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Written by: Città e Territorio

Via dei Fori Imperiali 1/ Al suo posto, un viadotto alla stessa quota con appoggi discreti

Via dei Fori Imperiali 1/ Al suo posto, un viadotto alla stessa quota con appoggi discreti

Finalmente l’intervento di Carlo Gasparrini sul sito web di questo Giornale (www.ilgiornaledellarchitettura.com) si propone come avvio di un dibattito serio sulla questione della Via dei Fori imperiali, in una sede autorevole e non sospetta di quei particolarismi che hanno caratterizzato il pur grande dibattito della seconda metà degli anni Ottanta. Io feci un tentativo piuttosto importante nel 2000, portando al Palazzo delle Esposizioni la mostra dei risultati di un seminario di progettazione internazionale condotto dalla Sapienza con l’ACER (allora governata dall’attuale presidente dell’ANCE Paolo Buzzetti, persona assai sensibile alle problematiche dello sviluppo di Roma) nell’ambito di un’iniziativa al titolo Roma III Millennio. Le identità possibili. Una sezione del seminario, che curavo direttamente, mise a punto un progetto dell’area da piazza Venezia al Colosseo, nella quale si confermava la traccia dello stradone ma lo si trasformava in un viadotto, ovviamente nel tratto tra la piazza e il largo Corrado Ricci. Le proposte del Millennium, alle soglie del 2000, indicarono semplici arrangiamenti. Non successe nulla fino alla proposta La Regina/Fuksas del 2004, la quale per altro restò anch’essa lettera morta. Infine, venne il nuovo Piano di Roma e l’idea di liberare la strada dal vincolo di cui parla Gasparrini. Così le dichiarazioni del nuovo sindaco Ignazio Marino cadono come una pietra in uno stagno fermo da poco meno di trenta anni, ossia dalla metà del 1985, epoca nella quale si registrò la sconfitta dell’amministrazione di sinistra Petroselli/Vetere (come di altre importanti città italiane). Quella sconfitta trascinò con sé la liquidazione del Concorso internazionale sulle aree di bordo dei Fori imperiali, che avevamo preparato con Carlo Aymonino, assessore al Centro storico, in una speciale commissione nella quale curavo la segreteria scientifica.
Nei materiali preparatori del concorso, confluiti in un Piano quadro, eravamo stati abbastanza cauti sul destino dello stradone, contrariamente a quanto veniva elaborato proprio in quei mesi da Leonardo Benevolo, al quale si era rivolto Adriano La Regina, il grande soprintendente che aveva sollevato per primo e con forza il problema della sopravvivenza del patrimonio marmoreo di Roma Antica (ripreso contro ogni aspettativa dalla Legge Biasini). Il soprintendente si era convinto probabilmente che il concorso era nient’altro che un rinvio della questione, e che il progetto dovesse coinvolgere l’intera area archeologica in un Parco archeologico avanposto del Parco dell’Appia Antica (istituito poi dalla Regione nel 1988), di cui si stavano ponendo le basi proprio in quel periodo tramite l’azione di un altro grande protagonista, Antonio Cederna. Benevolo, con i suoi precedenti antimoderni (per tutti: Roma 1970–1970) non ci mise molto a far fuori con un colpo di spugna non solo la via dei Fori imperiali, ma tutto il fascio di strade realizzate sia durante il Fascismo sia dalla Roma Umbertina, restituendoci un bellissimo disegno di una Roma del tutto virtuale.
Alla strategia che sottendeva quel disegno eravamo ostili – parlo del sottoscritto e soprattutto di Aymonino, ma anche di un gran numero di uomini di cultura a Roma – perché abbiamo sempre pensato che il Moderno aveva fatto di Roma una capitale e che alcuni tratti dell’urbanistica di Roma praticata durante il Fascismo erano in continuità con l’urbanistica della Roma umbertina. La demolizione di mezzo quartiere dei Pantani per riesumare le parti settentrionali dei Fori imperiali la immaginava Corrado Ricci assai prima della Grande guerra; il collegamento di via Cavour con piazza Venezia era una necessità quasi ovvia avendo scelto di realizzare la capitale dello Stato unitario sulla città storica, adottando come centralità primaria proprio piazza Venezia che diveniva in questo modo il Foro Italico Umbertino; il Piano del 1931 parlava di via dei Monti (l’attuale tracciato di via dei Fori imperiali, ma con qualche cautela in più) e di via del Mare, lanciando due direttrici di sviluppo (poi ridotte alla seconda) che tuttavia rafforzavano il polo di piazza Venezia Foro italico. Poi si fece il rettifilo, obbedendo a una direttiva che veniva da Mussolini in persona, demolendo la Velia. Quella demolizione fu certamente l’intervento più intollerabile, perché modificava la morfologia del piano di sostegno fisico del centro di Roma antica, che vedeva separati – contrariamente a quel che si crede oggi – anche visivamente la valle dell’Anfiteatro dalla valle dei Fori imperiali.
