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Caterina PagliaraWritten by: Forum

L’intelligenza del low-profile

C’è un’implicita convenzione per cui gli architetti, debitamente istruiti e sensibilizzati, dovrebbero essere in grado di intervenire dovunque… fiducia collettiva sulla possibilità di aggiungere sempre qualcosa a un contesto attraverso il progetto? La strategia comune alle opere segnalate è riscrivere il contesto, senza introdurre qualcosa di estraneo con formule eccezionali ma attraverso un lessico quotidiano, elementi ordinari, desunti dal contesto stesso, estetizzati. Questo atteggiamento verso le preesistenze ambientali e l’avversione per un’architettura del prodigio rende attuale un complesso dibattito avviato negli anni sessanta alla Cornell University da Colin Rowe, che introdusse nel vocabolario architettonico il termine «contestualismo». Nutrendosi dei caratteri dell’edilizia «senza architetti» se ne rielaborano in questi progetti tecniche costruttive e logiche di accostamento: il basic diventa minimale e intenso, il ruvido soft e confortevole, il materiale povero esaltato risulta chic, elegante e sensuale.
La logica patchwork delle baracche di Bangkok acquista valenza estetica quando è inserita in uno schema modulare: i pallet dei magazzini o dei mercati ortofrutticoli sono riutilizzati come ripiani, le ringhiere recuperate sul posto sono parapetti di protezione e decorazione; integrate all’illuminazione artificiale vivacizzano una macchina ludica pensata per sezioni; il bambino interagisce agilmente e con varietà di approcci.
Un edificio umile, nato come magazzino per gli attrezzi dei pescatori, viene ricostruito in legno di pino norvegese ancorandosi fisicamente alla roccia. La scabra rugosità delle assi in un nuovo quadro semantico lo connota come luogo informale e accogliente per il relax, un turismo di nicchia per appassionati conoscitori dei luoghi. Per segnare efficacemente i tagli nel volume sono sufficienti semplici pannelli di policarbonato; tele retro-illuminate e corde da barca abilmente composte producono un’atmosfera morbida, uno spazio flessibile che nulla ha da invidiare a costosissime soluzioni di interior.
Tradizione e nuovi media rappresentano il Vietnam nel padiglione prismatico che con le doppie giaciture del bambù si diversifica in superfici porose e tessiture lineari; un rarefatto minimalismo raggiunto col più diffuso materiale da costruzione locale. La palafitta e Mondrian: un accostamento insolito per inserire nel fronte acqua una tipologia reinterpretata. Le finestre si aprono come quadri sul mare entro una composizione De Stijl i cui colori primari, iconici del Movimento moderno, si accostano con ironia alle scandole in legno da architettura neo-tradizionalista.
In un contesto economico come la Cina contemporanea, orientato alla crescita quantitativa e connotato da edifici ipermoderni, citiamo la scelta elitaria e formalista di preservare un frammento di edilizia storica, di proteggere col progetto due alberi, attraverso il foro ovale in una plastica superficie nervata; anticonformismo espressione di una sensibilità urbana, radicata nei luoghi, dai gesti minimi e fortemente espressivi. Nicchie per i libri ricavate nei muri, sorrisi dei bambini, pareti di lavagna per i tratti di gessetti colorati, fibre lavorate a telaio dalle mille tonalità: una pelle solare e vivace offre riparo e riposo a piccoli allievi della cultura rurale. Con una brillante soluzione a doppio involucro, una maison domino tutta indiana (dal grande valore sociale e il minimo costo) sfrutta le potenzialità di un modulo funzionale flessibile, attraverso la delimitazione solo psicologica dello spazio, mai fisica e claustrofobica, rispettosa della percezione locale nella definizione del rapporto interno-esterno.
Ci sono domande così scarne ed essenziali da ammettere solo risposte semplici e brevi. Ma proprio questa è la loro significatività. Possono confondersi con il silenzio, rivelano invece intelligenza nella scelta di un basso profilo. Critico è l’atto di definire un ambito, comprendere un limite, rispettarlo senza ostinarsi a superarlo sempre, con gesti grossolani e sgraziati, fuori luogo.

Autore

  • Caterina Pagliara

    Architetta e giornalista pubblicista, vive e lavora in Regno Unito dove svolge attività professionale e di consulenza nel campo dell’edilizia residenziale e dello sviluppo immobiliare. Dopo la laurea, consegue un dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica presso il Politecnico di Torino. Interessata agli elementi strategici e managariali della pratica di architettura, consegue un Master of Business Administration. Ha collaborato con istituti universitari per attività di docenza, tutoraggio di workshop internazionali di progettazione architettonica e come referente di ricerca storica su progetti urbani strategici, in Italia e all’estero. Coltiva la passione per la scrittura, i viaggi, la tutela ambientale e il giornalismo d'inchiesta. Collabora con «Il Giornale dell’Architettura» e «Abitare»

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Last modified: 8 Luglio 2015