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Carlo OlmoWritten by: Forum

Biennale: l’importante è esserci

Biennale: l’importante è esserci

Riscoprire che cinquantun anni dopo Marshall McLuhan ha ancora ragione lascia perplessi, forse interdetti. Eppure se un’impressione può riassumere il caravanserraglio dell’ultima, ma più corretto sarebbe dire delle ultime Biennali di Architettura, è che il medium rimane il messaggio. Andar a ricercare una differenza tra racconto e dispositivo, per recuperare la divisione della retorica classica, sarebbe non solo inutile, ma forse fuorviante. Quel che interessa a chi partecipa come a chi presenzia è l’esserci, il condividere quel medium, sociale prima che culturale, che è ormai diventata la Biennale (non solo di Architettura). Il mondo dei racconti appartiene a un’altra generazione: quella, per quanto riguarda l’architettura, degli anni ottanta. Oggi, in parte nascondendosi dietro comodi paraventi (la complessità, la globalizzazione, il multiculturalismo), in parte per motivi organizzativi (l’incredibile ritardo con cui si scelgono i curatori), anche solo l’ipotesi che esista la possibilità di una regia forte appare irrealistica e, soprattutto, mai ricercata.
Anche i temi (quest’anno «Common Ground») servono essenzialmente come vaghi contenitori, destinati a ospitare le espressioni più diverse; con una richiesta, non sempre perseguita dagli invitati, almeno di cercare una legacy tra dispositivo scenico e discorso, se non critico, almeno narrativo. Certo colpisce, anche in questa Biennale, il distacco tra il mondo figurativo che questo medium ci restituisce e i processi, oggi durissimi, che conosce la professione dell’architetto, anche delle cosiddette archistar. Nessuno di questi processi, in primis la trasformazione del lavoro dell’architetto in forme, sia pur diverse, di lavoro dipendente, traspare, come non traspaiono i processi di ristrutturazione, violenti e con conseguenze drammatiche sull’occupazione (dopo averne create di peggiori alle città e ai territori globalizzati e dopo aver cavalcato con grande leggiadria le diverse bolle immobiliari e oggi di viverne, con angoscia, le crisi). Tema che è certamente il «common ground» più condiviso oggi e tema sul quale anche la dimensione etica, fondamento di una qualsivoglia definizione di «common ground» della professione dell’architetto, è seriamente chiamata in causa. E la coscienza non può certo essere salvata dalla litania green che pervade la Biennale, in grado d’insospettire persino il visitatore più ingenuo.

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 19 Luglio 2015