La denuncia di La Regina del 1979 provocò un’indignazione generale a livello internazionale e trovò terreno fertile nell’amministrazione comunale retta prima da Giulio Carlo Argan, poi da Luigi Petroselli, il quale istituì una commissione per studiare il problema e per decidere se e come allontanare il traffico dall’area archeologica centrale, segnatamente dai Fori. Petroselli prima e Aymonino poi fecero poche essenziali azioni paradigmatiche, demolendo la via del Foro romano (o via della Consolazione) che tagliava in due l’area del Foro, e scacciando le automobili da piazza Venezia e dal Campidoglio. Iniziò un dibattito feroce nel quale furono coinvolti i partiti politici e le associazioni culturali, nonché tutto il quadro intellettuale della capitale, da Italo Insolera a Luigi Piccinato, da Maria Colini a Urbani, a Vieri Quilici, a Bruno Zevi (”…È proprio tanto urgente?“), a Emanuele Paratore (“… una via che tutto il mondo ci invidia“), fino a fare della via dei Fori imperiali un casus belli insolubile. Siamo tra il 1980 e il 1982.
Le posizioni si confusero e si sovrapposero sconvolgendo il quadro politico e culturale. La demolizione era una sorta di risarcimento (in un’ottica della sinistra radicale), contro la violenza dell’intervento fascista, ma era anche un modo di dare un’autonomia all’ambito archeologico (in nuce era la proposta di Parco archeologico). Per contro, la conservazione era rivendicata da posizioni storiciste, i così detti romanisti (lo stradone fa parte ormai della storia), ma anche dal “partito delle automobili” infiltrato dalla destra più scalmanata. La Commissione ammise assai la demolizione, una volta risolti i problemi del traffico – il che è quanto dire – ma fissò un punto inderogabile: l’area dei Fori imperiali è un’area urbana che non può essere sottratta alla città. D’altra parte La Regina si era spinto forse più oltre parlando del recupero delle piazze imperiali come giardino di pietra restituito al suo uso originale luogo di convegno e di permanenza. L’Assessorato al Centro storico fece qualche prova di demolizione nel 1982, da rinviare al 2000; poi si convinse a lanciare il concorso internazionale per collocare il problema a una dimensione adeguata al valore dell’area e per uscire dal pantano della polemica di parte. Il concorso – si badi bene – era sulle aree di bordo del nocciolo archeologico vero e proprio ed era giocato sulla differente trasformabilità delle aree. Nel 1985 la debacle della sinistra quindi l’oblio.
A distanza di poco meno di trent’anni cade la dichiarazione del nuovo sindaco Ignazio Marino circa la volontà di pedonalizzare la via dei Fori imperiali, avviata questa estate però come limitazione del traffico ai soli mezzi pubblici e nel solo ambito della Velia. Questo tratto della via dei Fori è per altro interessato dal cantiere della nuova stazione della metropolitana che obbligherà fra breve a una soluzione più radicale, trovandosi la stazione esattamente sotto la carreggiata della strada.
È del tutto evidente che pedonalizzare non significa demolire l’arteria, ma si è dato un segnale alla città di una intenzione più generale riguardante il destino dell’area. Donde la riapertura del dibattito. E il riaffiorare della querelle se demolire o meno, ancora intrisa di ideologie, evidentemente non del tutto sopite, e poco informate sulla esistenza dopo un lustro di un Piano finalmente adeguato alle esigenze di Roma, giustamente richiamato da Gasparrini. Purtroppo, non si può dire che il nuovo Piano sia stato avviato all’attuazione per la parte più significativa e innovativa riguardante proprio contenuti e forma delle aree strategiche (stiamo parlando della Giunta Alemanno, non di quella Marino che si è insediata da poco). Tra queste quella dei Fori.
