Con un vero e proprio blitzcrieg, alla vigilia del sequestro amministrativo per le vicende Fonsai, dal 5 maggio un manipolo di coraggiosi resistenti, i «Lavoratori dellarte», ha occupato il primo dei 33 piani (102 m) delledificio progettato da Melchiorre Bega nel 1959 e abbandonato da oltre 15 anni, uno dei simboli più eleganti della Milano industriale del boom, trasparente prisma ammirato da Gio Ponti che ora sfida, con la sua nuova livrea blu luminescente, il prospiciente Palazzo della Regione. Paradossalmente la città pare abbia adottato con simpatia gli occupanti, che vi hanno insediato il Macao (il nuovo centro per le arti di Milano) subito visitato dallassessore alla Cultura Stefano Boeri, sempre pronto a intercettare i nuovi trend.
Ma chi sono gli occupanti? Una rete di soggetti che stanno operando fianco a fianco in questa lotta: insieme ai «Lavoratori dellarte», il cinema Palazzo di Roma, il teatro Valle occupato di Roma, s.a.L.E. docks ai Magazzini del sale di Venezia, il teatro Coppola di Catania, lasilo della creatività e della conoscenza di Napoli, il teatro Garibaldi aperto di Palermo. Forse, nel campo delle arti e delle imprese situazioniste, si presentano come lunica vera novità, naturalmente autoprodotta, nella stagnante palude del culturame milanese. Chi si aspetterebbe le vecchie icone dellantagonismo politico resterà deluso: altro che barbari sognanti, sono le nuove generazioni che si affacciano sul cosiddetto mercato anche intellettuale, e che si coalizzano per sopravvivere unendo il fronte del precariato intellettuale e lavorativo.
Ora che la frittata è fatta, resta da giocare la partita delle iniziative, e che le buone intenzioni si trasformino in una nuova realtà che riesca a trasferire lidea della città come bene comune in una situazione istituzionalmente coerente e credibile, che coniughi la libertà con la legittimità. Chiedono spazi per il precariato dellarte e dei cervelli, una chance in più rispetto a quel poco che cè già: «Ciò che manca è una distribuzione equa del valore che viene socialmente prodotto; è concentrato nelle mani di pochi a discapito di quei molti senza cui oggi larte non potrebbe funzionare […]. I linguaggi artistici sono un fatto politico […]. Denunciamo le ingerenze politiche in campo artistico e la vergognosa governance pubblica della cultura». Rimane da rispondere allinterrogativo del perché il pubblico, impegnato nella perenne autocelebrazione dei propri fasti, non intercetti questa domanda, contribuendo a veicolarne i fermenti in uno spazio di libertà, anche politica e di critica, che serva da laboratorio creativo non solo a Milano ma anche per lEuropa. Se non si vuole dare proprio niente… almeno gli spazi!
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