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Paolo VitaliWritten by: Città e Territorio Inchieste

Porta Sud, lo smarrimento del terzo centro

Porta Sud, lo smarrimento del terzo centro

Da anni ormai l’’urbanistica è al centro di un paradosso: considerata alternativamente disciplina screditata o panacea di tutti i mali, la si priva del potere ma le si delega la speranza e la si investe di aspettative. Sempre meno scienza che pianifica e gestisce la trasformazione e sempre più arte divinatoria per “immaginare cosa potrà servire al mercato di domani”. A Bergamo la storia di Porta Sud racconta bene tutto ciò: un’’area di circa 400.000 mq, in buona parte proprietà di FS, entrata a far parte, attraverso la costituzione nel 2004 di una società ad hoc, del più grande piano strategico recente della città e che oggi, a distanza di 10 anni, complice la crisi immobiliare, si trova nelle medesime condizioni di allora.

Un’’area importante, sulla quale sono stati spesi oltre mezzo secolo di ipotesi, progetti e pianificazioni – nessuno dei quali passato dalla carta alla realtà, immaginata di volta in volta come “nuova centralità urbana”, “spazio per rappresentare il nuovo ruolo e la nuova scala della città”, “terzo centro”, dopo Città alta e il centro piacentiniano. La cui mancata trasformazione – un progetto sostenuto da un grosso investimento economico e politico e gestito con lo strumento della “Società di trasformazione urbana” (STU Porta Sud spa, oggi liquidata) – sembra segnare il confine tra un fallimento (fisiologico) dell’’urbanistica e la definitiva impraticabilità del progetto urbano nella sua accezione di visione organica.

Prospettiva confermata dalla vicenda della nuova sede della Provincia (concorso vinto da Arata Isozaki & Associates e Attilio Gobbi), parte integrante (quando non elemento principale) del nuovo scenario disegnato dal progetto Porta Sud per una Bergamo a dimensione metropolitana, indicativa di una scissione ormai schizofrenica tra percepito e reale. Ancora nel 2009 infatti, già in piena crisi, s’immaginava sostenibile un progetto di oltre 1,5 milioni di metri cubi di edificato, una parte significativa dei quali dedicata a una torre di circa 50 metri. Progetto ambizioso, naufragato in tempi record, per cui sono state scomodate star internazionali e che avrebbe dovuto accogliere un’istituzione oggi completamente svuotata e priva di risorse.

Il fatto che il presupposto su cui era costruita l’’operazione –- lo scavalcamento dei binari e l’’urbanizzazione organica della zona a sud della ferrovia -– si fondasse su un’ipotesi consolidata nella storia urbanistica della città, ovvero il prolungamento dell’’Asse ferdinandeo come principale direttrice di espansione (già immaginato dai piani Muzio-Morini del 1951 e Astengo del 1969, ribadito dalla variante urbanistica 35 firmata da Gino Valle nel 1990), non è bastato per evitare al progetto una deriva meramente economica che nulla ha a che fare con il problema della forma urbana.

Porta Sud segna dunque lo sconfinamento in un territorio altro, in cui si perdono i confini tra interesse pubblico e interesse di parte e vengono meno i presupposti su cui da sempre (anche se con risultati alterni) si è fondata la pianificazione. Ridotto a problema economico, quando il mercato, complice la crisi, non è stato più in grado di assorbire l’enorme volumetria ipotizzata per far stare in piedi l’operazione, tutto si è fermato. Definirla allora “una porzione di città complessa, non soltanto una banale aggiunta di quantità edilizia profittevole” ha avuto più il sapore di uno scongiuro che di un’’intenzione perseguita. E che non di questo si trattasse lo testimonia il contribuito della vicenda a trasformare concetti complessi e fondamentali del vocabolario e dello strumentario disciplinare quali “suolo artificiale”, “spazio aperto”, “forma”, “identità” e “qualità dell’’immagine urbana” nelle parole vuote dell’’ennesima utopia.

Di fronte all’’evidenza che ridurre il problema alla quantificazione del numero congruo di metri cubi non abbia portato a nulla, ora si prova a ripartire. Dalle quantità di progetto, dalla revisione del sistema dei collegamenti e degli spazi pubblici, ma soprattutto dal dialogo con FS, premessa a qualsiasi reale possibilità d’intervento. E anche se parole come “riempire il vuoto” rievocano vecchi schemi e non fanno ben sperare, si inizia a intuire che la soluzione potrebbe venire da un’inversione di approccio. È la rete che costruisce la città. E l’investimento sull’’infrastruttura la chiave per sbloccare l’impasse. Prima connettere (aeroporto e ospedale, tanto per dare un ordine di grandezza) poi, eventualmente, costruire.

Foto di Paolo Vitali

Foto di Paolo Vitali

L'area di Porta Sud a Bergamo (foto di Paolo Vitali)

L’area di Porta Sud a Bergamo (foto di Paolo Vitali)

Autore

  • Paolo Vitali

    Dopo alcune esperienze in Francia e Spagna, si laurea in architettura al Politecnico di Milano, dove poi consegue il dottorato di ricerca in Progettazione architettonica e urbana. All’attività di ricerca sulle forme dello spazio della città contemporanea e all’attività didattica (dal 2012 è professore a contratto presso la Scuola di Architettura del Politecnico di Milano) affianca il lavoro di progettista freelance e pubblicista, con interessi che spaziano dalla progettazione alla teoria, dalla ricerca storica sul “secondo modernismo” (anni cinquanta/settanta) all’architettura industriale. Dal 2010 al 2012 ha diretto la rivista «ARK», supplemento trimestrale di architettura dell’«Eco di Bergamo». Tra il 2013 e il 2014 collabora alla pagina culturale del «Corriere della Sera» (edizione Bergamo) e dal 2014 con «Il Giornale dell’Architettura» e con la Fondazione Dalmine

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Last modified: 27 Luglio 2022