Nata a Napoli e cresciuta a Caserta, dal 1985 al «Mattino» dopo le prime collaborazioni su piccoli giornali, Rosaria Capacchione è una giornalista precisa e appassionata. Lo era anche prima del 13 marzo 2008, una normale giornata di lavoro che invece le ha cambiato la vita, trasformandola improvvisamente e suo malgrado in un personaggio pubblico. Un simbolo. Un obiettivo nel mirino dei Casalesi, clan camorristico di Casal di Principe. Da quel momento vive sotto scorta, riceve premi in tutto il mondo, scrive libri. Ma resta una giornalista.
«Era la fine del processo dappello Spartacus, il più importante processo al clan dei Casalesi. Durante le arringhe dei difensori un avvocato di Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, due capiclan uno dei quali allepoca latitante, lesse unistanza di ricusazione molto anomala, un proclama contenente un elenco dei cattivi da punire. Due magistrati, Roberto Saviano e me. Si fece una rapida valutazione, lunica non sottoposta a tutela ero io».
Lei assisteva alludienza? E come reagì?
«Non ero presente per una ragione molto semplice. Io ho sempre cercato di evitare lo scontro diretto e sapevo che quel giorno gli imputati o i loro avvocati avrebbero fatto qualcosa di eclatante. Mandai una persona di fiducia ad ascoltare, che in diretta mi riferì tutto. Nel giro di mezzora, il caso scoppiò a ogni livello. Mi feci portare il testo, telefonai al pm Raffaele Cantone, gli lessi le righe che ci riguardavano e ci dicemmo: è finita».
Da che cosa nasceva il proclama nei suoi confronti?
«Cera un riferimento al collegio a cui era stato assegnato il processo dappello. Io mi occupai del presidente di quel collegio, che in precedenza aveva annullato parecchie sentenze di condanna in primo grado, pubblicando un documento sulla compravendita di un terreno tra quel magistrato e un esponente del clan dei casalesi. La vicenda arrivò in Parlamento e gli ambienti legati agli imputati del processo fecero in modo di mettermi al corrente della loro irritazione. Questa non si fa mai i fatti suoi, dicevano. In effetti è vero. E non mi sono mai tirata indietro».
In questo periodo di che cosa si sta occupando?
«Io non faccio distinzione tra cronaca nera e giudiziaria perché sono sempre partita dalla cronaca nera, ma cercando di raccontare come andavano a finire le storie mi sono imbattuta nella cronaca giudiziaria, ovvero nei processi. Ma la partenza è sempre una storia reale. Ormai da tempo mi occupo di criminalità finanziaria, che mi interessa di più degli aspetti di sangue».
La sua storia professionale e ora anche personale ha incrociato i casalesi. A chi le chiedesse chi sono, che cosa risponderebbe?
«Avete presente Cosa nostra, così come la conosciamo nella pubblicistica? Ecco, i casalesi sono così, lorganizzazione più prossima a quella che conosciamo come Cosa nostra, anche nei suoi sviluppi affaristici. Il tavolino per la divisione degli appalti di Angelo Siino, un tempo definito ministro dei lavori pubblici della mafia, è stato sperimentato in modo brillante in Campania da Michele Zagaria. Un accordo a tavolino tra politica, camorra e imprese siglato per la prima volta per gli appalti dellAlta velocità».
Che cosa differenzia i casalesi da altri clan della camorra?
«I clan napoletani sono rumorosi, i casalesi sono diversi. Zagaria ha anche un uso più parsimonioso della violenza, gestisce denaro, traffica con la politica, è il prototipo del mafioso che si può trovare a Milano, Torino, Genova. Questo perché vengono da una scuola mafiosa. Il loro capo, Antonio Bardellino, era affiliato a Cosa nostra, faceva parte della Cupola. Loro sono lopposto della nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, che aveva aspetti anche più folcloristici».
Dopo gli arresti e le condanne, i casalesi dal punto di vista della struttura in che situazione si trovano?
«Sono in stand by, ci sono i figli che sono più grandi delletà dei padri quando erano già delinquenti incalliti. Si muovono bene dal punto di vista criminale, non hanno fatto la scelta di espatriare, di andare in Germania a fare il medico. Sono rimasti sul territorio, e questa è già una scelta di campo».
