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Davide BorsaWritten by: Città e Territorio

Il sacco di Milano

milano. Che cosa lega luoghi, figure ed eventi distanti e diversi, ma che incidono profondamente sulla fisionomia e sulla forma urbis della città? Non c’è nessun comune denominatore culturale, di gusto o di scelta estetica che riesca a darci ragione della Milano che verrà, se non quello dell’affarismo rampante e cialtrone ampiamente trasversale che ha guidato tutti i grandi processi di trasformazione meneghina, che, però si badi bene, non è cosa nuova: il primo infatti che si preoccupò di associare un generoso piano di rinascita culturale alle Grandi Opere fu infatti anche l’ultimo, Lodovico il Moro. Quanto invece della città come patrimonio pubblico debba essere sacrificato a una logica tardo capitalistica sta iscritto in un Pgt che rischia ormai di essere ampiamente superato dagli eventi pregressi. Nient’altro può giustificare lo scempio generalizzato che rischia di far precipitare Milano sul poco ambito podio di capitale della sottocultura europea.
Una prestigiosa istituzione, la Triennale, in ginocchio: dovrebbe rilanciarsi motu proprio, in virtù del luogo, o del logo, più che dello spirito che la anima. Ci possono essere idee senza soldi o soldi senza idee, ma raschiare il barile senza soldi e senza idee… La credibilità culturale (e morale) delle élites della classe dirigente è oramai ai minimi storici: prendiamo l’umiliante vicenda del parcheggio sotto Sant’Ambrogio: dopo anni di mobilitazioni contro l’intervento, guidate dalla Milano bene, a fine febbraio una mozione di due consiglieri del Pd ha richiesto la sospensione immediata dei lavori a seguito di ritrovamenti archeologici nell’area del cantiere. Annullare la realizzazione del parcheggio comporterebbe però una penale di oltre 10 milioni da pagare al concessionario, l’impresa guidata dal neo presidente della Triennale Claudio De Albertis. Tutti ormai sperano che qualche vizio di forma tolga l’impiccio di puntare il dito contro i veri responsabili: la curia che ha benedetto l’operazione dell’evangelizzazione motorizzata e le soprintendenze che l’hanno avallata, con pareri pilateschi. Ma qui, è chiaro siamo di fronte all’impensabile mostrum giuridico, che vorrebbe che tutto quello che non è espressamente vietato si possa fare con la stessa noncurante faciloneria, benedetta dall’ennesima moltiplicazione di pani e pesci per i non necessariamente bisognosi e lungimiranti protagonisti, a meno di volerlo catalogare come promozione del social parking.
Lo stesso Comune, chiamato a gestire l’imbarazzante eredità del funesto Piano parcheggi dell’indimenticabile giunta Albertini, invoca il cavillo che aveva consentito di fermare lo scempio del progetto della Darsena, ora tornato in auge come maquillage di bonifica. Esito del concorso internazionale del 2004, il piano di riqualificazione, firmato dal gruppo capitanato dal francese Jean François Bodin, si era arenato per le difficoltà di realizzazione del parcheggio che sarebbe dovuto sorgere al di sotto della Darsena, previsto dal Piano parcheggi ma definitivamente accantonato dalle giunte successive. A metà febbraio però il sindaco Giuliano Pisapia e l’amministratore delegato di Expo 2015 Giuseppe Sala hanno ripresentato il progetto (decisamente ridimensionato) nel quadro del più generale piano delle Vie d’acqua di Expo 2015. Ma qui, è chiaro siamo di fronte all’impensabile mostro, che ci ricorda che tutto quello che non è espressamente vietato si può forse fare con la stessa noncurante faciloneria, benedetta dall’ennesima moltiplicazione di pani e pesci per i non necessariamente bisognosi e lungimiranti protagonisti. Tra tutti troneggia l’ombra lunga del formigonismo e il suo braccio operativo, Infrastrutture Lombarde: soggetto attuatore di ormai quasi tutte le mirabolanti iniziative di urban marketing meneghino e lombardo, per conto di cui gestisce gare e appalti e veglia come un cerbero su tempistica e costi.
Tra le vicende spicca quella del nuovo Policlinico, per cui Infrastrutture Lombarde doveva gestire la vendita all’asta di alcuni beni immobiliari tra cui terreni agricoli ed edificabili e case oggetto di lasciti e donazioni in un arco di cinque secoli, per un valore complessivo di circa 1,33 miliardi per rimediare i 200 milioni necessari per il finanziamento del nuovo ospedale di Milano, che sostituirà la Mangiagalli e la sede di via Pace. Un progetto, che con un’assoluta indifferenza ai valori di contesto e della città storica, atterra nel delicato comprensorio filaretiano e della rotonda della Besana, con un ulteriore sovraccarico del quartiere e conseguente consumo di suolo.
Paradossalmente queste vicende s’incrociano tutte sul piano culturale. Vale per la riqualificazione dell’ex area Enel di fronte al cimitero Monumentale, che ha visto negli ultimi mesi la mobilitazione di un folto gruppo di architetti contro il progetto dello studio di Giancarlo Perrotta, progettista tra il 1982 e il 1994 delle torri dell’area della stazione Garibaldi: il permesso a costruire è stato rilasciato dal Comune il 26 luglio e pubblicato nel mese di agosto per le osservazioni (nonostante l’escamotage per pratiche di questa entità fosse già stato sanzionato da varie sentenze).
Ma vale soprattutto per la Villa Reale di Monza i cui cantieri sono stati aperti a inizio marzo alla presenza anche del sindaco Pisapia e dell’assessore Stefano Boeri che a suo tempo avevano firmato l’appello contro l’ormai famoso bando. Mentre nessuno si chiede come mai tra i progettisti non figuri più Giovanni Carbonara, capogruppo del raggruppamento vincitore del concorso nel 2005, ma bensì, nella versione riveduta e corretta da Infrastrutture Lombarde, l’Atp Sinergia Scarl – Studio Croci e associati, con responsabile di progetto Laura Lazzari (anche lei firma storica delle torri Garibaldi) insieme a Giorgio Croci, responsabile dell’integrazione specialistica. Sul progetto gravano però un’inevitabile coda di polemiche, un ricorso al Tar e 23 milioni da spendere entro il 2014.
Intanto, mentre con la mano destra avalla silenziosamente l’attuale cultura d’impresa a forte impatto speculativo e a basso tenore estetico, con i suoi rigurgiti post-postmodernisti, la giunta tenta contemporaneamente con la mano sinistra di emanciparsene, come traspare dai desiderata del Pgt rivisto, infarcito dalle generiche favole radical eco chic e dalla «nuova» dottrina sociale permeata da rivendicazioni populiste. Siamo di fronte all’ennesimo gioco delle parti per cui tutto deve cambiare perché tutto rimanga come prima?