Entrando nel merito, non vorrei tornare su questioni largamente superate, come la demolizione della strada quale risarcimento della violenza fascista, o perché deprecabile opera moderna che al pari dei muraglioni e del Vittoriano ha minato l’identità di Roma. L’idea del Parco archeologico, per quanto respinta dal Piano, tuttavia continua ad avere sostenitori i quali non riescono a vedere che l’area tra piazza Venezia e il Colosseo è un’area archeologica profondamente ibridata dalla città moderna. E perciò diversa dal Palatino e dallo stesso Forum Magnum. Non si comprende che la via dei Fori non è nient’altro che un margine interno della città contemporanea su quella antica, necessaria per servirla, visitarla ma anche solo per attraversarla. Che il largo Corrado Ricci è la cerniera urbana storica che unisce l’Esquilino a piazza Venezia e che il taglio della Velia è un elemento irreversibile che indica una direzione e un passaggio.
Attenzione, però: via dei Fori imperiali è un margine interno come traccia, come percorso, non come struttura. Oggi la via – con lo scavo dei vecchi giardinetti littori – è praticamente una diga di 5 metri di detriti più o meno moderni (le cantine del quartiere dei Pantani) e resti antichi importanti (ciò che rimane delle porticus dei Fori di Cesare, Augusto e Traiano) che impedisce la comunicazione tra i Fori e ne rende totalmente incomprensibile la forma. Grave ovunque è la presenza della diga, ma è drammatica in corrispondenza del Foro Transitorio, il Foro, per così dire, trasverso che collegava la Subura al Forum Magnum, perché lo taglia letteralmente a metà, impedendo anche ai più informati di capire che era il collegamento (prima con l’Argiletum) tra i quartieri residenziali dell’Esquilino e il Foro. Ora se il compito di un progetto di sistemazione delle aree archeologiche è oltre che proteggere anche comunicare il senso di questo luogo eccezionale, perché evitare di comunicare l’unità urbanistica dell’impianto dei Fori imperiali ?
Il manufatto/diga va dunque sostituito con un viadotto alla stessa quota e con appoggi discreti. Stiamo pensando a una struttura in acciai speciali e alluminio, molto leggera, che “galleggi” sul parterre archeologico, secondo il principio dei ponti Bailey.
Ricostruire l’unità delle piazze imperiali comporterà sicuramente un diverso modo di avvicinare la questione delle superfici di sacrificio, quindi, della diversa considerazione dei resti della stratificazione depositata sul parterre dei Fori imperiali. Oggi si può aver ragione di conservarli perché della struttura urbanistica originaria dell’area dei Fori imperiali non si comprende assolutamente nulla. Il progetto archeologico ha svolto assai bene il suo compito, ora è venuto il momento di pensare alla sua sistemazione con gli strumenti del progetto urbano, che usa le tecniche dell’architettura, certamente interagenti con quelle archeologiche. Chi lo potrebbe negare?
Problemi più complessi di quelli dei Fori – se mai – li pone la sistemazione di largo Corrado Ricci che copre il Tempio della Pace, ma anche qui bisogna trovare un equilibrio tra Antico e Moderno che assicuri la sopravvivenza della piazza, la cerniera urbana più importante della Roma moderna sull’area, garantendo un’esplorazione completa del Templum Pacis e possibilmente un suo riuso funzionale completo.
Quanto al vincolo, esso deve essere revocato non per far scomparire la strada ma per poterla materialmente sostituire con un viadotto. Per essere tranquilli, assocerei l’eliminazione del vincolo a un progetto, da finanziare con fondi europei e della comunità internazionale se per poco si prende coscienza che quell’area duemila anni fa era giust’appunto il centro del mondo conosciuto (quello occidentale s’intende).
Raffaele Panella

L’autore ha appena pubblicato Roma la città dei Fori. Il progetto di sistemazione dell’area tra Piazza Venezia e il Colosseo (Prospettive Edizioni, Roma)

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Last modified: 18 Luglio 2015