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Luca GibelloWritten by: Città e Territorio

A Sistiana il mare può attendere

A Sistiana il mare può attendere

DUINO-AURISINA (TRIESTE). C’eravamo anche noi tra le centinaia di persone che venerdì 8 agosto, dall’alto dell’ex bacino di cava, sono scese alla baia di Sistiana in occasione dell’inaugurazione (parziale, manca ancora la spa con thalassoterapia, in cantiere fino al 2015) di Portopiccolo. Al di là dei numeri (in sintesi, 380 unità abitative, 1.200 posti auto interrati, un hotel di charme, circa una decina tra bar, ristoranti e botteghe, una marina con 120 posti barca fino a 40 metri) e delle affermazioni (abitazioni in classe A, geotermia, videosorveglianza, fibra ottica), preferiamo restituire alcune impressioni a caldo dell’intervento pianificato, realizzato e gestito da un unico soggetto, la società Serenissima sgr (A4 Holding più gruppi bancari e assicurativi come Generali, Allianz e Banca Popolare dell’Emilia) attraverso il Fondo Rilke, di cui fa parte l’impresa esecutrice Rizzani De Eccher, la quale per il progetto si è affidata allo studio di architettura, ingegneria e infrastrutture Archest.
Il cosiddetto “borgo” non presenta certo la dimensione raccolta e ridotta che in genere connota i villaggi storici del Mediterraneo da cui il progetto pretenderebbe di trarre ispirazione. Al contrario, l’immagine dell’intero complesso è piuttosto quella di un vasto anfiteatro di pietra, cemento e laterizio che occupa l’intera insenatura, con scarsa capacità d’integrarsi nel contesto e meno ancora di farsi occasione di rinaturalizzazione e di risarcimento ambientale. Infatti, al di là della distribuzione secondo le curve di livello, solo parzialmente la giacitura degli edifici asseconda l’orografia del terreno: e se nella parte alta le abitazioni digradano secondo la tipologia a terrazze sovrapposte, in quella bassa le abitazioni in linea si sollevano verticalmente presentando infelici retri contro terra. La dicotomia tra le tipologie si fa stridente soprattutto in rapporto ai linguaggi adottati: “alla moderna” nella parte alta e verso Oriente; pastiche storicistico in quella bassa. E se ogni acquirente può così scegliere in base ai propri gusti (tradizionalisti vs innovatori), l’intera operazione deficita nel tentare, attraverso un progetto sincrono, di riprodurre l’impossibile stratificazione di un tessuto edilizio e urbanistico costruito e modificato nel tempo. Di qui l’inevitabile sensazione di finzione – e un po’ anche di soffocamento – che accompagna l’inflazionata immagine di serendipity tra stradine, vicoletti, rampe, scale, sottarchi, porticati, accentuata dai dettagli iperdisegnati di capitelli, aggetti, gronde, pluviali, comignoli, ringhiere, ecc (il postmodern non muore mai, ma questo kitsch è post del post). Il mare, poi, resta confinato oltre la baia artificiale, protetta da una barriera costituita dallo stabilimento balneare con bar lounge protesa su un impattante molo; solo dopo questa sorta di diga si schiude una risicata “spiaggia” al servizio dello stabilimento, realizzata con materiali di riporto (come dimostrato dalla fascia di almeno un metro di acqua marina color fango lungo la riva).
Infine, le perplessità riguardano la plausibilità – per non abusare del termine sostenibilità – dell’intervento da almeno due punti di vista. Da un lato quello ambientale: che cosa sarà del waterfront alla prova del primo Libeccio? O delle case fondate su un precario suolo di frantumata pietra carsica di fronte agli odierni fenomeni temporaleschi di eccezionale entità? Quindi, in sostanza, era meglio la ferita lasciata dalla cava a cielo aperto o l’ennesimo spargimento di cubature ammantate dalle retoriche del green e dell’ecofriendly? Dall’altro quello economico: Portopiccolo sarà davvero un successo, nonostante nell’area del golfo di Trieste altre operazioni immobiliari simili, sebbene di portata minore, languiscono?

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 al 2024 è direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 1 Febbraio 2016