Nellottimo Documento politico di indirizzo per il governo del territorio diffuso a ottobre, lamministrazione milanese illustrava i principi del nuovo corso delle politiche urbane. Il cardine del documento è lesigenza di rispondere a «una domanda diffusa di risarcimento sociale e spaziale», operando uninversione di rotta nel rapporto tra città pubblica e interessi privati. Dopo i molti decenni trascorsi a incarnare il ruolo di capitale del neoliberismo urbanistico, per Milano è una rivoluzione radicale, un percorso complesso di cui la correzione del Pgt non può che rappresentare una tappa, l«anticipazione di una riforma dellurbanistica milanese». Le consistenti modifiche al piano approvate dalla giunta e ora in discussione sono state interpretate, a seconda dei punti di vista, come una ragionevole riduzione dei privilegi concessi alla rendita fondiaria o come un blocco vessatorio allo sviluppo futuro della città, ma in effetti sotto il profilo del metodo non hanno potuto stravolgere i fondamenti del Pgt: la perequazione e lindifferenza funzionale. Sono stati eliminati gli eccessi quantitativi e alcuni progetti monstre, si è incrementata la percentuale di housing sociale e sono state reintrodotte alcune misure a favore di una più forte regia pubblica ma, anche se corretta rispetto alla versione «illimitata» della giunta Moratti, la perequazione resta un sistema ideologicamente arretrato, una risposta ancora liberista al problema della proprietà dei suoli e della rendita fondiaria.
I presupposti che sono alla base della scelta perequativa sono essenzialmente tre: che la legge sullesproprio tutela in maniera eccessiva i proprietari dei suoli; che il pubblico avrà sempre meno soldi da spendere, e quindi sempre meno suoli da espropriare; che gli stessi proprietari dei suoli hanno diritto allequità nella distribuzione della rendita (e che quindi ogni vincolo pubblico è una decisione arbitraria sulla rendita). La cessione gratuita di suoli in cambio di diritti edificatori si configura quindi, nellottica della cosiddetta urbanistica riformista che negli ultimi decenni ha prevalso nellInu e nellaccademia come lunica soluzione realistica per la realizzazione della città pubblica: non astrattamente opposta agli interessi immobiliari ma neppure asservita a essi.
Alla luce della crisi finanziaria internazionale, i tre presupposti «realistici» sono nuovamente interpretabili come delle affermazioni parziali, frutto di una precisa politica proprietaria: il giurista Ugo Mattei, membro della commissione Rodotà per i beni pubblici, spiega in modo mirabile come lanomalia italiana sullesproprio sia
nel rapporto asimmetrico tra la tutela eccessiva del privato nel passaggio al pubblico (lesproprio appunto) contro la pressoché totale assenza di tutele nel passaggio inverso (privatizzazioni, cartolarizzazioni, etc).
Per ristabilire leguaglianza tra i cittadini, e non solo tra i proprietari dei suoli, per riequilibrare i profitti vertiginosi delle cordate immobiliari, da tempo riferiti al sistema di credito più che alla dimensione materiale delledilizia (il caso dellincompiuto quartiere di Santa Giulia docet), per costruire una strategia realmente partecipativa dei cittadini alle politiche urbane, una «città come bene comune», è urgente e necessario ripartire dalla definizione di beni comuni, privati e pubblici, e spostare i finanziamenti pubblici dal regime emergenziale delleconomia degli eventi alleconomia ordinaria del welfare e della manutenzione.
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