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Christine DesmoulinsWritten by: Progetti

Un Louvre surgelato ed etereo. Adatto al Nord della Francia

Un Louvre surgelato ed etereo. Adatto al Nord della Francia

Lens (Francia). Nel quadro della politica di decentralizzazione culturale, nel 2003 Jean-Jacques Aillagon, allora ministro della Cultura, suggerisce una delocalizzazione del museo del Louvre. La scelta di accogliere questa nuova antenna nella piccola cittadina di Lens, nella morsa della deindustrializzazione e difesa a forza dal presidente della regione Nord Pas de Calais, sarà molto simbolica. Dopo il concorso internazionale vinto nel 2005 e tre anni di cantiere, il museo-parco firmato dai giapponesi di Sanaa (Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa) con Imrey Culbert, la paesaggista Catherine Mosbach e la museografia di Adrien Gardère è stato inaugurato il 4 dicembre. A un’ora di Tgv da Parigi, vicino al Belgio e all’Inghilterra, questo vascello ammiraglio di una regione con 49 musei punta ai 500.000 visitatori annuali; così, l’elegante modello della sua monumentalità costata 160 milioni affida alla cultura le speranze tradite dall’industria.
Nel cuore del bacino minerario, su un’area di 20 ettari sullo sfondo degli stabilimenti, di due enormi cumuli di terra e dello stadio di calcio in un universo alla Ken Loach, cinque edifici bassi connessi tra loro su 360 m di lunghezza e 28.000 mq, si snodano seguendo i contorni del terreno in un composto di alluminio anodizzato lucido, vetro e cemento (le facciate sono state progettate e fornite da Permasteelisa). A seconda del tempo e del clima, il quadro cambia: asettico come una fabbrica «chic» al mattino grigio, il museo si smaterializza al tramonto, quando la sua pelle specchiante si sbiadisce nel cielo e nelle ombre degli alberi.
Vasto rettangolo vetrato aperto sull’esterno, la hall serve a est e a ovest le due gallerie espositive. Accessibile come una piazza pubblica da diversi ingressi lungo tutto il perimetro e memore di un principio già sfruttato da Sanaa al museo del xxi secolo di Kanazawa, è puntuata dai blocchi cilindrici dell’accoglienza, della boutique e della sala vip. A est della hall, la galleria del tempo si sviluppa su 120 m (3.000 mq), offrendo alle 200 opere della collezione permanente l’illuminazione zenitale di un lucernario. Evidenziata da un ingresso ribassato, la galleria mette in scena i capolavori momentaneamente prestati dal Louvre di Parigi come «La Libertà che guida il popolo» di Eugène Delacroix. Qui si è scelto di scardinare i dipartimenti tradizionali del Louvre, puntando su una presentazione museologica trasversale che affianca opere della stessa epoca ma di tecniche e civiltà diverse. Tuttavia, l’allestimento frontale che concentra le opere in mezzo alla sala, lasciando libere le pareti, scoraggia il visitatore a tornare sui suoi passi all’uscita della sala. Nello specchio delle lunghe e opache pareti rivestite di acciaio inossidabile spazzolato, le silhouettes astratte dei visitatori si mescolano con quelle delle sculture, dei basamenti e delle teche. Il percorso sfocia nel padiglione di vetro (1.000 mq), dove due bolle chiuse, vegliate dai giganti del folklore locale, accolgono una mostra tematica. A ovest della hall, nella galleria temporanea, regna invece tutt’altra atmosfera con la mostra «Renaissance»: mura colorate ed effetti di enfilade fanno goffamente eco al fratello maggiore parigino. Nel sotterraneo, i depositi sono amplificati e messi in scena in un «micro-museo» dietro le quinte, senza confronti con la creatività indipendente dei depositi del Mak di Vienna, sottilmente integrati nella museografia.
A differenza del futuro Louvre di Abu Dhabi, che nel progetto di Jean Nouvel fa più di una concessione all’immagine di una terra lontana, il Louvre Lens decentralizzato è frutto più di questioni economiche culturali e sociali. Come il Centre Pompidou di Metz, con ogni probabilità, risponderà agli obiettivi di valorizzazione del territorio che gli sono assegnati, ma che dire di questa integrazione?
Applicabili a tutti i cieli del mondo, le teorie di Sanaa sulla luce degli spazi sembrano interscambiabili. E se la bella evanescenza di questa architettura sobria e immateriale va lodata, le manca la straordinaria evidenza del Centre Pompidou di Parigi. E nonostante Daniel Percheron, presidente della Regione, abbia sognato come molti suoi pari di uguagliare il Guggenheim di Bilbao, non ha neanche la fluidità del mostro tortile basco, segnale scultoreo incorporato nella sostanza del sito che scende a cascata dai Pirenei scorto dalle strette viuzze. Niente di tutto questo a Lens. Scelto per mancanza di entusiasmo condiviso da parte della giuria del concorso, Sanaa forse soddisfa ormai una cultura prestabilita della bellezza?
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Autore

  • Christine Desmoulins

    Giornalista e critica di architectura francese, collabora con diverse riviste ed è autrice di numerose opere tematiche o monografiche presso diverse case editrici. E’ anche curatrice di mostre: in particolare «Scénographies d’architectes» (Pavillon de l’Arsenal, Parigi 2006), «Bernard Zehrfuss, la poétique de la structure» (Cité de l’Architecture, Parigi 2014), «Bernard Zehrfuss, la spirale du temps» (Musée gallo romano di Lione, 2014-2015) e «Versailles, Patrimoine et Création» (Biennale dell'architettura e del paesaggio, 2019). Tra le sue pubblicazioni recenti: «Un cap moderne: Eileen Gray, Le Corbusier, architectes en bord de mer» (con François Delebecque, Les Grandes Personnes et Editions du Patrimoine, 2022)

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Last modified: 18 Luglio 2015