CUNEO. Il primo obiettivo è stato raggiunto: al termine delle iscrizioni, esauriti i 60 posti disponibili per partecipare ai tre workshop condotti da Stefano Pujatti (studio ElasticoSPA), Subhash Mukerjee (studio Marc) e Marco Rainò/Barbara Brondi (studio BRH+). Sono dunque fondate le premesse con cui l’Ordine architetti Cuneo, in collaborazione con lAssociazione Art.ur (impegnata per la diffusione dellarte contemporanea nello spazio pubblico), ha lanciato «Idee in cantiere». Ora, dal 28 al 31 maggio, si entra nel vivo e, accanto agli architetti e designer che prenderanno parte ai lavori, sono previsti tre momenti di pubblico confronto (vedi il programma completo). Due conferenze (sui temi del patrimonio edilizio e della trasformazione urbana, tenute da docenti del Politecnico di Torino e dagli stessi tutor del workshop) e un’esposizione pubblica degli esiti della tre giorni di lavori, con conferenza finale e proclamazione dei vincitori per ciascuno dei tre temi per l’ambito del centro storico cuneese preso in considerazione, con particolare attenzione allasse di via Roma e al sistema degli spazi pubblici connessi: interventi puntuali; ambiti e percorsi; il futuro di via Roma.
La valutazione delle proposte spetterà a un comitato scientifico composto da Claudio Bonicco (presidente dell’Ordine architetti), Michela Giuggia (presidentessa dell’Associazione culturale Art.ur), Gabriella Roseo (assessore comunale alle Attività produttive e marketing territoriale), Giuseppe Cappochin (presidente della Fondazione Barbara Cappochin) e Luca Gibello (caporedattore de «Il Giornale dell’Architettura», media partner dell’iniziativa).
Obiettivo del workshop è proporre ipotesi e scenari di trasformazione per uno spazio urbano d’impianto medievale per il quale è in corso unimportante opera di riqualificazione. Il tutto, non senza coinvolgere la città: in fase preliminare sono stati infatti interpellati lAmministrazione comunale, i Comitati dei commercianti, il Comitato di quartiere del centro storico, le guide turistiche GIA, il FAI delegazione di Cuneo.
Di seguito riportiamo un testo di Luca Gibello che accompagna il materiale di presentazione dell’iniziativa
Perché un workshop per ripensare una porzione del centro storico di Cuneo?
Occorre attribuire merito all’iniziativa promossa dall’Ordine degli architetti e dall’Associazione Art.ur al fine di concentrare, in un’unità di tempo e luogo, menti giovani di svariata provenienza che cercano di prefigurare e interpretare la facies e soprattutto i modi di fruizione (e i fruitori, tendenzialmente loro coetanei) della città di domani. Un’azione portata avanti non calando dall’alto, dalla turris eburnea dell’architetto demiurgo, il progetto come atto di fede in una disciplina da iniziati, ma raccogliendo e confrontando attese, speranze, timori, necessità di tutto quell’insieme di categorie sociali che compongono lo straordinario puzzle urbano. Forse proprio nel saper cogliere e compendiare le istanze legate agli immaginari collettivi sta la più autentica natura della partecipazione: concetto tanto propagandato quanto, spesso, strumentalizzato a deriva populistica in ossequio alla retorica del “siamo tutti progettisti”.
Ma c’è realmente bisogno di tutta questa “offerta di progetto” per una porzione dell’elegante, nobile e sussiegoso centro storico di Cuneo? Sì, perché qualunque città che non progetta se stessa, ovvero che non sa proiettare se stessa nel futuro, interrogandosi sul suo destino, è una città morta (o, per ben che vada, diventerà imbalsamata, museo di se stessa, ennesima tappa di un processo di “Disneyzzazione” che trasfigura la realtà nella bolla-recinto di un parco a tema). Nell’opinione pubblica sussistono forti resistenze circa le possibilità di coesistenza tra antico e nuovo (ad alimentare questa diffidenza, certo, ci ha messo del suo la modernità, con le avanguardie artistiche del Novecento a predicare la rottura della continuità storica come unica possibilità di affermazione dei nuovi valori). Tuttavia, seppure a fatica, quel filo rosso tra passato (considerato sempre eccellente anche quando non lo è) e presente (considerato sempre deteriore anche quando non lo è) si sta lentamente ma progressivamente riannodando. Perché da sempre le nostre città, al fine di rispondere ad esigenze evolutive legate all’ineludibile tensione verso una qualche forma di progresso, hanno mutato il loro aspetto trasformandosi, aggiungendo per sovrapposizione o giustapposizione segni ai segni, mutando destinazioni d’uso a edifici e spazi concepiti per altre funzioni, talvolta non solo in seguito ad eventi catastrofici demolendo e ricostruendo. Si tratta di azioni che, se compiute con consapevolezza, ovvero consci delle implicazioni socioculturali che le sottendono, possono essere legittime anche oggi, in una società malata di avanguardismo tecnologico (digitale, mediatico, meccanico, sportivo, medicale) ma che in edilizia metabolizza a fatica lo Zeitgeist, ovvero l’essere del proprio tempo.
Su questi tavoli si gioca la partita chiave della rigenerazione urbana, che sbaglia chi pensa si tratti di un imperativo da applicare solo alle periferie senza qualità o alle aree dismesse. Perché tradizione e innovazione non sono concetti antitetici: Gustav Mahler asseriva che Tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco“.