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Paolo VitaliWritten by: Professione e Formazione

Ines Lobo: vi racconto il mio impegno per progettare scuole

Ines Lobo: vi racconto il mio impegno per progettare scuole

BERGAMO. “La crisi dell’economia talvolta crea maggiori sfide e architettura migliore”. Sembra questa la sintesi perfetta per descrivere i contenuti che l’architetta portoghese Ines Lobo (Lisbona, 1966) ha tenuto all’i.lab di Italcementi nell’ambito di una serie di eventi organizzati dalla rivista “Interni” in occasione del “fuorisalone” due settimane fa. Un’opportunità per uscire da un cerimoniale stanco, dalla retorica autocelebrativa e dalla ricerca spasmodica della novità a tutti i costi. Intento annunciato (e dichiarato) fin dal titolo – “um não specialista” (un non specialista) – utilizzato per descrivere il suo modo di affrontare il mestiere.
Un approccio all’architettura sperimentale e laboratoriale, rigoroso ma libero da obblighi di immagine: costruire per dare soluzioni, risolvere i problemi. Un forte senso etico, il rifiuto dell’etichetta di artista. Una grande attenzione a questioni come il riutilizzo del patrimonio esistente, il “non spreco” e l’uso oculato ed equilibrato delle risorse.
“L’architettura – racconta Lobo – è prima di tutto un contenitore per le persone, luogo che ospita la vita. Quando si parla di scuola, di spazi per l’insegnamento, questo concetto è ancora più forte. Se penso a una scuola la immagino sempre piena di bambini e mai come uno spazio vuoto. Un’immagine che contrasta con quella proposta negli ultimi anni: un’architettura diventata solo fotografia, senza vita, iperdisegnata. Svuotata. Un’idea – spero sorpassata – con la quale non mi identifico per niente”.
Non è un caso che Lobo citi la scuola, tema che ha affrontato (con risultati di grande qualità) già diverse volte, come vincitrice di concorsi pubblici con budget limitato e definito. Sia in Portogallo, all’interno del programma governativo di modernizzazione dell’edilizia scolastica pubblica “Parque Escolar”, sia a Capo Verde, con un progetto che sviluppa magistralmente il concetto di parco scolastico come spazio comunitario e che per semplicità e intensità ricorda alcuni lavori del grande maestro olandese Aldo van Eyck (1918-1999). “Lo spazio educativo – prosegue Lobo – deve tornare ad aprirsi alla comunità, come sostiene Antonio Sampaio da Nóvoa, professore di psicologia e scienza dell’educazione e autore di un fondamentale saggio intitolato “O espaço público da educação” (Lo spazio pubblico dell’educazione). La scuola, per svolgere realmente un ruolo educativo, deve essere uno spazio pubblico. Per me questo testo rappresenta un punto di riferimento assoluto quando affronto progetti di scuole. Nella nostra società (più che in altre realtà) la scuola ha smesso di essere spazio pubblico. È diventata sempre più uno spazio chiuso e lontano dalla vita. Un campus, spazio autonomo con regole proprie.
Se non si recupera l’idea di una scuola come spazio pubblico, percorso educativo dalla propria casa al mondo, l’insegnamento non serve a niente. La scuola stessa non serve più a niente. E non costruirà persone preparate per il futuro”.
Sarebbe ormai ora che il tema della scuola, così attuale e così pieno di implicazioni sociali, tornasse al centro della riflessione disciplinare, chiamando l’architettura ad affrontare le importanti questioni della contemporaneità con risposte adeguate. Quale spazio? Per quale progetto educativo? Saremo in grado di fare tesoro dell’esperienza che Lobo ci ha regalato e usare per le nostre scuole la stessa attenzione e la stessa cura?

Autore

  • Paolo Vitali

    Dopo alcune esperienze in Francia e Spagna, si laurea in architettura al Politecnico di Milano, dove poi consegue il dottorato di ricerca in Progettazione architettonica e urbana. All’attività di ricerca sulle forme dello spazio della città contemporanea e all’attività didattica (dal 2012 è professore a contratto presso la Scuola di Architettura del Politecnico di Milano) affianca il lavoro di progettista freelance e pubblicista, con interessi che spaziano dalla progettazione alla teoria, dalla ricerca storica sul “secondo modernismo” (anni cinquanta/settanta) all’architettura industriale. Dal 2010 al 2012 ha diretto la rivista «ARK», supplemento trimestrale di architettura dell’«Eco di Bergamo». Tra il 2013 e il 2014 collabora alla pagina culturale del «Corriere della Sera» (edizione Bergamo) e dal 2014 con «Il Giornale dell’Architettura» e con la Fondazione Dalmine

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Last modified: 7 Luglio 2015