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Davide BorsaWritten by: Interviste

L’Expo 2015 dovrebbe guardare di più al Mediterraneo

L’Expo 2015 dovrebbe guardare di più al Mediterraneo

Dopo Lorenzo Degli Esposti è la volta di Giorgio Martino, che insegue la figura di architetto-inventore esploratore, allo stesso tempo antica e contemporanea, nella quale crede fortemente. È docente all’Istituto Europeo di Design, ha collaborato come lecturer con il Politecnico di Milano, il NABA e la Scuola Politecnica di Design nei corsi di Andrea Branzi e Nicoletta Morozzi e con la DanceHaus di Susanna Beltrami. Negli anni novanta progetta e realizza una collezione di apparecchi illuminanti concepiti sul riuso di altri oggetti di produzione industriale, nel 1999-2000. Pioniere del loft milanese, vince il concorso indetto dal Comune per le politiche sociali, destinato alle PMI in base alla legge 266/97, con il progetto “Baubau’s Factory” realizzato nel quartiere Bovisa. Nel 2005-2006 sviluppa e deposita due brevetti di invenzione: uno in campo nautico (imbarcazione pneumatica a geometria variabile – tender-two) e uno in settore elettrotecnico (wire-box). La ricerca sul campo si concretizza in numerose spedizioni ed esplorazioni sin dagli anni ottanta in Africa, Europa e Asia. Sviluppa sul campo la sua tesi di laurea in Africa orientale viaggiando con una piccola Renault 4 tra Kenya e Tanzania studiando la geometria delle abitazioni e dei villaggi Swahili e nilo camitici. Successivamente, studia gli insediamenti umani lungo la valle del Nilo, dal delta fino ad Abu Simbel sul confine con il Sudan. Nel periodo sovietico percorre, con altri due ricercatori, i territori tra il Mar Nero e il Caspio: dalla Turchia alla Georgia, dall’Armenia all’Azerbaijan, dalla Russia all’Ucraina e alla Moldavia. Tra il 1993 e il 1995 crea Convoy per il finanziamento di progetti di cooperazione multilaterale, raccogliendo fondi con l’organizzazione di eventi sportivi in campo nautico e motoristico (nel 1993 Convoy contribuisce alla costruzione di uno dei primi centri dell’Institute for Indian Mother and Child nei pressi di Calcutta). Nel 1998 compie in sette mesi la traversata dell’intero continente eurasiatico a bordo di due Ape Piaggio, da Lisbona a Pechino, per studiare gli insediamenti umani e le tipologie architettoniche lungo e oltre la Via della Seta). Nel 2012, con il collega Matteo Rigamonti, fonda MediterraNew, Permanent Architectural Workshop & Competition per valorizzare il patrimonio paesaggistico e culturale mediterraneo. Il progetto incomincia con l’isola di Amorgos nelle isole Cicladi (Grecia) sulla scia del lungo lavoro fatto per l’inserimento del monastero di Panagia Chozoviotissa nella Tentative List dell’Unesco per la Grecia. Se lo incontri a Milano, sulla sella della sua Royal Enfield, sembra appena uscito da un set di Gabriele Salvatores prima maniera. Ha il suo studio di progettazione e design in Milano, dove vive e lavora da 32 anni.

Che idea si è fatto di Expo, anche come possibilità e apertura nei confronti di questi temi, e come nuovi modelli di scambio tra genti e popoli? E’ d’accordo con la recente affermazione di Carlo Petrini che quest’Expo è senz’anima? A che livello si sente coinvolto dall’evento?

