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Davide BorsaWritten by: Interviste

Spostiamo l’Expo 2015 a Lugano!

Spostiamo l’Expo 2015 a Lugano!

MILANO. Lorenzo Degli Esposti è titolare, insieme a Paolo Lazza e Stefano Antonelli, dello studio milanese Degli Esposti Architetti, tra i primi 100 italiani per volume di affari (Il Sole 24ore). A Milano è direttore creativo dell’agenzia di ricerca Architectural & Urban Forum (Aufo) e, presso il Politecnico, docente a contratto del corso di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture, direttore del workshop di composizione architettonica DEEPmilano, coordinatore del corso internazionale “Athens Poli9The Art of Building Cities”.
Sospeso tra l’idea di diventare un ricco e noioso archistar aduso ad assecondare le stravaganti richieste di facoltosi emiri e dare forma alle pazzesche volumetrie e finiture richieste dalle committenze dei fondi internazionali speculativi, che vogliono dotare di piscina olimpionica e campo da golf anche un tre locali, oppure reincarnare la mitica figura senza compromessi dell’architetto radical anni settanta che bada solo all’idea e se ne frega di budget e committenze, Degli Esposti, come William Wilson, combatte contro sé stesso: da una parte, dopo averlo a lungo studiato, è riuscito a compromettere la carriera di Peter Eisenman costringendolo a misurarsi insieme a lui con il regolamento edilizio e la Soprintendenza di Milano nel progetto del Pinerba Condominium (Residenze Carlo Erba, in cantiere) e, contemporaneamente, tramite la sua identità doppelgänger di direttore artistico di Aufo, con lungimiranza previdente ha proposto di delocalizzare l’Expo 2015 sulle specchiate superfici del lago di Lugano, dalle rive del quale sarà finalmente e saldamente al sicuro da tsunami e terremoti giudiziari, ancor meglio che tramite una perizia suppletiva di Ove Arup.
Lo incontriamo di buon’ora, alle 8, prima di una delle sue lezioni del ciclo “Colazione da Tiffany” (riesce a far arrivare gli studenti in aula alle 8.30, in anticipo rispetto a quanto stabilito dall’orario accademico!) per discutere le ragioni di questa ennesima provocazione diventata sempre più realistica, nuova perla di un formidabile repertorio con cui ha movimentato la scena politecnica (vedi elenco in calce), inserendosi a pieno titolo nella migliore tradizione di sobrietà, rigore e autorevolezza calvinista della scuola di Milano.

Come direttore carismatico di Aufo, Lei era sembrato aristocraticamente indifferente ai valori e alle sfide di Expo…
«All’ennesima sollecitazione proveniente dai fatti di cronaca legati all’Expo 2015, di getto ho pensato che, sostituendo solo tre lettere a “Milano”, avrei ottenuto “Lugano”, sperando così di salvare i destini dell’esposizione, o quanto meno il logo e tutta l’impostazione grafica del merchandising. Di lì a breve, l’idea si è formata nella mia mente: l’unico modo per chiarire la questione è eliminare il terreno, non con speculazioni estetico-compositive da pilotis lecorbusiano, ma proprio eliminare il terreno dalle speculazioni fondiarie. Rifugiandomi comunque in Svizzera, sull’acqua, come ogni concreta utopia che si rispetti. Non a caso, una delle prime adesioni al costituendo Comitato Promotore è giunta da un’isola, la Sicilia: da Maurizio Oddo, presidente del Corso di laurea in Architettura dell’Università degli Studi di Enna Kore, dove ho presentato in anteprima il progetto».

