Da anni ormai l’urbanistica è al centro di un paradosso: considerata alternativamente disciplina screditata o panacea di tutti i mali, la si priva del potere ma le si delega la speranza e la si investe di aspettative. Sempre meno scienza che pianifica e gestisce la trasformazione e sempre più arte divinatoria per immaginare cosa potrà servire al mercato di domani. A Bergamo la storia di Porta Sud racconta bene tutto ciò: un’area di circa 400.000 mq, in buona parte proprietà di FS, entrata a far parte, attraverso la costituzione nel 2004 di una società ad hoc, del più grande piano strategico recente della città e che oggi, a distanza di 10 anni, complice la crisi immobiliare, si trova nelle medesime condizioni di allora.
Un’area importante, sulla quale sono stati spesi oltre mezzo secolo di ipotesi, progetti e pianificazioni nessuno dei quali passato dalla carta alla realtà, immaginata di volta in volta come nuova centralità urbana, spazio per rappresentare il nuovo ruolo e la nuova scala della città, terzo centro, dopo Città alta e il centro piacentiniano. La cui mancata trasformazione un progetto sostenuto da un grosso investimento economico e politico e gestito con lo strumento della Società di trasformazione urbana (STU Porta Sud spa, oggi liquidata) sembra segnare il confine tra un fallimento (fisiologico) dell’urbanistica e la definitiva impraticabilità del progetto urbano nella sua accezione di visione organica.
Prospettiva confermata dalla vicenda della nuova sede della Provincia (concorso vinto da Arata Isozaki & Associates e Attilio Gobbi), parte integrante (quando non elemento principale) del nuovo scenario disegnato dal progetto Porta Sud per una Bergamo a dimensione metropolitana, indicativa di una scissione ormai schizofrenica tra percepito e reale. Ancora nel 2009 infatti, già in piena crisi, s’immaginava sostenibile un progetto di oltre 1,5 milioni di metri cubi di edificato, una parte significativa dei quali dedicata a una torre di circa 50 metri. Progetto ambizioso, naufragato in tempi record, per cui sono state scomodate star internazionali e che avrebbe dovuto accogliere unistituzione oggi completamente svuotata e priva di risorse.
Il fatto che il presupposto su cui era costruita l’operazione - lo scavalcamento dei binari e l’urbanizzazione organica della zona a sud della ferrovia - si fondasse su unipotesi consolidata nella storia urbanistica della città, ovvero il prolungamento dell’Asse ferdinandeo come principale direttrice di espansione (già immaginato dai piani Muzio-Morini del 1951 e Astengo del 1969, ribadito dalla variante urbanistica 35 firmata da Gino Valle nel 1990), non è bastato per evitare al progetto una deriva meramente economica che nulla ha a che fare con il problema della forma urbana.
Porta Sud segna dunque lo sconfinamento in un territorio altro, in cui si perdono i confini tra interesse pubblico e interesse di parte e vengono meno i presupposti su cui da sempre (anche se con risultati alterni) si è fondata la pianificazione. Ridotto a problema economico, quando il mercato, complice la crisi, non è stato più in grado di assorbire l’enorme volumetria ipotizzata per far stare in piedi loperazione, tutto si è fermato. Definirla allora una porzione di città complessa, non soltanto una banale aggiunta di quantità edilizia profittevole ha avuto più il sapore di uno scongiuro che di un’intenzione perseguita. E che non di questo si trattasse lo testimonia il contribuito della vicenda a trasformare concetti complessi e fondamentali del vocabolario e dello strumentario disciplinare quali suolo artificiale, spazio aperto, forma, identità e qualità dell’immagine urbana nelle parole vuote dell’ennesima utopia.
Di fronte all’evidenza che ridurre il problema alla quantificazione del numero congruo di metri cubi non abbia portato a nulla, ora si prova a ripartire. Dalle quantità di progetto, dalla revisione del sistema dei collegamenti e degli spazi pubblici, ma soprattutto dal dialogo con FS, premessa a qualsiasi reale possibilità d’intervento. E anche se parole come riempire il vuoto rievocano vecchi schemi e non fanno ben sperare, si inizia a intuire che la soluzione potrebbe venire da uninversione di approccio. È la rete che costruisce la città. E linvestimento sull’infrastruttura la chiave per sbloccare l’impasse. Prima connettere (aeroporto e ospedale, tanto per dare un ordine di grandezza) poi, eventualmente, costruire.
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ritratti di città: bergamo
Last modified: 27 Luglio 2022