Rispetto alla conoscenza del fenomeno che ruolo ha avuto «Gomorra», il libro di Saviano?
«Per la diffusione massiccia ha avuto un ruolo importante. Lo stesso impatto della morte del commissario Cattani nella Piovra, quando lItalia si fermò davanti alla tv».
Qual è il rapporto tra lattività criminale dei Casalesi e gli aspetti legati ad ambiente, paesaggio, edilizia, urbanistica? Esiste un intreccio?
«È tutto un intreccio. Il loro interesse principale è nelledilizia e nei rifiuti. Se vuoi parlare di appalti e dimpatto ambientale, devi parlare dei Casalesi. Sono i maestri, non hanno eguali in Italia. Questa è la loro attività privilegiata, tutta la loro vicenda criminale di cui mi sono occupata riguarda questi aspetti. Saccheggio urbanistico e soprattutto devastazione del territorio. Tutto portato a compimento in maniera sistematica, non episodica».
Quali sono i metodi con cui si devasta il territorio?
«Sia con la corruzione politica, quindi per la modifica dei piani regolatori e per un uso intensivo del territorio, sia con linquinamento e lo smaltimento dei rifiuti. Questi due settori privilegiati si riscontrano in tutte le vicende giudiziarie che riguardano i Casalesi. Quando le inchieste vanno oltre uno specifico fatto di sangue, e penetrano nel mondo degli affari, nel 95% dei casi riguardano o investimenti immobiliari (partendo dal ciclo integrato delledilizia: cave, materie prime, calcestruzzo, costruzioni), oppure i rifiuti sotto tutti i profili: inquinamento del territorio, smaltimento, gestione dellemergenza nella parte istituzionale».
Sui rapporti istituzionali, che conoscenza cè?
«Ci sono inchieste in corso. Lanno scorso una fonte molto attendibile mi ha rivelato che cera stato un accordo tra uomini degli apparati dello Stato e Zagaria, capo dei Casalesi arrestato a dicembre ma che continua a controllare una grossa fetta delleconomia regionale. Laccordo prevedeva uno scambio: io ti garantisco terreni e pace sociale per risolvere lemergenza, tu mi garantisci una certa tutela della latitanza e un ristoro economico attraverso ditte che si occupano di trasporti, movimento terra e tutte le attività collaterali alla gestione dei rifiuti. Le ditte sono state trovate: hanno lavorato per il Commissariato allemergenza rifiuti e con la struttura di Guido Bertolaso senza certificazione antimafia. Attenzione: non perché non lavevano chiesta ma perché non potevano ottenerla in quanto destinatarie di uninterdittiva antimafia. Si ipotizza anche unidentificazione delle persone che hanno svolto questa trattativa».
Sulla vicenda dei rifiuti il ruolo della camorra è stato tirato in ballo in vari modi, talvolta con ruoli contraddittori. Come si può sintetizzare?
«Lemergenza garantiva un enorme flusso di denaro pubblico per la camorra: più perdurava, più si arricchiva. Soldi per i terreni su cui stoccare le ecoballe, messi a disposizione dalla camorra. Soldi per fare buchi nel territorio e infilarci rifiuti. Il buco nasconde momentaneamente il problema ma non lo risolve, lo rimanda. Ora questi pezzettini di verità stanno cominciando a venire fuori, grazie a piccoli stralci dindagine».
Come cittadina, qual è la sua percezione della devastazione del territorio e come mai viene accettata dalla popolazione anche se incide sulla loro vita e salute?
«Io me ne rendo conto tutti i giorni e mi fa male. Viaggiando in auto, vedo la terra che ogni anno diventa più gialla. Io abito in centro ma affacciata sulla campagna. Un incubo. Questa è una delle cose che spingono le persone ad andare via da qui. Più che la salute, a cui pensi dopo, quando ti accade qualcosa. Quello che vedi ti colpisce in tempo reale. Le persone per un lungo periodo non sapevano, poi si sono rassegnate al destino ineluttabile di questa terra maledetta. Adesso, da tre-quattro anni, hanno cominciato a muoversi con proteste e comitati civici».
Qual è il ruolo della politica?
