La morte a 80 anni di Michael Graves, membro del carismatico gruppo autonominatosi “The New York Five”
(non senza accenni a un altro gruppo di rottura di un decennio prima noto come “Team Ten”, cresciuto in contrapposizione al dogma ormai stanco dei CIAM, senza mai abbandonare la sua vocazione progressista) fa rivivere i ricordi sbiaditi di un movimento donchisciottesco ricordato come “post-modernismo” nella sua versione nordamericana, lanciato da Graves nei primi anni settanta.
I “New York Five”, di cui facevano parte Peter Eisenman, Richard Meier, Charles Gwathmey e John Hejduk (solo i primi due ancora in vita) erano inizialmente liberamente uniti intorno a un esperimento purista neo-corbusieriano, derivato dal presunto candore integrale della nuova architettura europea etichettata come “International Style” nel 1932 dal MoMA di New York. Continuando il suo ruolo di “creatore di re” o piuttosto “creatore di stile,” il MoMA (con il suo curatore Arthur Drexler) nel 1969 li invitò per discutere del loro lavoro e del loro approccio progettuale. Questo incontro è stato riportato in un libro del 1972 (Five Architects) che ha siglato la loro reputazione come nuovo coerente gruppo modernista.
Tuttavia, nello stesso anno in cui il libro è pubblicato, Graves con la sua casa Snyderman aveva già cominciato a staccarsi dal gruppo abbandonando alcuni dei principi modernisti, come la pianta libera aperta, dividendo invece l’interno in camere tradizionali. Per ironia della sorte la casa, rasa al suolo nel 2002, rappresenta la conclusione simbolica del percorso di Graves che dieci anni prima si era allontanato dall’architettura per dedicare le sue inclinazioni populiste al design decorativo di casalinghi per le grandi corporazioni di prodotti di consumo come Target, Alessi, Steuben e Disney.
L’edificio comunale di Portland (terminato nel 1982 e oggi a rischio demolizione), è ampiamente considerato il primo esempio di architettura post-moderna costruito, con richiami al nuovo approccio visibile nelle prime case di Graves, ora impiegato con enfasi a larga scala. L’edificio consisteva in un ampio blocco di uffici collocato su un basamento a due piani. Colonne, chiavi di volta ed elementi dell’architettura classica erano quasi gonfiati fino a un formato da cartone animato e utilizzati per decorare l’esterno dei piani superiori.
La sua architettura, infatti, ha rappresentato lo sforzo di reintrodurre tutti i dettagli più popolari – colonne, frontoni, doccioni – che gli architetti modernisti “austeri”, con la loro enfasi su tetti piani e dogmi funzionalisti, avevano invece bandito. Come ha riportato il New York Times nel necrologio di Graves in prima pagina, «Anche se molti dei suoi edifici avevano una limitata qualità scenografica – più efficace come accattivanti cartelloni pubblicitari per le idee progettuali innovative che per lo spazio costruito – e non sono invecchiati bene, erano sempre pieni di vitalità e umorismo».
In reazione al movimento, Graves è stato un provocatore sia negli Stati Uniti che in Europa. Resistendo agli esercizi storicistici del post-modernismo, Jürgen Habermas è intervenuto, con un discorso diventato famoso e pronunciato in occasione della deludente prima ammissione dell’architettura alla Biennale di Venezia nel 1980, in difesa del modernismo come «progetto incompiuto». Facendo eco, due anni dopo, alla denuncia di quella che Habermas ha definito «l’ideologia del ritorno», Michel Foucault ha scritto che «bisognerebbe totalmente e assolutamente sospettare di tutto ciò che afferma di essere un ritorno. Uno dei motivi è logico, non vi è infatti nulla come un ritorno. La storia, e l’interesse meticoloso applicato alla storia, è sicuramente una delle migliori difese contro questo tema del ritorno. La storia ci protegge dallo storicismo».
All’apice della sua carriera architettonica, raggiungendo quasi lo status di guru tra molti della più giovane generazione di architetti (e tenendo sulla scrivania, ancora libera da computer, libri aperti di Palladio e altri venerati architetti del Rinascimento), riuscì, sorprendentemente, ad affascinare con il suo edificio Humana nel 1985 anche un critico del «New York Times» della statura di Paul Goldberger che ha definito la torre di Louisville, rivestita in granito rosa con un pozzo centrale interamente vetrato, «un risultato notevole – in ogni modo la più bella costruzione del signor Graves – una torre che dimostra la sua capacità non solo di lavorare a larga scala, ma anche di creare dettagli interni ed esterni, così finemente cesellati come quelli di qualsiasi architetto oggi praticante». In retrospettiva, sembra che la notizia, anche se spesso cucita con umorismo, tra architetti e critici fu presentata come un sorprendente caso di ipnosi.
Infatti, nonostante la sua superficialità, il nuovo eclettismo ornamentale era apparso come una forma di sollievo dalle costrizioni di ciò che dal 1970 era diventato un nuovo stile dogmatizzato assai lontano dalla neue architektur degli anni venti. Le stesse forze che avevano respinto il “fare stile” di per sé, erano cadute nella loro trappola, e l’ornamentalismo libertino sembrava ora aprire nuove opportunità non sfruttate per l’architettura. In definitiva, si potrebbe dire che il post-modernismo di Graves, anche se superficiale in sé era, paradossalmente, abbastanza forte per spingere la ridefinizione, in contrasto, di ciò che che doveva essere l’architettura moderna secondo Habermas. Può aver aiutato a portare l’architettura – ormai liberata da qualsiasi dogma sterile e gravoso complesso – di nuovo sul campo fertile della modernità, ma questa volta aperta a un pluralismo senza ostacoli. In altre parole, accantonandone l’aspetto di superficialità, il post-modernismo può aver svolto, in un certo senso, un potente ruolo di catarsi.