VENEZIA. Mercoledì 4 giugno. Nel 25° della repressione di piazza Tienanmen a Pechino, ma soprattutto nella mattina in cui la città lagunare si sveglia con la notizia che il suo sindaco Giorgio Orsoni è agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti del Mose, la 14. Mostra Internazionale di Architettura apre le sue porte per il primo dei tre giorni di vernice. Alle Corderie dell’Arsenale è di scena “Monditalia”, ritratto non convenzionale (e, per fortuna, non sempre autorizzato), di un Paese caleidoscopico che, secondo il nutrito stuolo di curatori del gruppo AMO (il braccio analitico e teorico di OMA, lo studio del direttore dell’attuale edizione Rem Koolhaas), “rimane ancora oggi del tutto rilevante”.
Veniamo accolti da un altoparlante che annuncia il “menù”: 82 spezzoni di film italiani che raccontano il Belpaese dal secondo dopoguerra a oggi; 41 casi studio sviluppati da artisti, registi, curatori e architetti invitati che si concentrano su puntuali realtà geografiche, urbane, edilizie; il tutto inframezzato da palchi e maxischermi allestiti per ospitare performance di danza, musica, teatro e cinema che si susseguiranno durante l’intera mostra. Una Biennale, dunque, che celebra se stessa e i suoi vari settori puntando a un’integrazione delle “arti” nel più generale palcoscenico nazionale.
L’introduzione “colloca” il nostro Paese rispetto al resto del mondo. Sei manichini-sandwich presentano cartelli che snocciolano statistiche: popolazione, religione, emigrazione e immigrazione, investimenti pubblici in cultura (fanalino di coda in rapporto ai paesi “civili”), numero architetti in rapporto agli abitanti (essendo 147.000, qui invece vinciamo di gran lunga, con 1 ogni 414 abitanti), valore del mercato architettonico, tipologia di committenza e tipologia di lavori di progettazione, percentuale territoriale di aree protette (altissima, pari al 33,9% dell’intero suolo nazionale).
Ma ecco il vero ingresso all’enfilade degli straordinari spazi delle Corderie: una quinta addossata alla parete a evocare un palazzo rinascimentale (toscano) su due livelli che reca la scritta “Monditalia”; il tutto, reificato attraverso centinaia di lampadine bianche e gialle che lo declinano nel genere del kitsch.
Seguono i teli appesi con le sequenze filmografiche, celate dietro un velario che riproduce la Tabula Peutingeriana (la mappa del V secolo che mostra l’Italia quale nucleo dell’Impero romano) e le 41 installazioni che rileggono temi e situazioni, tutte attualissime, in un viaggio a poli invertiti da Sud a Nord: dalle condizioni dei migranti a Lampedusa alle architetture coloniali in Libia e alle forme di neocolonialismo commerciale e industriale mascherato dalle nostre richieste di perdono; dagli emicicli dei teatri della Magna Grecia esempio di democrazia diretta, alla tipologia degli emicicli delle aule parlamentari esempio di rappresentanza mediata; dai porti con le loro varie “città” parallele legate al controllo delle dogane e al mondo degli irregolari, alle infrastrutture nel deserto come il porto di Gioia Tauro; dalle ville “edonistiche” di Capri (da Tiberio a Malaparte) a quella inflatable per Michelangelo Antonioni e Monica Vitti in Sardegna; dalla concettualizzazione di Pompei come emblema delle ricerche sulle tecniche di restauro e conservazione alla sua invenzione della sessualità in rapporto alle rappresentazioni spaziali confinate; dallo scempio delle strutture mai utilizzate alla Maddalena in seguito allo spostamento del G8 all’Aquila al riuso, ad appena 3 km di distanza, di alcune lamelle in vetro di Murano del brise soleil del centro congressi che cade a pezzi da parte del “guardiano” dell’isola di Budelli (novello “Robinson Crusoe”) per farne sedie e altri orpelli; dalla dismissione dello storico ospedale di San Giacomo a Roma come occasione per riflettere su che cosa significhi davvero “valorizzazione immobiliare”, al rapporto tra spazi immaginari condivisi e spazi reali per la produzione di finzione all’interno di Cinecittà; dal non progetto della ricostruzione in Abruzzo dopo il sisma del 2009 alle governance di Assisi in risposta alla pressione turistica sui centri storici Patrimonio dell’umanità; dalla rivalutazione delle esperienze dell’architettura radicale (in particolare, le sperimentazioni su discoteche e club quali spazi ludici che ripensano le forme della socialità, l’interior e la comunicazione) alle tavole sinottiche degli esperimenti pedagogici intorno a “spazi contestati di trasformazione disciplinare”; dalla pianificazione e realizzazione di Zingonia quale città ideale dell’industria trasformatasi in incubo di periferia, a quella di Milano Marittima come industria del divertimento (“Panem et circenses”) ora in smobilitazione, a quella di Milano 2 come esplicitazione dell’urbanistica televisiva berlusconiana; dagli esempi di capolavori architettonici del secondo Novecento che giacciono in disarmante abbandono alle confiscate residenze dei boss della malavita organizzata sparse su tutta la Penisola; dall’uso di spazi pubblici per incontri di confessioni religiose legate alle comunità internazionali (a Fiorenzuola, il raduno annuale dei Sikh per il festival Vaisakhi) al rapporto tra memoria collettiva, rimozione e oblio nei luoghi oggetto di atti terroristici; per chiudere all’estremo Nord, sul ghiacciaio del Similaun che, soggetto alle variazioni climatiche, rende “mobile” il confine con l’Austria. Confini che erano stati così accanitamente presidiati in alta quota nella drammatica Guerra bianca, evocati dal filmato conclusivo “Su tutte le vette è pace”, opportuno omaggio nella ricorrenza del centenario della Grande guerra (la cui data di deflagrazione corrisponde anche con l’incipit dell'”Absorbing modernity” stabilito da Koolhaas.
Lungo il percorso, i termini più ricorrenti sono “immaginari collettivi”, “memoria”, “spazio pubblico”. La rassegna ci interroga sul nostro “cattivo presente”, lasciando talvolta troppo in sospeso gli enunciati, senza cioè un’adeguata rappresentazione della tesi, ma è di grande valenza politica nell’accezione più elevata del termine, inerente il governo. Se qualcuno potrà obiettare che l’architettura quasi non c’è, gli si potrà rispondere che vi troverà gli elementi che presuppongono lo sviluppo di un pensiero critico fondamentale perchè il progetto non sia solo un puro esercizio di stile. E così, saranno più contenti anche i non addetti ai lavori che avranno una scusa in meno per non andare a visitarla.
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biennale venezia 2014 , cino zucchi
Last modified: 22 Gennaio 2016