Il “Bosco verticale”, coppia di grattacieli inaugurati a metà ottobre nell’area di trasformazione di Porta Nuova su progetto di Boeri Studio (Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra; ora Stefano Boeri Architetti e Barreca & La Varra), si è aggiudicato l’International Highrise Award. A partire dal 2004, il prestigioso riconoscimento è assegnato biennalmente dalla Città di Francoforte, dal Deutsches Architekturmuseum e da DekaBank al migliore edificio alto oltre 100 metri di recente realizzazione, e consiste nella consegna di una statuetta dell’artista Thomas e in una somma di 50.000 euro ai progettisti e allo sviluppatore immobiliare. Il 19 novembre, a Francoforte, Stefano Boeri e Manfredi Catella (amministratore delegato di Hines Italia) hanno ritirato il premio.
Nell’ambito di una collaborazione che si intende avviare con il nostro Giornale, pubblichiamo integralmente un articolo comparso su archphoto.it. La riflessione di Luca Guido, che ci sentiamo di condividere, stabilisce un nesso con la vicenda urbanistica dell’Expo 2015, la cui deriva (testimoniata dal flop del recente bando per l’acquisizione delle aree post evento) è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, rispetto a quanto afferma l’autore, sebbene viziato dal “peccato originale” della “valorizzazione” dell’area privata acquisita dall’immobiliare Cabassi, il masterplan iniziale di Expo redatto dai “saggi” ci sembrava andare nella giusta direzione nell’impostare un diverso assetto di urbanizzazione che tenesse insieme significante (l’«orto planetario») e significato (il tema del cibo). Ma poi il partito del cemento ha avuto la meglio… Buona lettura
Nutrire il pianeta, energia per la vita è il tema della prossima Esposizione Universale in programma a Milano per il prossimo maggio. Sostenibilità, cibo, equità, futuro, ambiente sono alcune delle parole chiave del grande evento.
Ma gli interrogativi stimolati dal titolo dellExpo 2015 appaiono ancora più interessanti e delicati se rapportati allarchitettura. Dunque come può contribuire un edificio a nutrire il nostro pianeta? Che rapporto vi è tra costruito e mondo naturale? Come può il progetto di architettura accogliere le innovazioni sostenibili e le esigenze spirituali e pratiche delluomo contemporaneo? E soprattutto come può la natura interagire con listanza estetica che ogni buon progetto architettonico dovrebbe esprimere?
Il grande sito espositivo, che ci si presta ad allestire in un clima di corruttela generale, sembra non suggerire alcuna risposta valida, in particolare sul fronte della pianificazione urbanistica. Il timore che larea alla periferia di Milano, su cui si stanno costruendo i padiglioni, sia abbandonata al degrado o alla speculazione edilizia alla fine della kermesse, si è fatto estremamente reale dopo che la gara del 15 novembre 2014, finalizzata a individuare futuri acquirenti e gestori, è andata deserta.
I possibili investitori non hanno infatti ritenuto conveniente la previsione del bando di gara che metteva in vendita un lotto unico, la cui parte edificabile non avrebbe dovuto superare lenorme cifra di 480.000 metri quadri, lasciando circa laltra metà dellarea a parco.
In fondo lidea di utilizzare un nuovo sito per la costruzione dellExpo, anziché destinare spazi e strutture già esistenti a Milano, era parsa a molti un pretesto per favorire i proprietari delle aree individuate e incoraggiare la speculazione post-expo. Inoltre si trattava di unipotesi espositiva dallimpostazione piuttosto tradizionale. Il coinvolgimento nel masterplan di architetti di fama internazionale come Jacques Herzog, Ricky Burdett, William MacDonough e Stefano Boeri, a cui presto ascriveremo il successo o il fallimento delle previsioni urbanistiche, serviva appunto ad imbellettare al meglio loperazione, come il fondotinta sul viso degli attori.
In attesa che il cantiere prosegua e che si scongiurino gli scenari peggiori, è la recente realizzazione delle due torri residenziali dellarchitetto Boeri che offre numerosi spunti di riflessione per inquadrare le politiche culturali e architettoniche milanesi.
Il cosiddetto bosco verticale realizzato da Boeri nel quartiere Isola ha avuto un forte impatto mediatico sul pubblico generale ed è oggetto di un ampio dibattito. La posizione di Boeri sui destini dellarea è stata mutevole, vestendo egli stesso svariate casacche: da quella di architetto impegnato nei programmi partecipativi dei comitati di quartiere contro le speculazioni, a quella di progettista della multinazionale delledilizia Hines. Tuttavia, al di là del comportamento di Boeri, che delinea il suo ruolo di negoziatore tra sollecitazioni opposte, il progetto dà prova di aver introiettato il desiderio di natura tipico di molti contesti abitativi metropolitani.
Le immagini che veicolano la realizzazione sono efficaci e gradevoli, presentando un volume puro dal quale aggettano numerosi terrazzi, collocati a differenti livelli e su cui insistono fioriere e piccole superfici destinate ad arbusti e rampicanti.
Il critico di architettura Luigi Prestinenza Puglisi, affiancato dai suoi amici e collaboratori, sta veicolando sul web lidea che si tratti di un progetto rivoluzionario, rilanciando il link di unagenzia pubblicitaria.