Autore

  • Davide Borsa

    Laureato in Architettura al Politecnico di Milano con una tesi su Cesare Brandi, pubblicata con il titolo Le radici della critica di Cesare Brandi (2000), è dottore di ricerca in Conservazione dell'architettura. È corrispondente del “Giornale dell'Architettura” e ha scritto per “Arte Architettura Ambiente”, “Arcphoto”, “Ananke”, “Il Giornale dell'Arte”. Suoi contributi sono in atti per il seminario internazionale “Theory and Practice in Conservation- A tribute to Cesare Brandi” (Lisbona 2006), per la giornata di studi “Brandi e l’architettura” (Siracusa 2006), per il volume “Razionalismo lariano” con il saggio “Eisenman/Terragni: dalla analogia del linguaggio alla metafora del testo” (2010), per il volume “Guerra monumenti ricostruzione. Architetture e centri storici italiani nel secondo conflitto mondiale” (2011). Ha curato il volume “Memoria e identità del luogo. II progetto della memoria” (2012). Ha fatto parte dello staff curatoriale del Padiglione Architettura Expo 2015 per il ciclo di convegni Milano capitale del moderno. Presso il Politecnico di Milano collabora alla didattica nei corsi di Storia dell'architettura contemporanea, Teoria del restauro, Composizione architettonica e urbana e ai laboratori di Restauro e di Progettazione architettonica.

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Last modified: 9 Luglio 2015