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Alessandro ColomboWritten by: Città e Territorio

Davide Rampello: cominciamo da Zero… ma con molta memoria

Davide Rampello: cominciamo da Zero… ma con molta memoria

MILANO. Caro Davide, vorrei proporti una conversazione molto libera, certo guardando all’attualità dei temi di Expo 2015 ma non tralasciando il respiro storico, ideale e immaginifico che questo evento ci porta. Mi piacerebbe, quindi, stimolarti con dei “numeri”, tra virgolette: vorrei partire a confrontarci dai numeri, se sei d’accordo
Con dei numeri?

Sì. Il primo numero che mi viene in mente sono in verità due date, 1906 e 2015. Il 1906 era in realtà un 1905 che poi divenne un 1906 perché la grande opera che si voleva celebrare con quella Esposizione universale, lo straordinario tunnel del Sempione, non era ancora pronta e si dovette rimandare l’arrivo del Mercurio: ti ricordi il bellissimo manifesto col Mercurio rosso che dalla testa della locomotiva guarda il futuro e si dirige su Milano?
Un phantomas, mi ha sempre ricordato un phantomas.

Sì, era bellissimo: un futuro che arriva un poco in ritardo, ma i nostri predecessori, serenamente, portarono il 1905 al 1906 come in tempi più recenti gli svizzeri portarono il loro Expo dal 2001 al 2002, anche in quel caso con grande serenità.
Gli svizzeri?

Sì, ti ricordi? L’Esposizione internazionale del 2001, non quella universale: anche loro erano in ritardo e la posticiparono di un anno, molto serenamente, per poi portarla a compimento. Noi oggi siamo al 2015 che non diventerà 2016 perché ormai siamo arrivati, anche se a fatica, e il 1° maggio abbiamo aperto. Abbiamo due esposizioni a più di un secolo di distanza che sono diversissime e hanno caratteristiche lontane, ma anche aspetti simili nel loro essere ciascuna nel mezzo di una rivoluzione che riguarda i mezzi di comunicazione, non trovi?
Ma la similitudine è difficile… Sono due concezioni diverse, proprio come tema. Il fatto che allora si esaltasse la grande tecnologia e perciò i mezzi di comunicazione portava con sé una festa di popoli. Basta vedere alcune fotografie: allora partecipò un numero di persone strabiliante. Non so quante persone…

Si parlava di più di cinque milioni all’epoca.
La grande Esposizione di Londra, la prima, vide sei milioni di persone: un successo strepitoso… Con i soldi ricavati dalla vendita dei biglietti costruirono il Victoria and Albert Museum.

Straordinario vero?
Dicevo, allora era tutto basato sul progresso. Era tutto all’insegna di questo formidabile traforo, perciò della comunicazione fra i popoli. Oggi, in un momento nel quale il concetto di comunicazione è diventato tutt’uno con il concetto di globalizzazione, la comunicazione è parte integrante della nostra società e si è evoluta moltissimo, antropologicamente vorrei dire, perché l’uso dei social network ha creato delle comunità forti ma astratte.

Virtuali.
Virtuali, e questo è il frutto ultimo della comunicazione. Però il nostro tema, il tema del cibo, feeding the planet, pone il problema in termini esattamente opposti per certi aspetti.

Allora era in corso una rivoluzione tecnologica, ingegneristica, che prospettava un futuro migliore. Anche noi oggi siamo alle prese con una rivoluzione tecnologica necessaria che non è ingegneristica, o meglio lo è in senso allargato poiché è basata sulla comunicazione, ma ora siamo a toccare un problema fondamentale dell’uomo, l’alimentazione; e anche in questo caso necessita una rivoluzione.
Però, di fatto, la rivoluzione tecnologica che ha portato questo tipo d’innovazione comunicativa ha innervato quasi tutte le attività, mentre il problema dell’alimentazione porta a una vera e propria visione in controtendenza, perché il cibo implica sempre la convivialità. L’uomo, a differenza degli animali, è un essere che mangia assieme ai propri simili, perché dà un valore simbolico al cibo, gli conferisce tutti i valori che vogliamo, ma fra i valori fondanti c’è anche un valore simbolico. Tutto questo ha fatto sì che il cibo sia sempre stato consumato in comunità: la tavola, il convivio, il refettorio, la mensa. Non a caso abbiamo una religione che s’identifica attorno a una tavola, a un atto.

