative alla visione commerciale, dando risalto alle specificità locali e a quel patrimonio straordinario tipicamente italiano, unico a livello internazionale, rappresentato dalla tradizione artigianale e dai piccoli distretti industriali che rendono accessibili le tecnologie più sofisticate.
Matteo Ragni
Da sempre sono stato affascinato dalla capacità dell’uomo di costruire, tramite l’ingegno e le mani, strumenti e oggetti utili alla propria e altrui sopravvivenza, oltre che a rendere migliore l’habitat per se stesso e la comunità. Oggi questa specie umana è perfettamente incarnata da designer che, ritornando in un certo senso alle origini, si sono rimboccati le maniche cercando di bypassare la classica filiera che ha reso tanto noto il nostrano design del dopoguerra: designer-imprenditore-mercato, creando una nuova specie umanoide chiamata maker o autoproduttore. Due termini che personalmente non amo perché da una parte definiscono la sola capacità di produrre (traducendo grossolanamente maker mi viene in mette il fattore, con rimandi campestri anche fuori luogo), dall’altra, «autoproduttore» mi ricorda l’autogemmazione delle piante, la capacità di riprodursi da soli, senza il «contributo» di agenti esterni. Tutto sommato, se la cosa non urta nessuno, continuerei a chiamarli homo faber.
Andrea Sanguineti
Il mondo del design sta vivendo radicali rivoluzioni; l’autoproduzione rappresenta un’interessante alternativa al modello tradizionale. In Italia questo fenomeno è favorito da una molteplicità di attori che si muovono sul territorio, giovani designer, artigiani che hanno saputo innovare le loro produzioni, clienti curiosi che sono aperti al design «in piccoli numeri» esclusivo e customizzato sulle loro esigenze. Dall’altro lato però «autoprodursi» implica saper gestire diverse capacità progettuali, competenze tecniche e commerciali: una sfida molto complessa e interessante.
Per il programma completo: http://opendesignitalia.net/edizione2015/programma-2015/