Puglisi, impegnato da tempo in una velata promozione delloperato di Boeri, sostiene infatti che questo progetto milanese dimostri come architettura e natura possono coesistere alla pari [
] è la semplicità della soluzione, la sua banalità che attrae.
Probabilmente sfugge o si vuole dare per scontata la vera novità: il progetto è supportato da unabile campagna mediatica, riuscita come mai prima in architettura. Qualsiasi riflessione che alluda alle qualità naturali delledificio finisce inevitabilmente per confermarne il motto bosco verticale. Inoltre lo slogan si rivela adatto a promuovere limmaginario rappresentato dai due edifici più che la loro realtà. Le due torri con estrema coerenza si propongono come puro marketing, edifici-manifesto di un capitalismo edilizio di lusso che vuole presentarsi con unimmagine svecchiata. Non è la semplicità della soluzione che attrae, ma il fatto di mettere in vendita un desiderio – in quanto tale incomprimibile – piuttosto che evidenziare un bisogno materialmente soddisfabile nellacquisto di un appartamento, costoso o meno che sia.
Lincapacità di leggere criticamente questi fenomeni, da parte di esperti e del grande pubblico, dimostra la povertà psichica della nostra società, avvezza a imbastire discorsi sulla rappresentazione di idee e comportamenti, senza badare troppo alla loro sostanza.
Un esempio di quanto stiamo affermando ci viene offerto dalla politica. Di recente un esponente del Partito Democratico italiano ha affermato con convinzione che la sua visione politica corrisponde alla formula lady-like, alludendo allimpegno femminile nella cura del corpo ma accostando scioccamente lidea di politica a quella di mero maquillage.
Il filosofo Massimo Cacciari ha commentato lepisodio parlando di berlusconismo puro e di una cultura che non è cultura. Ma è chiaro da tempo come gli ideali della rivoluzione culturale degli anni 60-70 si stiano realizzando nel peggior modo possibile. Lidea che qualsiasi cittadino possa occuparsi di politica (democrazia diretta), è supportata dalla presenza di schiere di servi sciocchi sugli scranni delle camere dei bottoni. La deregolamentazione della sessualità si è trasformata nellesibizione sistematica del corpo delle donne per finalità pubblicitarie. Lavversione ad una cultura libresca e autoritaria nel de-finanziamento della ricerca universitaria. Il superamento dei ruoli di classe nelloblio delle tradizioni e della storia, sostituite dal vago concetto di identità. Il sogno della fine del lavoro tradizionale si è trasformato in una legislazione che favorisce il precariato. In termini ambientali e architettonici la rivendicazione di una vita a contatto con la natura, tipica della cultura hippie, si è trasfigurata nellidea di accettare una natura come una politica lady-like.
Analizziamo e perciò circoscriviamo.
Da una parte la vicenda Expo. La grande esposizione universale dedicata al tema nutrire il pianeta passa per un momento di riflessione globale, ma viene realizzata in una delle città più inquinate dItalia, consegnando unulteriore fetta di territorio allindustria delle costruzioni. Dallaltra il progetto delle torri residenziali di Boeri. Come gli edifici post-moderni davano lillusione di dialogare con la storia attraverso un utilizzo disinibito di forme e tipi edilizi, il bosco verticale sembra instaurare un rapporto con la natura.
Tuttavia gli arbusti non rivoluzionano affatto ledificio che li supporta, né il progetto ripensa radicalmente il concetto di abitazione collettiva (come potrebbe farlo un edificio che è un prodotto ed espressione delleconomia di mercato?)
Il post-moderno non passa più attraverso liconicità delle forme, ma attraverso la possibilità di trasformare ledificio in una reclame senza utilizzare luci o tabelloni. Il tutto si riduce ad unesposizione di trofei, siano essi di caccia, artistici o naturali. Le piante sono sui terrazzi e lappartamento è dietro un volume scatolare. Dove starebbe linnovazione in questo modo di concepire il progetto di architettura?
Purtroppo linadeguatezza della critica pronta ad incensare tali operazioni è mostrata anche dallutilizzazione inconsapevole del motto del progetto come se ne fosse semplicemente il titolo, perdendo di vista il significato semantico della parola bosco. Un bosco, al di là di qualsiasi definizione legale, è un insieme articolato di flora e fauna, un mondo fatto di atmosfere e modi duso irriproducibili in una metropoli. Soprattutto il bosco ha unestensione territoriale e una fruibilità pubblica che non hanno i balconi privati di unabitazione. Parlare di questo edificio come di bosco non significa argomentare un discorso, ma veicolare un messaggio pubblicitario. In fondo anche il valore urbanistico delle torri di Boeri appare a minima reazione. Nessun saldo legame tra progetto paesaggistico del quartiere Isola e le fioriere pensili di Boeri. Provate ad immaginare che questi edifici possano essere presi a modello per un nuovo quartiere urbano. Senza dubbio ci troveremo di fronte a delle palazzine più piacevoli alla vista, ma anche a unidea di città e di architettura molto tradizionale.
p.s. Sul tema dell’edilizia green si legga anche Idee di ecotopia urbana, di Fabrizio Aimar