BERGAMO. La crisi delleconomia talvolta crea maggiori sfide e architettura migliore. Sembra questa la sintesi perfetta per descrivere i contenuti che larchitetta portoghese Ines Lobo (Lisbona, 1966) ha tenuto alli.lab di Italcementi nellambito di una serie di eventi organizzati dalla rivista Interni in occasione del fuorisalone due settimane fa. Unopportunità per uscire da un cerimoniale stanco, dalla retorica autocelebrativa e dalla ricerca spasmodica della novità a tutti i costi. Intento annunciato (e dichiarato) fin dal titolo um não specialista (un non specialista) utilizzato per descrivere il suo modo di affrontare il mestiere.
Un approccio allarchitettura sperimentale e laboratoriale, rigoroso ma libero da obblighi di immagine: costruire per dare soluzioni, risolvere i problemi. Un forte senso etico, il rifiuto delletichetta di artista. Una grande attenzione a questioni come il riutilizzo del patrimonio esistente, il non spreco e luso oculato ed equilibrato delle risorse.
Larchitettura racconta Lobo è prima di tutto un contenitore per le persone, luogo che ospita la vita. Quando si parla di scuola, di spazi per linsegnamento, questo concetto è ancora più forte. Se penso a una scuola la immagino sempre piena di bambini e mai come uno spazio vuoto. Unimmagine che contrasta con quella proposta negli ultimi anni: unarchitettura diventata solo fotografia, senza vita, iperdisegnata. Svuotata. Unidea spero sorpassata con la quale non mi identifico per niente.
Non è un caso che Lobo citi la scuola, tema che ha affrontato (con risultati di grande qualità) già diverse volte, come vincitrice di concorsi pubblici con budget limitato e definito. Sia in Portogallo, allinterno del programma governativo di modernizzazione delledilizia scolastica pubblica Parque Escolar, sia a Capo Verde, con un progetto che sviluppa magistralmente il concetto di parco scolastico come spazio comunitario e che per semplicità e intensità ricorda alcuni lavori del grande maestro olandese Aldo van Eyck (1918-1999). Lo spazio educativo prosegue Lobo deve tornare ad aprirsi alla comunità, come sostiene Antonio Sampaio da Nóvoa, professore di psicologia e scienza delleducazione e autore di un fondamentale saggio intitolato O espaço público da educação (Lo spazio pubblico delleducazione). La scuola, per svolgere realmente un ruolo educativo, deve essere uno spazio pubblico. Per me questo testo rappresenta un punto di riferimento assoluto quando affronto progetti di scuole. Nella nostra società (più che in altre realtà) la scuola ha smesso di essere spazio pubblico. È diventata sempre più uno spazio chiuso e lontano dalla vita. Un campus, spazio autonomo con regole proprie.
Se non si recupera lidea di una scuola come spazio pubblico, percorso educativo dalla propria casa al mondo, linsegnamento non serve a niente. La scuola stessa non serve più a niente. E non costruirà persone preparate per il futuro.
Sarebbe ormai ora che il tema della scuola, così attuale e così pieno di implicazioni sociali, tornasse al centro della riflessione disciplinare, chiamando larchitettura ad affrontare le importanti questioni della contemporaneità con risposte adeguate. Quale spazio? Per quale progetto educativo? Saremo in grado di fare tesoro dellesperienza che Lobo ci ha regalato e usare per le nostre scuole la stessa attenzione e la stessa cura?
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