Parlare di Expo un po’ m’inquieta. Non mi piace EXPO-rmi o, peggio, giudicare, quando non conosco perfettamente “lo stato dei luoghi”. Se dovessi rispondere istintivamente, per quel poco che mi è dato di conoscere e vedere, vivendo e operando come architetto a Milano e hinterland, direi che c’è preoccuparsi un attimo. Sicuramente non si discute mai a sufficienza di quello che adesso è anche tema di EXPO 2015, “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, ma è anche vero che, probabilmente e purtroppo, non importa veramente a molti. E’ evidente che giudicare l’evoluzione del cantiere e del progetto EXPO comporta un’analisi molto complessa. I fatti appaiono contaminati e confusi da posizioni divergenti e poteri contrapposti. Il problema principale è tuttavia molto evidente: l’EXPO 2015 di Milano è che Milano si trova in Italia. Non potendo e non volendo fare l’ennesima paternale al Bel Paese, a un’analisi superficiale, navigando sui siti con semplici parole chiave (EXPO 2015 – IL DOPO EXPO 2015 – etc …) si trovano dati interessanti, sia stimolanti che preoccupanti. Nell’ormai lontano 2012 è stato realizzato un bel video accattivante su “SMART CITY EXPO 2015”. Guardandolo si immaginano in modo semplice e immediato sei mesi ad alta tecnologia che ci fanno ben sperare in una vera, efficiente e futuribile Milano. Sicuramente un altro pianeta da quella domenica 3 gennaio 1954 quando iniziarono le trasmissioni televisive nel nostro Paese! Ma a che punto siamo? Si può consultare il sito di Milano Smart City…
Tuttavia rimango perplesso quando, proprio cliccando sul link istituzionale, nel browser compare immediatamente la stringa completa che riporta anche il CMS (Software di Content Management) con il quale è stato impostato il contenuto del sito… cosa non proprio “smart”, per giunta sito elaborato con una certa sciattezza. Questa EXPO sarebbe certamente un’ottima opportunità per cogliere il pretesto per una multilaterale apertura verso “il diverso”. Un pretesto per crescere nella scoperta delle differenze riscoprendo contemporaneamente le affinità dell’umanità. Il Mare Nostrum poteva essere un perfetto paradigma che è sotto i nostri occhi da millenni, occhi mediterranei… Infatti poteva essere proprio il Mediterraneo spunto per questa visione così antica ma anche così contemporanea. Mi sembra, tuttavia, che tutto ciò non si legga bene in EXPO 2015, neanche tra le righe.

Il battage pubblicitario è stato immenso, i maestri cantori hanno innalzato gli inni alle magnifiche sorti progressive, l’evento è stato caricato della responsabilità di essere una sorta di panacea per tutti i mali, mentre i critici hanno denunciato una subdola operazione di disinformatia: un bagno mediatico permanente che, tra l’altro, avrebbe distratto l’attenzione dai veri e ben più reali problemi sistemici che ci affliggono. Poi sono arrivati anche i guai giudiziari…
Già dal 2012 è disponibile un video su “Gli architetti di Expo 2015 e l’Ufficio di Piano”. Fa piacere vedere tanti giovani coinvolti e impegnati nella progettazione dell’area e dei trasporti a essa collegati. Voglio credere che l’impegno dei giovani possa finalmente far svoltare in modo positivo verso nuovi traguardi. Ma ce la faranno entusiasmo e neo-esperienza a contrastare e controllare gli enormi interessi rappresentati nel grande multi-cantiere? Dagli ultimi eventi che hanno turbato pranzi e cene in orario TG sembra proprio di no. Tuttavia voglio dire che bisogna ancora crederci! Proprio perché sono convinto che i giovani (quelli giusti) possono scardinare il malcostume. Nel mio studio investo moltissimo nel contributo creativo e logico dei miei collaboratori non ancora trentenni. Credo soprattutto nella loro onestà intellettuale e nel loro contributo fondamentale quali “nativi digitali”. Proprio parlando di EXPO con i miei colleghi Marco Germi e Giacomo Albensi, ci siamo domandati cosa sarebbe stato di Milano se la stessa mole di investimenti fosse stata destinata a un progetto diffuso sul territorio specificatamente urbano investendo sulla riqualificazione di tante aree centrali e pericentrali della città che possiamo tranquillamente definire come dei vuoti urbanistici. Sicuramente ci sarebbero stati da risolvere grandi problematiche legate a flussi e mobilità (anche e soprattutto durante la realizzazione delle opere) ma, forse, a fine 2015 avremmo avuto una Milano veramente più moderna ed efficiente. Credo che solo così si sarebbe potuta tramandare un po’ più di eredità materiale che ha contraddistinto le EXPO storiche, da Londra a Parigi da Seattle a Shanghai. La cosa che ancor più m’inquieta è sentire di tavoli di progetto e programmazione adesso, quando ormai tutti i giochi dovrebbero essere già fatti da tempo.