«È uno dei tre piedi del tavolino. Molte volte le distinzioni tra partiti sono apparenti, fanno una battaglia finta per raccogliere i voti ma stanno sostanzialmente dalla stessa parte. Alla fine non cè mai stata una vera opposizione del Pdl ad Antonio Bassolino. Per esempio il consorzio di gestione dei rifiuti che ha portato al processo per concorso esterno in associazione mafiosa a Nicola Cosentino, fino a poco tempo fa capo del Pdl in Campania e sottosegretario allEconomia nel governo Berlusconi, comprendeva tutte le componenti politiche. Nellaffare cerano tutti, indistintamente».
Il mondo industriale di Napoli è storicamente molto attento alle vicende edilizie e urbanistiche della città.
«Attento nel senso che dove ci sta un pezzo di terra vanno a costruire, quello sì».
Cè stata unevoluzione negli ultimi anni?
«Lunica evoluzione è che è finita la terra, non cè più spazio per costruire. Impossibile proseguire il sacco di Napoli. Fanno altri tipi di affari: zone di nuova espansione, investimenti sulle aree industriali dismesse».
Dopo «Loro della camorra» (Bur-Rizzoli, 2008), sta lavorando a nuovi libri?
«Ne ho due in cantiere ma non trovo il tempo di finirli. Uno è in stato avanzato: sto raccontando il territorio. Ho preso come spunto Castel Volturno, che trovo sociologicamente più interessante come area criminogena».
Perché?
«Perché è Miami. Una città stretta (una strada) e lunghissima, 27 chilometri, dove le persone non si parlano, non cè una piazza. E dove in definitiva lunica autorità riconosciuta è la camorra. Tu metti tutti insieme: africani, albanesi, castellani, hinterland napoletano, latitanti, fiancheggiatori di vari clan, contrabbandieri, prostitute. Gente che parla lingue diverse, dove manca il minimo contatto solidale, dove è impossibile immaginare una comunità, un luogo dincontro. Tutto nasce lì e tutto torna lì: affari, investimenti, accordi, P3, P4, massoneria, servizi segreti deviati, gli interessi degli Stati Uniti, la strage di africani a opera della camorra, le grandi discariche. Tutto, e in grande».
Perché proprio lì?
«Perché lì nessuno ti vede, ci sei e non ci sei. Ci sono grandi territori, dopo Pozzuoli fin quasi al confine con il Lazio, però non appartengono a nessuno».
Un territorio paesaggisticamente pregiato?
«Era bello, molto bello. Pineta antica, dune, macchia mediterranea, piccoli corsi dacqua. Ora è monnezza, in tutti i sensi».
È anche il territorio del Villaggio Coppola.
«Storia emblematica e mai finita».
Ma non è in corso la bonifica?
«Altro che bonifica, bisognerebbe che qualcuno bonificasse loro, i Coppola».
E con un sindaco magistrato, fino a poco tempo fa.
«Finito sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa e concussione sessuale: nella veste di sindaco prometteva lavoro a povere donne previo passaggio nella camera da letto».
Qual è il senso del suo racconto del territorio?
«Castelvolturno è una metafora del Sud, un laboratorio di sperimentazione della società di domani, un luogo dove si decide che cosa saremo».
E laltro libro?
«La seconda generazione, la mafia ai tempi della crisi passando da chi ce lha fatta e chi no. Nel senso di discontinuità rispetto a prima. Figli di camorristi o dimprenditori uccisi, di chi ha detto no e a quale prezzo. Le due sponde della barricata, che però hanno una provenienza comune in unaltra epoca, in cui erano più accondiscendenti. Tu potevi essere amico del camorrista perché il camorrista non ti veniva a chiedere nulla, ti riconosceva diversità. Dopo il terremoto è cambiato tutto».
Napoli è guarita dal terremoto, dopo trentanni?
«Napoli ne porterà ancora a lungo le ferite perché si possa dare una lettura positiva. Qualunque gestione, anche la più oculata, è andata a incidere su ferite profonde. Napoli prima e dopo il terremoto sono due città diverse. Anche dimpatto visivo. Perfino la parte farsesca di Napoli è cambiata, è diventato più chiaro che stavano recitando a soggetto. Siamo diventati grandi allimprovviso».
Cè un nuovo clima dopo il cambio di sindaco?
«Non sono ancora in grado di giudicare. Napoli è una città che distrugge qualsiasi cosa, ma è anche capace di straordinari slanci di generosità. Questa città ha bisogno di normalità».