BERGAMO. Sabato 24 gennaio si parlava di rammendo e rigenerazione urbana, e forse con eccessiva enfasi di nuovo rinascimento. Un convegno organizzato dalla Fondazione Italcementi su un tema di grande attualità: le periferie e i modi per riqualificarle.
Anche se può sembrare paradossale che il più grande produttore della materia prima con cui sono costruite buona parte delle attuali periferie italiane promuova un convegno con questa prospettiva, va dato merito alla Fondazione di aver offerto un momento di dibattito su un tema che riguarda il futuro prossimo della maggior parte della popolazione italiana (l80% che vive in periferia, come ha sottolineato nellintervento di apertura Renzo Piano) e del quale, se non altro, ha contribuito a definire alcuni tratti salienti. Un contributo alla costruzione di un immaginario nuovo attraverso le parole di Piano (manifesto sul futuro delle aree urbanizzate), Geminello Alvi, scrittore ed economista, Emanuela Casti, geografa, Mario Cucinella, architetto, Francesco Daveri, economista, Aldo Mazzocco, amministratore delegato di Beni Stabili, Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e Silvano Petrosino, filosofo su una questione, quella urbana, che affonda invece le sue radici molto lontano.
Il terreno del confronto, come si sa, è minato, difficile, non più appannaggio dei soli architetti e urbanisti: la città, di cui le periferie sono ormai una parte consistente, è tema complesso, sul quale oggi tutte le discipline non si limitano più a portare i propri contributi analitici ma spesso e volentieri propongono le proprie ricette.
In effetti, in quanto forma più evoluta di organizzazione sociale, la città è stata da sempre e in ogni civiltà oggetto di riflessione, a partire dalle sacre scritture. E in questa prospettiva, che è innanzitutto relazionale, il tema dellabitare viene inteso in primo luogo come patto sociale. Come ci ricorda Petrosino, la città si fa con gli altri: abitare è insieme coltivare, custodire, accogliere. Rammendo e rigenerazione urbana sono quindi (o dovrebbero essere) il nuovo patto sociale, lidea condivisa su cui ripensare la città e le sue periferie. Ma cosè oggi la città? Quali sono le grandezze in gioco? Quali sono gli attori? Quali sono i ruoli? Chi decide per chi? In quali scelte strategiche si esprime il concetto di bene comune? Chi governa realmente le dinamiche (sociali e spaziali) delle periferie?
Sono passati meno di due anni da quando Bernardo Secchi ha scritto La città dei ricchi e la città dei poveri, volume dove si mette in evidenza le responsabilità dellurbanistica nellaggravarsi delle disuguaglianze e dove si sottolinea come la nuova questione urbana sia non già effetto ma addirittura causa non secondaria della crisi che oggi attraversano le principali economie del pianeta. Una città non più spazio dellintegrazione sociale e culturale. Luogo sicuro, protetto dalla violenza della natura e degli uomini, produttore di nuove identità, sede privilegiata di ogni innovazione tecnica e scientifica, culturale e istituzionale, bensì spazio della separazione, della distinzione e dellesclusione.
Ma dovè finito tutto ciò nel racconto del convegno? Dove sono finiti i conflitti? Dovè finito il disagio sociale? Dove sono finiti gli interessi contrapposti? Dove sono finite le dinamiche di espulsione e la gentrification? E il ruolo giocato dallarchitettura? E le responsabilità delle amministrazioni pubbliche?
Ben vengano, quindi, nuovi racconti e nuovi immaginari. Ma parlare di città non ammette semplificazioni, né facili ecumenismi. Non si può stigmatizzare ancora la cultura modernista, criticando come sue eredità le scelte di segregazione spaziale su cui sono state strutturate le grandi operazioni di edilizia popolare che ancora connotano, nel bene e nel male, le nostre periferie, dimenticandosi del merito di aver concepito il concetto di alloggio dignitoso per tutti (in ambiti urbani attrezzati) in un momento storico in cui il conflitto sociale era molto più aspro e la ricchezza molto meno diffusa, ed evitare invece accuratamente di approfondire le dinamiche dei processi di periferizzazione che hanno interessato per decenni intere parti delle nostre città e le logiche che le hanno sostenute, tra cui laffermarsi del potentissimo modello della casa unifamiliare nel verde e del mito della casa in proprietà.
Di quale modello alternativo stiamo parlando? Qual è il nuovo orizzonte comune? Con quali risorse si opera? E a vantaggio di chi? Quanto è condivisa lidea di una città fondata sulla mixité e non controllata come un grande centro commerciale? Quando parliamo di recupero delle periferie si tratta, a ben vedere, di processi spesso non governabili da parte della pubblica amministrazione e non sempre virtuosi, come più volte segnalato da Oliver Wainwright, critico di architettura del Guardian e attento osservatore delle recenti dinamiche di rigenerazione urbana di Londra. Uno dei suoi ultimi articoli sul tema si intitola The truth about property developers: how they are exploiting planning authorities and ruining our cities (La verità sui promotori immobiliari: come stanno sfruttando le autorità di pianificazione e rovinando le nostre città) e racconta una realtà che ha già sperimentato in modo consistente questo fenomeno, lasciando poco spazio allottimismo.
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