Quando si è accorto che Expo 2015 era diventata qualcosa di diverso da quello che avrebbe dovuto e potuto essere? Che tipo di occasioni uno studio emergente di architettura si auspicherebbe da pesanti interventi soprattutto infrastrutturali come questi? Quale dovrebbe essere il ruolo dell’architetto, e come giudica qualità e quantità di quanto visto finora?
«La prima, colossale, stranezza dell’Expo 2015 è stata la scelta del sito per l’esposizione (avvenuta in sede di candidatura e dunque ben prima dell’aggiudicazione dell’evento a Milano): un terreno di proprietà in gran parte privata, per circa due terzi della Fiera e un terzo del gruppo Cabassi, più altre piccole parti di proprietà di enti pubblici. Non era mai successo nella storia delle esposizioni universali che il terreno destinato all’esposizione non fosse pubblico. Il fatto che poi il gruppo Cabassi sia stato liquidato (valorizzando in ogni caso i terreni a suo tempo acquistati con destinazione agricola) e la proprietà delle aree sia passata ad Arexpo spa (società mista pubblico-privata) non sana la situazione, in quanto il passivo della compravendita Cabassi è confluito nei bilanci societari e la stessa Fiera, ente privato, è entrata come socio conferendo i terreni di proprietà e quindi nella prospettiva di una loro valorizzazione. Non è un caso che Arexpo si trovi ora in grande difficoltà, in quanto dovrà, una volta concluso l’evento, necessariamente vendere i terreni con una base d’asta superiore a 300 milioni di euro, per evitare l’intervento della Corte dei conti. La scelta espressa tramite referendum dai milanesi di lasciare l’area a parco nel post Expo 2015 è una pura velleità e sarà brutalmente disattesa dagli stessi enti pubblici coinvolti.
Sempre in tema di sito espositivo, la scelta dell’amministrazione Moratti di conferire incarico diretto ai “5 saggi” per la progettazione delle aree, piuttosto che indire un concorso, ha immediatamente chiarito che aria tirava, ben prima degli arresti dei massimi dirigenti responsabili degli appalti dell’Expo 2015 occorsi negli ultimi mesi. Qualsiasi studio di architettura (giovane soprattutto) si aspetta di poter lavorare, o quantomeno concorrere in procedure trasparenti e leali: ovviamente, un evento internazionale di questa portata poteva far sperare in una distribuzione di opportunità, indizione di gare e concorsi puliti, possibilità concrete di assumere incarichi di progettazione. Per i giovani professionisti, rimane comunque la ghiotta occasione di nobilitare il proprio cv offrendosi gratuitamente o a fronte di un misero rimborso su volontari.expo2015.org, entrando così nel “vero social network dell’anno”, come campeggia in una recente campagna pubblicitaria a cura di Expo 2015 spa. Politica del resto del tutto equa e condivisibile, in quanto già ingenti consulenze sono state elargite, come i 750.000 euro per Germano Celant e staff annesso.
Per quanto riguarda l’esito progettuale del progetto per il sito, lo considero un aggiornato e anzi innovativo esempio d’impianto a cardo e decumano, impostato su parcelle edificabili pronte per le future lottizzazioni del post, dunque coerente con tutto il resto».

Che interpretazione hanno dato le società Expo dell’idea di pianificazione urbanistica e della relazione tra pianificazione di larga scala, urbana e quella di piccola scala fino al dettaglio architettonico? Che tipo di immaginario e quale repertorio di soluzioni si sono sviluppati, e in che rapporto si collocano con altri episodi urbanistici recenti che hanno interessato Milano, come City Life o Porta Nuova?
«Considero molto opinabile la scelta del sito, oltre che per quanto sopra riportato con riferimento alla proprietà dei terreni e agli esiti progettuali, anche e proprio per la sua localizzazione nell’area metropolitana milanese: può un’Expo sulla fame nel mondo, sulla nutrizione, comportare la sostanziale urbanizzazione di uno dei pochi campi inedificati rimasti a Milano Nord, area urbana già massimamente congestionata? L’idea di rimuovere (demolire) tutti i padiglioni una volta finito l’evento, tranne il Padiglione Italia (serve pur un edificio pubblico in un nuovo quartiere) e il padiglione sponsorizzato dalle coop (serve pure un supermercato in un nuovo quartiere), è altrettanto eloquente. Non poteva un’Expo, per giunta avente questo specifico tema, essere l’occasione per sperimentare un nuovo tipo di quartiere, in cui agricoltura e urbano cercassero una nuova alleanza? Invece tutto si è risolto, ancora una volta per la città di Milano, in un ulteriore intervento completamente scollegato da una visione d’insieme, poiché una visione strutturale difficilmente collima con gli assetti proprietari dei suoli».

