Una questione controversa, quella della valorizzazione dellantico teatro romano di Teramo, che tocca interessi nascosti, speculazione, incompetenza e mancanze tecniche e politiche. Il teatro, costruito sotto limperatore Adriano nel II secolo d.C., è uno dei più importanti ritrovamenti archeologici dAbruzzo per la sua dimensione e posizione. In pieno centro storico, oggi il teatro è in parte nascosto sotto un aggregato di palazzi sette-ottocenteschi. Un palinsesto il cui valore sta nella sua lettura stratigrafica, nella capacità di narrare una continuità storica che dalla fine degli anni novanta è stata messa in discussione con lobiettivo di ripristinare una non meglio definita situazione «originale». Lidea di riportare alla luce il manufatto prese piede durante il regime fascista che finanziò le operazioni di scavo, durante le quali vennero alla luce anche i resti dellanfiteatro del I secolo. La cultura della romanità sposata dal fascismo non poteva che accogliere di buon grado lesaltazione delle vestigia classiche con un progetto che prevedeva labbattimento dellaggregato che sorge sulla cavea. Ma le due guerre prima e unincredibile alternanza di fattori politici ed errori umani bloccarono i lavori. Infine, quando negli anni sessanta gli scavi ripresero, vennero demolite erroneamente parte delle arcate.
Oggi, a quasi un secolo dal progetto del regime lidea di conservazione e valorizzazione in Abruzzo rimane la stessa, immobile e anacronistica, a cui si sommano improbabili progetti di anastilosi e ricostruzione in stile come quello finanziato dalla Cassa di Risparmio con tanto di copertura vetrata, dal costo di 6 milioni. Dagli anni ottanta lassociazione Teramo Nostra si batte per la demolizione dei palazzi Adamoli e Salvoni, coinvolgendo Marco Pannella che insieme allarchitetto Aldo Loris Rossi proprio nelle scorse settimane ha presentato una seconda denuncia alla Procura della Repubblica, perché sebbene tutti gli enti preposti, dalla Regione al Comune, dal Ministero alla Soprintendenza si proclamino favorevoli allabbattimento, inspiegabilmente le carte restano bloccate negli uffici, con il paradosso che i fondi stanziati per la demolizione hanno permesso nel 2009 di consolidare la parte di Palazzo Adamoli sopravvissuta alla folle distruzione dei due anni precedenti (nella foto). Una situazione di stallo in cui gli immobili storici sono salvi per via di cavilli burocratici e il teatro non può essere valorizzato per gli stessi formalismi, anzi le sue pietre spostate per la catalogazione in vista di una ricomposizione in loco. Un paradosso che al di là delle responsabilità tecniche evidenziate da Carlo Vulpio sul «Corriere della sera» del 17 gennaio 2011 trova alla base un pensiero decadente e antiquato di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
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