Un atto: mangiare il corpo di Cristo
Esatto. Capisci che la tavola è il luogo più alto ove si ritrova l’uomo dal punto di vista simbolico perché indica il convivio, è veramente la rappresentazione del vivere assieme. L’uomo si alimenta del cibo ma si alimenta anche della compagnia degli altri uomini, perché con gli altri uomini condivide il pane: cum panis, compagno. Questa, secondo me, è una profonda e sottile indicazione se non una rivoluzione: è un’indicazione fortissima dell’’Expo, perché sottolinea il fatto che gli uomini compiano gesti insieme, mentre l’estremo della comunicazione digitale è che gli uomini stringono relazioni nel virtuale, sono uniti nel virtuale. Qui gli uomini sono uniti di fatto attorno a un tavolo, anzi si trasforma il tavolo in una tavola e questa è una cosa molto importante.

Straordinaria! Ritorniamo ai numeri. Qui parliamo di più di 6 miliardi di persone che bene o male fanno tutti la stessa cosa ogni giorno, si nutrono e si relazionano, o almeno in una drammatica parte tentano di nutrirsi.
Si nutrono, ma considera che la metà della popolazione del mondo lavora, si adopera per questo: contadini, pescatori, allevatori, anche cacciatori e a scendere da questi tutti quelli che lavorano dopo di loro, che elaborano i prodotti di questi: i panificatori, i fattori, i casari e via e via. Attorno a questo si sviluppa un numero di attività formidabile.

Consideriamo questa potenza del numero: il numero dei visitatori, il numero degli animali, il numero dei semi, il numero degli addetti, il numero dei libri, il numero delle ore che l’uomo dedica ogni giorno a nutrirsi, questa potenza si ritrova in scala ridotta nelle Esposizioni universali, perché anche in questo caso si tratta di numeri straordinariamente grandi. Se mai qualcuno tentasse di fare un calcolo del numero di ore lavorate per realizzare un’Esposizione si troverebbe di fronte ad una cifra straordinaria. Tu ti sei misurato con questa potenza del numero?
Sì, mi sono misurato, ma tu mi stai parlando di numeri, perché?

Perché è affascinante affrontare il mondo dei numeri.
Beh, certo. È un modo per analizzare la realtà. Se tu vuoi dare una rappresentazione della realtà questa è dire quante ore, quanti uomini innanzitutto hanno lavorato, ma dal punto di vista del numero ci sono eventi ancora più mastodontici. Se si dovesse pensare a una guerra, alla costruzione di una diga, al varo di un transatlantico, alla costruzione dell’alta velocità e poi, vogliamo dirlo?, siamo partiti dalla rete: in termini di ore, qual è il numero di ore dedicato dagli uomini alla rete?

Il numero di bites che si scambiano… Oggi vi è il grande tema dei big data, i grandi numeri, che adesso scopriamo nella rete ma che fanno parte della storia dell’uomo. Tuttavia, tu in Expo sei partito da un bel numero tondo, dallo zero…
Sì, dall’’azzeramento… dallo zero. Ci sono stati popoli che non conoscevano lo zero, perciò non conoscevano l’azzeramento.

È un concetto matematico già evoluto e relativamente recente…
Il Padiglione Zero tra l’’altro ha avuto all’’inizio questo nome perché nel primo progetto non era dentro il recinto di Expo ma fuori, perciò il problema era “come lo chiamiamo?”. Zero. Per questo motivo, con slittamenti di senso molteplici, è diventato il padiglione più simbolico perché questo zero gli ha dato un fascino e un valore simbolico impressionante.

Forse la vera novità di questa Expo, assieme ai clusters, è proprio questo padiglione: sono due modalità espositive, due tipologie che non si sono mai viste, totalmente nuove.
È veramente inedito, ed è inedito perché è la prima volta che viene dedicato uno spazio così grande alla rappresentazione, alla metaforizzazione del tema, posso dire alla sublimazione del concetto profondo dell’Esposizione universale. L’Expo è sempre stata una messa in scena del mondo contemporaneo, di volta in volta è stata una vera messa in scena caratterizzata dalla tensione verso il progresso, verso lo sviluppo della scienza, verso lo sviluppo dell’’agricoltura.

Ma tu osi molto di più qui, perché questa non è la messa in scena del mondo in un dato momento; questa del Padiglione Zero è quasi la messa in scena della storia dell’umanità; non con intenti enciclopedici o scientifici ma proprio con intenti di rappresentazione. A me ricorda quei magnifici libri che, quando eravamo bambini, ci raccontavano per immagini la storia dell’uomo e sempre mi sono domandato se questo si sarebbe potuto mettere in scena al di là della pagina del libro. Nel Padiglione Zero succede proprio questo
Il Padiglione Zero mette in scena veramente questo concetto e lo teatralizza, utilizzando i linguaggi teatrali più tradizionali, puntando direttamente all’emozione.

