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Davide FragassoWritten by: Inchieste

Aquila: tutto fermo o quasi. La burocrazia peggio del terremoto

Aquila: tutto fermo o quasi. La burocrazia peggio del terremoto

Oltre il Piano Case, con le sue 19 «new town» da 4.500 alloggi e gli interventi sulle strutture con danni minori nulla è cambiato. Su una popolazione di circa 70.000 abitanti, 22.000 vivono ancora in alloggi a carico dello stato, 7.000 nei Map e circa 300 sono ancora negli alberghi. Un procrastinarsi dello stato emergenziale pressoché inspiegabile, che vede fermi tutti i lavori pubblici e privati nel centro storico e in buona parte delle periferie con meno della metà dei cantieri avviati tra gli edifici classificati E. Una situazione che può trovare giustificazione solo nella difficoltà degli uffici tecnici comunali di districarsi tra l’infinito numero di pratiche che operano spesso in deroga e rispondono ai continui aggiornamenti di ordinanze e piani. Piani complessi operanti su competenze e normative che spesso si sovrappongono, non senza incongruenze. E se L’Aquila paga lo scotto della dimensione del suo centro storico danneggiato, nei centri del cratere non va meglio: qui la minore attenzione mediatica, insieme all’assenza dei piani di ricostruzione (a oggi ne sono stati redatti meno della metà) rende tutto immobile, come nel caso del Piano di Onna (cfr. «Il Giornale dell’Architettura» n.101) adottato dal Consiglio comunale a novembre e ancora in attesa dell’approvazione della Regione, o come il Centro studi dell’Università dell’Aquila fermo da ottobre 2010 nonostante il protocollo d’intesa firmato da società costruttrice e Regione. Basti pensare che delle 8.881 richieste d’indennizzo per edifici E siti all’Aquila, solo 2.712 sono state evase. L’unica macchina che sembra funzionare senza intoppi è quella della magistratura, le cui indagini vengono portate avanti senza sosta, dalle maxi inchieste (si veda quella sulla Commissione grandi rischi) a quelle sulle infiltrazioni mafiose, tanto che molte sono giunte a sentenza di primo grado. In questo clima la visita del presidente del Consiglio Mario Monti e del ministro Fabrizio Barca infonde un cauto ottimismo ma, alle parole rassicuranti del premier, vanno contrapposti lo stupore dello stesso che ha ammesso «non immaginavo una situazione del genere» (riportato da pochi media), e le lapidarie osservazioni del ministro nella sua relazione che afferma la necessità sia di maggiore trasparenza nei dati di spesa, sia di un processo partecipativo che a tre anni dal sisma risulta ancora assente o carente (come denunciato dagli Ordini professionali per il nuovo piano di ricostruzione dell’Aquila), sia la costituzione di liste di merito delle imprese «pulite». Ma la visita ha soprattutto determinato l’emanazione della nuova delibera che snellisce parzialmente la mastodontica macchina burocratica eliminando la Struttura per la gestione dell’emergenza e i suoi vice commissari, e impegna il governo per una spesa di 187 milioni utili a mantenere il funzionamento della filiera Fintecna-Cineas-Reluis e l’assistenza alla popolazione. Inoltre il governo ha sbloccato i fondi Cipe per 710 milioni, di cui 350 per la ricostruzione del patrimonio residenziale danneggiato, 47 per gli edifici pubblici del centro storico, 44 per la ripresa delle attività economiche e 18 per gli edifici di culto.
Molti dei problemi che la città si trova oggi a fronteggiare erano stati largamente denunciati dalle associazioni, e alcune delle iniziative più meritevoli sono state proprio frutto del fervore e delle conoscenze che i comitati hanno saputo produrre. Il lavoro di gruppi come Collettivo 99, sin dall’inizio impegnato a far passare un messaggio alternativo di ricostruzione, a costruire occasioni di cambiamento per ripensare la città (come mostrato anche nell’ultima Biennale di Architettura di Venezia, al convegno internazionale «L’Aquila 2010. Luogo, identità, etica, ricostruzione»), sono state scarsamente accolte da una politica del fare che poco ha fatto e ancor meno ha pensato. E così, come si coglie dalle parole di Marco Morante, presidente di Collettivo 99, in un certo senso l’esperimento di fare dell’Aquila un laboratorio di ricerca, sociale, urbanistico e architettonico non è riuscito, se non in minima parte. Paradossalmente, le idee nate sul territorio e ignorate dalla politica locale hanno suscitato l’interesse di enti e università straniere, come nel caso dell’Ocse e dell’Università di Gröningen con il progetto «Smart cities». Il progetto offrirebbe, entro i prossimi 30 anni, l’occasione per una riprogettazione urbanistica e architettonica all’insegna delle energie pulite, dell’iper-cablaggio, di internet a banda ultra larga, dell’uso di nuovi materiali, e di un’organizzazione delle reti e dei trasporti che segua la logica della sostenibilità.
Il paradosso nel paradosso sta nelle parole (pur veritiere) del sindaco Massimo Cialente che, gelando tutti, si è detto scettico poiché per molti la strada è «dov’era com’era». A riprova di questa mentalità, le proteste e le polemiche intorno al nuovo auditorium di Rpbw. Associazioni quali Italia Nostra si sono schierate contro l’opera sventolando la bandiera dello spreco di denaro (circa 750.000 euro) e dell’inutilità dell’opera. Alcuni in particolare ritengono che la localizzazione dell’edificio non riqualifichi il parco del Castello ma si sovrapponga invece a una serie di attrazioni già esistenti a sfavore di aree periferiche. Una levata di scudi che già in passato è stata causa di modifiche in corso d’opera e che ha prodotto risultati schizofrenici come per l’auditorium di Shigeru Ban. Ma l’amministrazione sembra andare avanti proprio nel nome dell’opera griffata.
Non tutto può più essere delegato ai rappresentanti politici. Tutto ciò che l’associazionismo ha proposto e fatto nei tre anni passati, a causa del mancato ascolto, di un sistema burocratico che corre su un piano tutto suo, e di un latente senso di esasperazione, si è tradotto in una presa di coscienza della cittadinanza. Per cambiare va fatto un passo ulteriore. Così possono essere lette le circa 900 (!) candidature per le amministrative dell’Aquila, un tuffo della società civile nella politica, un riappropriarsi del potere decisionale.

Autore

  • Davide Fragasso

    Nasce a Pescara nel 1982 dove, senza troppa fretta, nel 2012 si laurea in architettura con una tesi sulla rigenerazione urbana dei quartieri fascisti. Interessato dalle mutazioni urbane e dalla conservazione e trasformazione del patrimonio architettonico è co-fondatore, insieme a colleghi e amici di battaglie intellettuali, del Comitato Abruzzese del paesaggio, impegnato in prima linea nella sensibilizzazione sui temi del paesaggio e dell’architettura. Nel 2009 organizza il workshop internazionale “Metro-Borghi” a cui partecipano le Università di Lubiana, Pescara e della Florida. Dal 2013 è dottorando in architettura con una ricerca sul ruolo del metodo nella pratica professionale e nell’insegnamento dell’architettura. Nel 2014 la sua ricerca è selezionata per il convegno “La ricerca che cambia” – convegno nazionale dei dottorati italiani dell’architettura, organizzata dallo IUAV. Vive e lavora come architetto in Svizzera dove, parallelamente alla professione, coltiva con ottimistica pazienza la propria personale ricerca partecipando a concorsi e convegni senza dimenticare nei ritagli di tempo la passione per la musica, la fotografia e la bicicletta.

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Last modified: 18 Luglio 2015