I modelli adottati spesso perseguono i peggiori stilemi globish, indifferenti a ogni concetto di sostenibilità e di compatibilità, sia nei confronti della tradizione locale, che delle preesistenze e genius loci. Siamo ancora in grado di difendere la memoria e identità dei nostri luoghi, l’idea di citta’ europea e mediterranea sviluppandola in modelli culturali e progettuali coerenti e compatibili, in linea con le esigenze superiori e generali della comunità di riferimento? Piuttosto che l’ennesima aggressione cementizia, il territorio non meritava forse qualcosa di più lungimirante e rispettoso, un approccio e una strategia diversa da quella adottata, più vicina alle caratteristiche geomorfologiche del luogo? Anche sotto questo aspetto, della tua recente esperienza in Grecia cosa ci puoi raccontare?
Risponderò toccando l’argomento delle Vie d’Acqua dell’EXPO. Premetto che sono uomo di mare (nato orgogliosamente nella meravigliosa Genova che, per fortuna, anche se molto lentamente, sta rinascendo) e l’acqua la vivo in modo totale, da quando ogni mattina mi faccio la doccia a quando ci navigo, possibilmente a vela (purtroppo sempre meno a causa del poco tempo) o ci nuoto, sopra e sotto. Le proposte fin’ora formulate sul tema “umido” mi sembrano molto più estetiche (che non significa “belle”) che interessanti, senza infatti dimostrare un’utilità pratica veramente legata all’acqua. Le nuove Vie d’Acqua mi sembrano pensate da un team che non sa né nuotare né navigare. Non vedo in un prossimo futuro una rivitalizzazione dei canali per lo scopo con cui furono al tempo progettati. Così pure sarà “finta” la Darsena e sarà snaturata la sua vocazione portuale. Cito me stesso (anche se nessuno mi conosce): da tempo mi ero riproposto di comprare un vecchio barcone fluviale (con motore funzionante) per “ristrutturarlo” e farci il mio studio sul Naviglio Grande o in Darsena, pensando però di poter lasciare gli ormeggi nel weekend per navigare le acque interne lombarde e non solo. Potrebbe essere un segnale di rivitalizzazione attiva dei navigli, certamente molto differente dalla semplice chiatta “brasata” alla sponda che ospita tavolini e cocktail durante la sempre più misera movida milanese. Secondo voi lavorare e poi navigare sul nostro naviglio (nel senso di galleggiarci sopra) potrebbe essere un progetto realizzabile? Di qui ai prossimi 5/10 anni credo potrà essere visibile soltanto in un mio fotomontaggio o in un bel rendering. Peccato che certe idee possano “naufragare” in così poca acqua! Rimanendo vicino all’acqua, parlando ancora di Mediterraneo, due anni fa mi sono inventato un complesso lavoro nella bellissima isola greca di Amorgos, dove proprio l’acqua è parte fondamentale di quel genius loci. Prima ho lavorato per due anni su un progetto per l’UNESCO per l’inserimento del monastero di Panagia Chozoviotissa nella cosiddetta Tentative List per la Grecia. Poi la mia idea e strategia di tutela dell’heritage è mutata e, dopo aver coinvolto il mio compagno di avventura [NdR socio], l’architetto Matteo Rigamonti, abbiamo insieme pensato che si sarebbe potuto facilmente valorizzare il patrimonio paesaggistico e culturale mediterraneo lavorando con dei giovani cervelli indirizzati da docenti brillanti e poco accademici. Abbiamo così attuato un progetto formativo teorico e soprattutto sul campo e un laboratorio progettuale concreto pensato per donare nuove linee guida e spunti progettuali alle comunità locali, il tutto secondo una “ricetta” multidisciplinare e sostenibile (criteri peraltro molto vicini a quelli dell’Unesco), inventando un workshop permanente chiamato MediterraNew.