Perché questa scelta? Non c’è snobismo; chi ti conosce lo sa benissimo che niente ti è più lontano: lo hai voluto per ottenere un risultato.
Per ottenere un risultato. L’idea più profonda è quella di arrivare a emozionare il visitatore, l’ospite e, come dico sempre, proprio emozionare nel senso più profondo di e-movere, perciò mettere lo spettatore in movimento, metterlo nella condizione di avere un’alta sensibilità verso le cose, metterlo nella condizione di essere il più possibile ricettivo. Adesso che siamo arrivati al traguardo devo dirti che sono molto soddisfatto perché tutto questo si sta realizzando servendosi delle eccellenze delle arti e mestieri italiani. Sarà veramente un’opera teatrale.

Un’opera che rappresenta il lavoro dell’uomo, il lavoro manuale.
Assolutamente: il lavoro manuale serve a realizzare e a raccontare, ossia realizza manu factu.

Il manufatto racconta la storia dell’uomo: il lavoro dell’uomo produce il manufatto e il manufatto racconta la storia dell’uomo.
La necessità di alimentarsi coincide esattamente con la storia dell’uomo. Prendiamo il primo uomo, il sapiens sapiens: sicuramente il primo gesto a cui avrà pensato sarà stato quello di procurarsi ciò di cui vivere. Probabilmente avrà assaggiato una bacca, avrà assaggiato un frutto, un’erba, l’avrà messa in bocca, avrà compiuto il gesto e avrà cominciato ad assaporare. Questo è il senso e la filosofia da cui sono partito. L’uomo sapiens sapiens è diverso dall’animale, suo diretto concorrente, perché l’animale, come l’uomo, ha memoria e istinto però l’uomo ha una cosa in più, che lo rende sapiens sapiens: ha la capacità di concepire idee, di avere visioni. Idea vuol dire visione, eidon vedo, perciò l’uomo ha la capacità di elaborare immagini, di elaborare visioni, e da lì nasce la creazione del linguaggio. L’uomo dopo aver assaggiato capisce il buono e il cattivo, perciò ha già concepito due categorie, il bello e il brutto, il buono e il cattivo; ma soprattutto è spinto alla conoscenza. L’animale, come l’uomo, è condannato ad alimentarsi, ma l’uomo è condannato anche alla conoscenza, è condannato ad alimentarsi anche intellettualmente e spiritualmente. Questo è un salto enorme: l’uomo nomina le cose, dà senso alle cose e le cose danno senso a lui. È tutto un continuo scambio e anche un continuo slittamento di senso. Perché l’uomo nomina una cosa e quella cosa ha quel suono che la rende cosa perché prima di tutto è parola, ma poi questa parola trasmessa già slitta e cambia di significato. Questa è la prima cosa che il visitatore troverà: un enorme numero di storie dell’uomo da quando questi ha cominciato fino ai giorni nostri. Tutto questo è connotato da un aspetto straordinario, cioè che non è passato: è memoria. Partiamo proprio da qui: quando il visitatore entrerà avrà una visione dell’archivio del mondo. Come rappresentare questo archivio del mondo? La parola chiave è “memoria” e su questo mi sono rifatto al grande dibattito che alla fine del Quattrocento ha coinvolto tutti gli umanisti, italiani e non, sul tema della memoria; un dibattito che ha coinvolto Giordano Bruno, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino. Erasmo da Rotterdam racconta di aver visto un teatro della memoria progettato e realizzato da Giulio Camillo, un umanista veneziano: era come una macchina che serviva per ricordare e che, invece di avere i libri, aveva dei cassetti, perché il cassetto contiene l’esperienza, l’’oggetto dell’’esperienza che coinvolge tutti i cinque sensi più il sesto senso che è il mistero, il segreto. Perciò quando il visitatore entrerà nel padiglione vedrà una biblioteca senza libri ma tutta di cassetti alta 23 metri e larga 50. Tutta realizzata in legno, perfettamente progettata dallo scenografo Giancarlo Basili in uno stile che potrebbe essere uno stile eclettico alla Piranesi. Questo è il primo straordinario segno; e quando la gente entrerà dovrà alzare gli occhi al cielo, perché non ha lo spazio per vedere: volutamente l’ho chiesta vicino, a 9 metri dell’ingresso: simbolicamente nei cassetti ci sono tutte le storie del mondo. L’ho recuperata da una suggestione e l’ho evoluta. Questo enorme archivio ha 5 archi larghi 5 metri perché possa essere attraversato. Questo archivio straordinario è la prima delle immagini che deve ricordare alla gente che senza memoria non c’è possibilità né di arte né di scienza, perciò non c’è possibilità di conoscenza. Lo spettacolo vero sarà il padiglione perché 12 stanze, tutte concepite in maniera analoga, sono già esperienza teatrale: tutto questo in ogni stanza è un’esperienza. Dietro questo archivio vi è un muro grandissimo sul quale verrà proiettato un film che racconta le quattro arti dell’uomo per procurarsi il cibo: l’arte della pesca, della caccia, dell’allevare e del coltivare. Queste sono le quattro arti che l’uomo ha concepito. Sarà un film spettacolare della durata di 10 minuti girato apposta e di fronte sarà collocato un albero, un enorme albero alto 23 metri con un diametro di 5 metri che andrà a simboleggiare la forza della natura, la natura indomita, tanto che questo albero sfonda la costruzione e la sua chioma è tutta fuori, una chioma di 23 metri di diametro. Tutto quello che racconto è realizzato con tecniche di scenografia, ma è più vero del vero. Il Padiglione Zero sarò la più grande bottega italiana, bottega intesa come manifattura: ci hanno lavorato pittori, scultori, fabbri, ebanisti, tecnici luci, tecnici del suono, registi, musicisti, compositori. Questa è la cosa straordinaria di questo padiglione; tanto è vero che per la prima volta in assoluto ci sarà in ogni sala un credit con non solo il nome della sala e la parola chiave, ma con arti e mestieri: questa sala è stata realizzata da questo scultore, da questi pittori, la colonna sonora è stata realizzata da questo musicista, proprio per far capire la straordinaria capacità degli italiani nel fare le cose.
Sarà, inoltre, l’unico padiglione aperto la sera; ci sarà uno spettacolo itinerante; ci sarà lo spettacolo del Cirque du Soleil ma anche uno spettacolo itinerante dentro le sale; ci saranno delle serate particolari; il Fai realizzerà sei giornate dedicate al suo operato dentro al mondo dell’allevamento e dell’agricoltur;, Mont Blanc presenterà racconti, proprio perché la penna è lo strumento per raccontare il mondo…

