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Luca GibelloWritten by: Città e Territorio

La crème dei progettisti altoatesini si sfida sui rifugi

La crème dei progettisti altoatesini si sfida sui rifugi

Bolzano. Mentre sul versante francese del Monte Bianco dovrebbe essere agibile da settembre il nuovo rifugio Goûter (3817 m), aerodinamica astronave dall’involucro metallico ipertecnologico, e mentre sul versante italiano è ormai pienamente operativa la capanna Gervasutti alle Grandes Jorasses (2835 m), il «missile», «tubo» o «cannocchiale» che ha saputo bucare molti schermi mediatici e sta suscitando feroci opposizioni tra gli alpinisti, divisi tra innovatori e conservatori a oltranza che lo considerano quintessenza del «pugno nell’occhio», un’ulteriore legittimazione arriva dal settore orientale delle Alpi. Il tema della progettazione dei rifugi è infatti ormai sdoganato dalla cultura architettonica che, tranne rarissime eccezioni, nel passato lo aveva relegato a questione di servizio del tutto secondaria.
Ne è riprova il triplice concorso, bandito dalla Provincia autonoma di Bolzano nel novembre scorso, per la ricostruzione integrale di tre dei venticinque rifugi passati di proprietà dal Demanio (che li aveva affidati in gestione al Club alpino italiano) alla Provincia a partire dal 2011, ai sensi del dlgs n. 495 del 21/12/1998. Tre infatti (Ponte di ghiaccio, Pio XI, Vittorio Veneto) versano in uno stato di fatiscenza che ha fatto optare per la loro imminente demolizione e sostituzione. La gara, in fase unica a inviti (peccato che anche nell’Eldorado dei concorsi si stia optando sempre più per questa formula), ha chiamato a raccolta la crème dei progettisti altoatesini, tutti basati in Südtirol (con l’«infiltrazione» degli austriaci Sofa e Feld 72, perché?): 24 studi di primissimo rango, praticamente senza defezioni (da Höller & Klotzner a bergmeisterwolf a Modus, da Angonese a Tscholl, da Scolari a Scherer, da CeZ a EM2, da Dietl a Gapp, da Plattner a Hitthaler), suddivisi in tre gruppi di otto. Giuria composta dal plenipotenziario Josef March (direttore del Dipartimento ai Lavori pubblici), da Jörg Streli (Innsbruck) e dai rappresentanti degli Ordini degli architetti (Alberto Winterle), degli ingegneri (Bruno Marth), del rispettivo Comune competente e delle associazioni alpinistiche (Cai e Avs). Decoroso rimborso spese a ogni concorrente: 2.500 euro. Per inciso va ricordato che, in casi simili (ma anche solo per progetti di ampliamento), sul versante elvetico delle Alpi il ricorso alle gare è diventato ormai quasi una prassi; e i concorsi sono banditi direttamente dal Club alpino svizzero.
I bandi recitavano che «elemento determinante per la scelta del vincitore è esclusivamente la qualità del progetto»; che dal punto di vista energetico «l’amministrazione provinciale mira a essere coadiuvata a livello scientifico dall’Eurac [Accademia europea di Bolzano, ndr], allo scopo di avvicinarsi allo standard di un edificio a costo energetico “zero”»; che «dovrà essere prescelto un sistema costruttivo compatto e realizzabile con elementi prefabbricati, preferibilmente in legno».
Nell’insieme, le 24 proposte dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che (per fortuna!), il malinteso riferimento tipologico alla baita, chalet o alberghetto di montagna è (quasi) definitivamente saltato. In sua vece, una pluralità di ricerche in varie direzioni, sebbene alcune improbabili per il loro scarso «senso della realtà»: non va infatti dimenticato che il rifugio resterà sempre una costruzione in ambiente estremo nel cui cantiere risulta fondamentale ottimizzare (riducendo al minimo) risorse, tempi, saperi e tecniche, spazi. Apprezzabili quei lavori che hanno saputo interpretare l’inserimento dell’edificio nel contesto quale «accidente tettonico» della geomorfologia naturale, rinunciando tuttavia a mimetismi letterali. La giuria ha privilegiato (giustamente) le soluzioni a volumetria compatta: sebbene articolata a L nel caso di Modus/Cappellato, tra i pochi a reinterpretare (in maniera intelligente) modelli tradizionali; piuttosto tozza e anonima nel caso di Höller & Klotzner; smaccatamente ripresa dalla Monterosahütte nel caso di Stifter e Bachmann (se non altro, il riferimento all’eccellente intervento targato Bearth & Deplazes più Politecnico di Zurigo è attualmente il migliore “sul mercato” per la sua capacità di conservare al rifugio l’aura simbolica e percettiva di guscio protettivo, declinato tuttavia con linguaggi e tecniche di assoluta avanguardia).
Per la realizzazione di ciascun intervento, previsto nel 2013, si attende lo stanziamento di 2,1 milioni da parte della Provincia, mentre è in corso (a Malles dal 24 luglio al 7 agosto e poi all’International Mountain Summit, a Bressanone dal 20 al 27 ottobre) la mostra dei progetti e a settembre uscirà un numero monografico di «Turrisbabel».
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Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 al 2024 è direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 20 Luglio 2015