Rinnovare l’insegnamento e la didattica del progetto è possibile pensando a una nuova formazione che operi “sul campo” e che superi la stasi della tradizione accademica, in questo tempo in profonda crisi di transizione. C’è un’alternativa “mediterranea” al mainstream culturale di matrice imperialista e colonialista, anche come reazione alle spinte speculative, che preveda un recupero del valore civile ed etico del fare architettura?
Lavorando sul concetto di “mediterraneità”, ho immaginato che coinvolgendo menti fresche, giovani architetti e designer ma non solo (stiamo aprendo anche a studenti di economia per riportare i creativi con i piedi per terra…), si possono ancora fare buone cose. La mia passione per il viaggio e la ricerca mi ha spinto a diventare una sorta di “heritage hunter” e così con me Matteo. Dopo aver visitato e studiato tanti luoghi del nostro pianeta (ma mai ancora a sufficienza), ho capito che l’insegnamento che si può trarre dalle nostre storie (le storie cioè delle differenti civiltà) può aiutarci a superare quasi ogni ostacolo. Osservare e mettersi in ascolto ci aiuterà a crescere rispettando le diversità, interpretandole per trovare soluzioni nuove. Questo concetto, solo a un’analisi superficiale potrebbe sembrare scioccamente globalizzante. Non vogliamo parlare qui di adozione di stili e tecniche avulse dal luogo (come accade nella globalizzazione più bieca) ma si tratta invece di confrontare con intelligenza le esperienze e le invenzioni che l’uomo ha attuato nelle diverse regioni del nostro pianeta. Sarà poi il genius loci e il mestiere e la cultura dell’architetto a tradurre in linguaggio coerente anche la scoperta più esotica.

L’idea di Europa che emerge dal suo lavoro e dai suoi viaggi (come quello di Eurasia) mi sembra recuperare pienamente e integrare quella più antica di Mediterraneo, come l’aveva pensata Jacques Le Goff. Un’Europa più aderente alla nostra realtà geografica, antropica e territoriale, può avere come unico orizzonte la Germania o il mondo angloamericano? Che alternative ci sono?
Credo che la martoriata Europa abbia in mano delle armi potenti per poter valorizzare l’immenso patrimonio culturale e paesaggistico di cui è dotata. Parlando di Mediterraneo ci rivolgiamo a contesti socio culturali ai quali, troppo spesso, mancano i fondi per ricercare e sviluppare nuove strategie di crescita sostenibile. Ricordiamoci, però, che Mediterraneo non è soltanto Europa, bensì il tessuto connettivo tra tre continenti, e proprio in ciò sta il suo immenso valore.
Con il nostro progetto formativo e di ricerca crediamo che sia possibile offrire un duplice vantaggio: il primo agli studenti e ai ricercatori e il secondo, non meno importante e concreto, anche alle comunità che sono oggetto dei nostri studi. I primi hanno la possibilità di sperimentare a bassissimo costo la ricerca, l’analisi e la soluzione di problematiche interessanti e soprattutto reali che potrebbero un domani diventare un avvincente lavoro professionale. Le comunità oggetto dei nostri studi, invece, ricevono gratuitamente progetti e proposte articolate e creative che crediamo siano anche facilmente realizzabili. Abbiamo voluto espressamente uno staff docente assolutamente multidisciplinare (e poco accademico) per fornire stimoli a 360 gradi ai partecipanti. Tutti i nostri workshop si concludono sempre con concorsi di idee che sono sempre valutati da una doppia (o tripla) giuria: quella dello staff docente, la social/community web e la comunità locale beneficiaria dei progetti.

