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Written by: Forum

Caro Salzano, invece io penso che…

Ringrazio Edoardo Salzano di aver commentato su questo Giornale e su Eddyburg la mia proposta. Colgo l’occasione per evidenziare punti di accordo e disaccordo e fornire un chiarimento.
1. Sicuramente c’è stato in passato un disaccordo sull’interpretazione nella lunga durata del fenomeno dell’urbanizzazione diffusa italiana. Salzano lo vede, in sintonia con Cervellati, come l’effetto esclusivo del decentramento della città (sprawl), del ruolo dominante della rendita urbana, dell’abbandono di politiche di edilizia pubblica e del discredito gettato sull’urbanistica autoritativa. Io, sulla scia di Turri e in sintonia con Secchi, Dematteis e Indovina, lo vedo come l’esito di un’epocale ridistribuzione di popolazione e attività sul territorio italiano (discesa a valle e a costa), dello sviluppo dei distretti industriali, dell’innalzamento dei redditi delle famiglie in campagna che si sono endogenamente urbanizzate, ecc. In Salzano c’era la prospettiva di un contrasto assoluto alla diffusione operando in difesa della città compatta; per me c’era la prospettiva di un governo di questo processo, affinché nel suo farsi si producesse nuovo paesaggio costruito di qualità, si valorizzassero ambientalmente gli spazi aperti interclusi, si costruisse nuovo spazio collettivo e una maggiore abitabilità e urbanità.
2. Ciò detto, credo che viceversa oggi ci sia un accordo importante che vada valorizzato. A) Nell’interpretazione delle fasi più recenti dell’urbanizzazione diffusa. Entrambi denunciamo l’enorme spreco di suolo e una cattiva urbanizzazione generata negli ultimi 15 anni dagli effetti perversi di una finanza locale legata agli oneri di urbanizzazione e all’Ici, da una centralità della rendita fondiaria in territori in cui un tempo fu marginale, da una politica infrastrutturale incentrata su poche nuove opere che frantumano lo spazio residuo e non da una manutenzione e un rinnovo della rete esistente, da una deriva affaristico-clientelare del sistema amministrativo locale e dalla conseguente crescente difficoltà che in esso trovino spazio le «ragioni» dei beni comuni e di generazioni future; infine, da un’urbanistica sempre meno attenta a difendere l’autonomia di alcune valutazioni tecniche e sempre meno civilmente impegnata a promuovere una città equa e sostenibile (per quanto il sottoscritto non abbia un giudizio particolarmente positivo della vecchia urbanistica autoritativa, condivide con Salzano una critica dura a molte posizioni assunte dalla cultura italiana del planning nell’ultimo ventennio). B) Nella volontà di assegnare alla questione ambientale una centralità nel fare urbanistica oggi. Credo che per entrambi ciò voglia dire non intendere più lo sviluppo in termini di crescita, ma pensare il governo dello spazio urbanizzato mettendo al centro il tema del riuso senza espansioni (riconosco che Salzano sia stato tra i primi a insistere sul concetto di suolo inedificato come fattore di riequilibrio ecologico); ciò significa che la qualità dell’ambiente costruito e del paesaggio rappresentino un fattore di benessere ben più che un punto del Pil.
3. Contrariamente a quanto sembra pensare Salzano, c’è anche la condivisione del fatto che non basti una politica urbanistico-edilizia per frenare il consumo di suolo e che le si debbano affiancare altri due aspetti. Una politica sugli spazi aperti di difesa e reinvenzione dei territori agrosilvopastorali e di esplorazioni delle possibilità alimentari ed energetiche, sociali e culturali dell’agricoltura, in particolare periurbana. Un impegno della cultura tecnica sulle molte vertenze aperte da gruppi di cittadini attivi sulle questioni del suolo.
4. Piuttosto c’è disaccordo sulla fiducia nelle possibilità della pianificazione che è alta in Salzano ma non in me. Le osservazioni puntuali e in parte alternative sulle mie proposte operative (uscite su Eddyburg) si caratterizzano per assegnare un ruolo forte alla pianificazione (nell’eliminare le espansioni residue, nell’individuarne livelli di sovracomunalità, nella definizione di un grande piano di edilizia pubblica, ecc.). Le mie proposte, pur auspicando il riemergere di forme di pianificazione d’area vasta, sono più disincantate e cercano di segnalare strade complementari (non alternative). Innanzitutto, per le previsioni di nuove urbanizzazioni (che debbono essere eccezionali) ipotizzo si realizzi una co-decisione di Regione, Comuni, Autorità di bacino e Soprintendenze (avendo alle spalle una norma che tuteli tutto lo spazio aperto) e che essa comunque possa esser messa in discussione dai cittadini con una class action o meglio con un referendum (sul modello svizzero). In secondo luogo propongo (riprendendo i lavori di Pileri e altri) che la definizione di una forte compensazione ambientale e di un forte carico fiscale possano da subito, con una scelta nazionale e in assenza di revisioni dei piani esistenti, rendere più conveniente intervenire sui brownfield anziché sui greenfield e possa al contempo garantire risorse per la riqualificazione degli spazi aperti e per la riqualificazione delle infrastrutture del territorio già urbanizzato.
Concludo con un invito: cerchiamo di costruire una proposta normativa d’immediata operatività che possa unire molti, se non tutti, nella difesa e riqualificazione del suolo e dell’ambiente costruito. Una proposta sostantiva e pertanto non puramente procedurale come molte sterili ipotesi di riforma urbanistica, ma che sia in grado al tempo stesso di dare spazio a una pluralità di programmi di ricerca e di strategie progettuali.

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Last modified: 9 Luglio 2015