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Cristina FiordimelaWritten by: Design

Dimmi cosa mangi e ti dirò che progetto c’è dietro

Dimmi cosa mangi e ti dirò che progetto c’è dietro

Rovereto (Trento). Solitaria, appoggiata su un piedistallo e illuminata come un oggetto da museo, l’arancia, il frutto che Bruno Munari sceglie per la copertina del suo libro Good Design ritraendola come la luna sul fondo nero dell’universo, segna il varco di un percorso colorato, ironico e sorprendente, organizzato, come insegna il maestro del design italiano, con rigore metodologico in dieci tappe, più una. «Il cibo anonimo», «industria e brevetti», «forma come funzione», «forma come decorazione», «humour e metafora», «alludere al cibo», «cibo come materia», «futuro tra ricerca e sostenibilità», «etica», «le ricette dei designer», sono i capitoli del racconto composto da Beppe Finessi per esplorare il lato nascosto del pianeta cibo, rileggendolo come progetto. Progetti anonimi, arrivati sulle nostre tavole dalle tradizioni orali e dalle abili mani del sapere artigiano tradotti nella codificazione matematica del disegno di forme e dimensioni prodotte in serie. Cibi disegnati come oggetti e oggetti costruiti con il cibo. Navi che affondano in una tazzina di caffé, orsi e pinguini che si perdono in un bicchiere d’acqua. Acqua gold, bene comune prezioso più dell’oro, dichiara a caratteri cubitali lo stampo per il ghiaccio «Lingotto» di Giulio Iacchetti! Incagliate come grandi iceberg nelle sale del Mart, le tavole allestite da Gianni Filindeu e impaginate da Artemio Croatto dirigono lo sguardo alla ricerca di connessioni transdiciplinari, di affondi sul dettaglio, di prospettive inedite, costringendo il corpo e la mente a penetrare nella narrazione senza fermarsi alla superficie delle cose mostrate. Dietro ogni progetto c’è una storia, un processo ideativo articolato che talvolta può apparire semplice perché d’immediata intuizione, ma spesso il fascino dell’esito formale cela un’operazione complessa, culturale e produttiva. Allora i setti colorati traslucidi inquadrano una famiglia di oggetti e, traportandoci visivamente da una stanza all’altra, ne rivelano i passaggi di scala, illustrati
da Marco Manini. Le sue sezioni di lasagne, spiedino, panettone, sushi, hamburgher, oliva all’ascolana, strudel, riportano piatti tipici alla dimensione del progetto di microarchitetture da mangiare. Tutto sembra cominciare dal cubo, il dado per il brodo, suggerisce Giampiero Bosoni, a proposito di cibo industriale. È una forma standard, sinonimo di praticità, sintesi di un contenuto scientificamente controllato. Nel gusto l’apparenza è anche sostanza, le forme e i colori anticipano «il flavour e la texture (ovvero la consistenza)». Lo sa bene Martí Guixé, il fuoriclasse del design del cibo, che per questa mostra ha ideato dei progetti ad hoc dando vita a una piccola monografica che s’innesta nella sequenza tematica come «una tavola delle meraviglie, tra arte combinatoria e gusto dei particolari». Al primo posto, tuttavia, c’è il pane, con il suo carico simbolico. Parlare di pane come progetto diventa per Marco Belpoliti l’occasione per indagare le relazioni tra forma e significato, tra il pane e l’anima del popolo che lo fabbrica. Il cibo infatti è cultura materiale e come tale definisce il nostro modo di pensare. Lo sostiene nel suo saggio Aldo Colonnetti, precisando che «il cibo rappresenta “un oggetto generale” e la mostra curata da Finessi, costituisce una sorta di ricostruzione simbolica dell’ultimo secolo, attraverso un’attività posta tra natura e cultura, tra alimentazione e relazioni sociali, tra identità sociale e sguardo verso il nuovo». E poiché alle mostre si deve andare attrezzati, il catalogo non è un catalogo ma un libro, uno strumento di studio, una guida indispensabile alla comprensione delle ricerche da cui deriva l’ordinamento dei contenuti e degli oggetti raccolti, commentati puntualmente da Cristina Miglio e approfonditi nella bibliografia ragionata di Matteo Pirola.

Progetto cibo. La forma del gusto (a cura di Beppe Finessi), Mart, Rovereto, fino al 2 giugno.

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Autore

  • Cristina Fiordimela

    Architetta museografa, docente al Politecnico di Milano. Insegna architettura degli interni, exhibition design e si relaziona con le arti contemporanee (commons), di cui scrive su riviste specializzate italiane e internazionali. La museografia è il filo rosso che attraversa sia l’impegno teorico, sia la progettazione e la messa in opera di allestimenti che riguardano le intersezioni sensibili all’arte, alla scienza e alla filosofia, in sinergia con enti universitari, musei e istituti di ricerca. L’indagine su media art come dispositivi di produzione artistica in commoning è l’ambito di studio e di sperimentazione delle attività più recenti, da cui prende corpo con Freddy Paul Grunert, Lepetitemasculin, dialogo nello spazio perso, iniziato al Lake County, San Francisco

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Last modified: 18 Luglio 2015