Hai descritto l’incipit… Questa esposizione avrà numeri grandi, saranno 6 saranno 10 saranno 20 milioni; vedremo. Parliamo comunque di milioni di persone: sono numeri nuovi anche per te che sei abituato a comunicare con i numeri della televisione.
In tutta l’Expo ci saranno 100/120.000 visitatori al giorno, una città, nel padiglione passeranno 30/40.000 visitatori al giorno, una cifra enorme.

Cosa si porteranno via questi visitatori o, meglio, che cosa vorresti si portassero via?
Vorrei che si portassero via la memoria. Dico memoria perché vorrei si portassero via la memorabilità dell’esperienza. La memoria nutre l’immaginario e nutrendo l’immaginario l’uomo può cambiare, evolvere, immaginarsi diverso, sempre diverso: questa è la ricerca di se stesso che altro non è che la possibilità continua d’immaginarsi diverso.

Quindi questa straordinaria rappresentazione del mondo ha sotteso una visione positiva? C’è una possibilità di cambiare?
Sì, certamente. Si muove l’emozione per ricordare. La madre delle muse era la memoria, Mnemosine. Questo fa capire come non esistano scienza e arte senza memoria. Quello che desidero ottenere è metter in emozione per ricordare, questo è il processo. Se metto in movimento l’attenzione dell’uomo, i suoi sentimenti, tutte le sue facoltà ricettive, avrò ottenuto questo risultato, di farlo ricordare.

Solo questo basterebbe a giustificare un’operazione ciclopica come l’Expo e al suo interno il Padiglione Zero.
Sì, questo è sicuro. La speranza è che questo possa essere un insegnamento, cioè lasci il segno: questo è l’insegnamento.

Un’ultima provocazione: perché questo insegnamento dovrebbe durare solo sei mesi?
I sei mesi sono il master: se frequenti il master lo fai per portarti dietro tutta la vita l’insegnamento. Questo dipende dagli uomini, dai visitatori.

Ma tutto questo fra sei mesi viene smontato: ha un senso?
Questa è la regola del Bureau International des Expositions: il teatro smonta, finisce e parte per un’altra piazza. Si scrive un poco tutti sull’acqua in questo senso. Si smontano le scene e si parte per una nuova avventura, fra cinque anni a Dubai.

Tu accetti questa regola?
Sì, perché dentro di me convive l’uomo stanziale e anche l’uomo migrante.

Un interno del Padiglione Zero, con la scenografia di Giancarlo Basili

Un interno del Padiglione Zero, con la scenografia di Giancarlo Basili

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 9 Ottobre 2015