Mi sembra che il contributo dato alla ricerca architettonica e urbanistica sia davvero povero e rappresenti l’ennesima plastica rappresentazione dell’attuale crisi della pianificazione urbanistica, schiacciata tra l’occasione estemporanea e le velleità di disegno urbano al di fuori della tradizionale cornice di contrattazione civile propria dell’urbanistica riformista e socialdemocratica, con l’architetto e l’architettura relegata in un ruolo secondario, di comprimaria, quasi che non possa o non voglia poter esprimere, anche simbolicamente, il ruolo e il valore civile che tradizionalmente la lega con la migliore eredità del Movimento moderno. Anche il design e la comunicazione sembrano più allineati su un basso profilo che sulla ricerca e sulla qualità italiana tradizionalmente riconosciute, con legami a triti stilemi già visti (Disney) o a una superficiale estetica del web, senza proporre nulla di nuovo e stimolante. Tutto ciò non potrebbe trasformarsi invece in un danno all’immagine dell’Italia e alla sua cultura architettonica e infine rappresentare un clamoroso autogol per i coribanti del Made in Italy?
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In tema di ricerca architettonico urbanistica e d’impegno civile riformista, proprio con preciso riferimento al sito Expo, ho affiancato da anni le iniziative dell’architetto Guglielmo Mozzoni con gli Amici della Città Ideale, tentando inutilmente di consigliare gli organizzatori a concentrare le volumetrie espositive in una grande infrastruttura sferica, lasciando così tutto il resto dell’area a verde, anche in rispetto della preferenza espressa dagli stessi milanesi, che avevano deciso con un referendum di lasciare l’area a parco dopo l’evento. Gli interessi speculativi dei proprietari privati delle aree, tutelati dalle istituzioni pubbliche coinvolte, sono stati invece perseguiti in modo praticamente indisturbato. Tantissimi altri attori sono stati silenti, compreso lo stesso Politecnico, temo anche a causa del suo coinvolgimento da parte di EXPO 2015 spa nella progettazione dei padiglioni cluster per gli stati partecipanti che non si potevano permettere un padiglione nazionale. A volte il conflitto d’interessi stimola efficaci inerzie.
In tema d’immagine e Made in Italy, credo occorrerebbe intervistare Oscar Farinetti, sicuramente più ferrato di me in queste discipline».

La letteratura critica, per non dire di quella giudiziaria, su grandi eventi, olimpiadi, G8, ricostruzioni e bonifiche è ormai sterminata. È possibile immaginare che alle occasioni già non esaltanti di progetto dei concorsi, si tolga anche questo livello della ricerca architettonica, per lasciarlo in mano alle imprese generali di costruzione e alle società d’ingegneria, riducendo ulteriormente in Italia il campo d’azione dell’architetto, chiamato perlopiù a confezionare spesso solamente noiosi maquillage e stucchevoli carrozzerie, senza coinvolgimento non solo etico, ma spesso neanche estetico? È l’apoteosi del disimpegno e del calligrafismo architettonico circense e ludico a spese dell’architettura, se non pubblica, almeno “civile”?
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I grandi eventi potrebbero essere occasioni per promuovere buona architettura. Basterebbe procedere con coscienza e legalità, bandendo in tempo utile gare e concorsi. Invece, spesso, per aggirare il Codice degli appalti e il buon senso, e per così poter meglio controllare le aggiudicazioni, si attivano procedure d’urgenza. L’urgenza viene prima causata, tramite ritardi e inerzie, quindi avvocata: non possiamo fare brutta figura… l’inaugurazione è vicina… non possiamo perdere il treno… l’Italia del fare. È ovvio che in un sistema di questo tipo, il lavoro dell’architetto è considerato nella sua strumentalità: promesse e accordi presi su certi tavoli devono essere convalidati da un’immagine vincente, brillante, gioiosa. Per questo motivo è molto utile la completa padronanza di alcuni strumenti informatici che possano gestire al meglio colori, saturazione, luminosità dei pixel: l’immagine fotorealistica e spettacolare tranquillizza il general contractor, che altrimenti rischierebbe di vedere il grosso del suo lavoro (sugli altri tavoli) andare in fumo».