Anche attraverso la sua recente esperienza in Grecia, il tema della tutela e conservazione dell’heritage, sia come testimonianza di cultura materiale sia come valori immateriali, è diventata una parte centrale del lavoro dell’architetto: anche in uno scenario di deindustrializzazione come modello di sviluppo alternativo per prepararsi alla transizione postfordista? Siamo attrezzati per questo cambio di paradigma, quali e quante invece le cose necessarie cose da fare?
Il nostro primo case-study è l’isola di Amorgos, ancora abbastanza incontaminata a differenza delle devastazioni architettonico/culturali che ritroviamo, purtroppo, in altri bellissimi siti mediterranei. Vogliamo qui fornire un’alternativa reale di crescita che si fondi principalmente sul genius loci dei luoghi oggetto di studio e aborrisca, invece, la tendenza incoerente della globalizzazione selvaggia, quella “cattiva”. Il Mediterraneo caratterizza e influenza certamente più di metà Europa. L’altra metà, anche quella “fredda”, guarda comunque a noi come un modello di cultura e bellezza a cui non può che fare da complemento. Il Mediterraneo, come dicevo prima, ispira anche un buon terzo dell’Africa e richiama una bella fetta di Asia. Le diversità rilevabili tra nord e sud, est e ovest, devono essere tutelate e valorizzate nella reciproca “osmosi” culturale: il Mediterraneo è proprio lo strumento naturale di una possibile rinnovata “osmosi”.
Adesso mi domando se tutta questa fondamentale mediterraneità l’EXPO 2015 l’abbia realmente considerata e sia apprezzabile nelle opere e negli eventi programmati. La mediterraneità quanto è presente nell’intento e nella visione degli ideatori e pianificatori di questo evento/occasione? Io dico troppo poco!
Per concludere con un briciolo di polemica in più, cosa dire dell’EXPO Gate, la soglia tra Milano e l’Esposizione Universale? Perché due “tende canadesi” con esoscheletro a Milano tra Foro Bonaparte e l’ingresso del Castello Sforzesco? Puro gesto? … Dov’è la sostenibilità del progetto e dei materiali? È un richiamo agli spruzzi della fontana detta anche  la torta di spus (“la torta dei sposi” per la sua forma data appunto dagli spruzzi) e le due strutture reticolari dell’EXPO Gate ne sono due grandi fette? Mi voglia perdonare l’architetto scenografo Alessandro Scandurra ma, da quel che sento, ‘sto Gate non piace tanto…

Per approfondimenti:
“SMART CITY EXPO 2015: Edizione 2012 Versione lunga” www.youtube.com/watch?v=_5elq77BhUE (circa 6.700 visualizzazioni)
www.milanosmartcity.org
“Gli architetti di Expo 2015 e l’Ufficio di Piano” (www.youtube.com/watch?v=1HQQYWGKriM – poco più di 10.100 visualizzazioni)
Per le Vie d’Acqua dell’EXPO 2015 www.expo2015.org/it/cos-e/perche-milano-/vie-d-acqua
www.mediterranew.org

Autore

  • Davide Borsa

    Laureato in Architettura al Politecnico di Milano con una tesi su Cesare Brandi, pubblicata con il titolo Le radici della critica di Cesare Brandi (2000), è dottore di ricerca in Conservazione dell'architettura. È corrispondente del “Giornale dell'Architettura” e ha scritto per “Arte Architettura Ambiente”, “Arcphoto”, “Ananke”, “Il Giornale dell'Arte”. Suoi contributi sono in atti per il seminario internazionale “Theory and Practice in Conservation- A tribute to Cesare Brandi” (Lisbona 2006), per la giornata di studi “Brandi e l’architettura” (Siracusa 2006), per il volume “Razionalismo lariano” con il saggio “Eisenman/Terragni: dalla analogia del linguaggio alla metafora del testo” (2010), per il volume “Guerra monumenti ricostruzione. Architetture e centri storici italiani nel secondo conflitto mondiale” (2011). Ha curato il volume “Memoria e identità del luogo. II progetto della memoria” (2012). Ha fatto parte dello staff curatoriale del Padiglione Architettura Expo 2015 per il ciclo di convegni Milano capitale del moderno. Presso il Politecnico di Milano collabora alla didattica nei corsi di Storia dell'architettura contemporanea, Teoria del restauro, Composizione architettonica e urbana e ai laboratori di Restauro e di Progettazione architettonica.

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Last modified: 9 Ottobre 2015