Che tipo di relazione gli enti coinvolti hanno tratteggiato tra opinione pubblica, territorio, tema da svolgere, cultura e qualità urbana, tenendo conto che oltre a Expo è contemporaneamente stato avviato un altro grande piano urbanistico, quello di cascina Merlata? È finalmente compiuto il sogno della precedente amministrazione di porre fine a un’urbanistica punitiva, di stretta (diretta o presunta…) tradizione veterocomunista, a favore di una finalmente creativa che privilegia l’invenzione e la libera iniziativa privata, con buona pace della nobile tradizione socialdemocratico-riformista europea?
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Le relazioni tra opinione pubblica, territorio, temi, cultura, qualità urbana e istituzioni sono emblematicamente suggellate da altri due incarichi diretti conferiti dagli organizzatori a famosi creativi: la commissaria Bracco ha incaricato Marco Balich (affermato ideatore e produttore di cerimonie di eventi di massa) della definizione del tema a bando di concorso per il Padiglione Italia e per l’ideazione della scultura-simbolo del Padiglione, un cuccagnesco Albero della Vita, rincorrendo creatività nostrana e successo mediatico internazionale; l’amministratore delegato di Expo2015 spa Giuseppe Sala ha incaricato Dante Ferretti (celebre scenografo plurivincitore di premio Oscar) degli addobbi di cardo/decumano e del blasfemo concepimento di sette personaggi arcimboldiani farciti di luganega (quantomeno non nani, anzi piuttosto ingombranti), rincorrendo telegenia internazionale e simpatia nostrana. Queste mirabili idee ed erigende opere esaltano la nostra tradizione di accoglienza e visibilità cosmopolitica, surclassando l’umile e modesto precedente dell’incarico diretto ad Antonio da Sangallo il Giovane da parte di papa Paolo III Farnese per il progetto di un arco trionfale temporaneo a ridosso di Palazzo Venezia a Roma, per l’ingresso di Carlo V…
Medesima lungimiranza, visione metropolitana, senso civico e disinteressata erudizione hanno accompagnato molte delle grandi trasformazioni urbane proposte dalle amministrazioni Albertini e Moratti, nel rinverdimento dei fasti della nostra gloriosa tradizione di progettazione urbana per parti, dai piranesiani Campi Marzi, a Rome interrotte e città analoghe…
Per le considerazioni esposte, mi sono sentito in dovere, con coscienza e buona volontà, di proporre lo spostamento dell’Expo 2015 da Milano a Lugano, in padiglioni galleggianti sul lago, per sgomberare il campo da qualsiasi polemica o sospetto circa il privato sfruttamento speculativo e fondiario di una manifestazione cittadina e pubblica, e poter finalmente lavorare con rinnovato entusiasmo e orgoglio nazionale a questo immancabile appuntamento cosmopolita».

LE PROVOCAZIONI DI AUFO
Tra i progetti di Aufo ideati da Degli Esposti: no-spot city, proposta per un immenso condominio per un milione di occupanti nelle adiacenze del Parco Sempione di Milano, con demolizione parziale del Castello Sforzesco, protocollata come DIA nel 2009 e con inizio lavori nel 2010; Aequus Actor, proposta di istallazione di tre immensi condomini a Milano, Roma e Reggio Calabria-Messina, cardini di un nuovo sistema geografico italiano e globale, sfociante in una rappresentazione cubica del mondo; MilanoStadtKrone2030, controproposta di PGT donato alla giunta Moratti e alla città di Milano nel 2010, sviluppato con 14 studi internazionali under 40, tra cui IAN+, Mad Office, Rojkind Arquitectos, sull’idea di due nuove metropolitane, una circolare sopraelevata sull’anello del ferro e l’altra triangolare sopraelevata sul sistema tangenziale; infrastrctURBAN, progetto di ponte abitato tra Sicilia e Tunisia, i cui lavori sono iniziati con posa di prima simbolica pietra sul lungomare di Marsala, a fianco dell’incompiuto monumento ai Mille, durante le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia da parte di un corpo di intrepidi denominato Mille Aufo; urbAMO, proposta di istallazione di costellazioni resistenti di Advanced Melting Objects, corpi architettonici infra-free a tutela della diversità e contro le pratiche esproprianti e strandardizzanti della finanza transnazionale. Per informazioni sul comitato promotore Expo 2015 Lugano e sul progetto: costituendocomitatopromotore.blogspot.itwww.aufo.it

Autore

  • Davide Borsa

    Laureato in Architettura al Politecnico di Milano con una tesi su Cesare Brandi, pubblicata con il titolo Le radici della critica di Cesare Brandi (2000), è dottore di ricerca in Conservazione dell'architettura. È corrispondente del “Giornale dell'Architettura” e ha scritto per “Arte Architettura Ambiente”, “Arcphoto”, “Ananke”, “Il Giornale dell'Arte”. Suoi contributi sono in atti per il seminario internazionale “Theory and Practice in Conservation- A tribute to Cesare Brandi” (Lisbona 2006), per la giornata di studi “Brandi e l’architettura” (Siracusa 2006), per il volume “Razionalismo lariano” con il saggio “Eisenman/Terragni: dalla analogia del linguaggio alla metafora del testo” (2010), per il volume “Guerra monumenti ricostruzione. Architetture e centri storici italiani nel secondo conflitto mondiale” (2011). Ha curato il volume “Memoria e identità del luogo. II progetto della memoria” (2012). Ha fatto parte dello staff curatoriale del Padiglione Architettura Expo 2015 per il ciclo di convegni Milano capitale del moderno. Presso il Politecnico di Milano collabora alla didattica nei corsi di Storia dell'architettura contemporanea, Teoria del restauro, Composizione architettonica e urbana e ai laboratori di Restauro e di Progettazione architettonica.

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Last modified: 9 Ottobre 2015